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ELEZIONI IN CALABRIA. ANALISI DEL VUOTO

1.890.732 sono gli aventi diritto al voto compresi i “fuori sede”. La gente di Calabria ha compreso talmente bene quanto vale per la sua vita il rito delle elezioni che il 55,64% degli elettori se ne è rimasto a casa o, comunque, non ha deciso di rientrare dai luoghi di emigrazione per esercitare il diritto di voto. In tanti, infatti, hanno in Calabria solo la residenza, ma da tempo dimorano fuori, molti anche all’estero, a causa delle pessime condizioni sociali ed economiche della nostra terra.

Solo 838.691 aventi diritto (il 44,36%) hanno pensato di recarsi alle urne per esprimere la preferenza, ma molti sono quelli che hanno deciso di invalidare la scheda per tanti motivi. Schede nulle: 25.182, schede bianche: 20.559, schede contestate: 242. Immaginiamo il comparire sulle schede di  tanti disegni irriverenti, qualche frase spot o semplicemente uno scarabocchio, più di 45.000, per manifestare il proprio malessere verso i governanti, espressione del potere locale o di interessi particolari. In molti avranno deciso di disegnare sulle schede il famoso simbolo fallico che – suggeriamo – potrebbe essere utilizzato come simbolo di una lista per una prossima competizione elettorale.

Quindi, aggiornando il dato, sottraendo i cultori del simbolo fallico, in realtà solo il 41,90% degli aventi diritto ha espresso una preferenza concreta. Il 58,10% ha scelto di non votare o di annullare la scheda. Un dato veramente importante che ci parla di un malessere della partecipazione a un meccanismo ritenuto poco adatto a cambiare realmente la propria esistenza, ma, sottolineiamo, che nulla ci dice circa la predisposizione conflittuale degli astenuti o sul loro pensiero politico.

Ad ogni modo, pensiamo che, al di là della sterile diatriba sulle percentuali relative all’astensionismo, il dato politico resti immutato. Vincono, com’era ampiamente prevedibile, Occhiuto e le sue potenti liste elettorali.

Ovviamente il primo commento per la disfatta a sinistra si riduce a una colpevolizzazione del “popolino” calabrese, definito dai più massomafioso e connivente. “Questa terra non ha voluto passare dal ricatto al riscatto” ha concluso con amarezza l’ormai ex sindaco di Napoli. Ma il popolino è altrettanto connivente e mafioso laddove c’è stato un capovolgimento dei risultati, come ad esempio a Lungro, Saracena e Cinquefrondi, o dove la “coalizione civica” ha riportato un discreto risultato come, ad esempio, a Cosenza e a Casali del Manco? Un’ultima provocazione: perché per le elezioni ci rivolgiamo al “popolo” e lo consideriamo capace di ribellione salvo poi ridurlo a “popolino” schiavo e amante delle catene? Perché se il cittadino sceglie Occhiuto è sicuramente massomafioso (aggettivo molto in voga), mentre se lo stesso cittadino votasse De Magistris sarebbe automaticamente sciolto da ogni legame di loggia e di ‘ndrina?

Nessun dubbio invece sulla mancata capacità della coalizione “antagonista” di incarnare la voglia di riscatto che invece potrebbe caratterizzare le migliaia di persone che non si sono recate ai seggi. Se quelle persone avessero colto nella coalizione sinistra una possibilità di cambiamento sarebbero corse a tracciare una X sulla scheda? Le leggi che regolano la statistica ci direbbero di no ma, si sa, le dinamiche sociali non sono certo condensabili dietro qualche percentuale. Le contraddizioni, le ambivalenze vanno analizzate e agite, fuori da qualsiasi retorica elettoralistica o scorciatoia di sorta, con l’unico assillo di giocare d’anticipo per aprire varchi e momenti di rottura.

Lo sforzo immane fatto da De Magistris di girare, zainetto in spalla, alcuni luoghi della Calabria (di fondo, quelli socialmente ed elettoralmente più comodi) durante i mesi di campagna elettorale, sarà una pratica permanente che caratterizzerà i prossimi anni, senza l’ansia elettorale e che sarà estesa a tutto il territorio? Tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo alla kermesse elettorale tentando di incarnare il cambiamento, torneranno ora a casa da privati cittadini o proveranno a esprimere un’opposizione sociale quanto meno nei propri territori? Oppure scompariranno per altri cinque anni presentandosi, alcuni mesi prima della futura scadenza elettorale, con una nuova lista, con un nuovo “messia” e nuovi candidati del tutto inediti e sconosciuti al popolo votante?

Non sarebbe meglio, invece di trovare inutili giustificazioni all’ennesima debacle, provare a capire perché il popolo calabrese ritiene di essere meglio rappresentato a destra (che ha vinto le due ultime elezioni) e a sinistra riconosce più la Bruni che l’alternativa “radicale”? Forse è giunta l’ora che una certa sinistra analizzi con chiarezza le macerie sulle quali continua a camminare e inizi a elaborare un pensiero critico più aderente alle esigenze materiali della classe.

Una considerazione finale. La composizione del nuovo consiglio regionale non lascia spazio a dubbi interpretativi. La maggioranza (schiacciante, con 20 consiglieri) come il resto dell’opposizione, anche nella sua componente più “a sinistra”, sono rappresentativi di un censo elettorale che, nello spartirsi un pacchetto di voti di anno in anno sempre più risicato, pesca nel campo degli interessi borghesi. Un unico blocco dunque, espressione di una disposizione, tramandata di famiglia in famiglia, a conservare il potere, a gestirlo incrociando opportunisticamente anche le “esigenze” dei subalterni.

La redazione di Malanova