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CARCERE, COVID E MEDIA: DALL’EMERGENZA SANITARIA ALL’EMERGENZA MAFIA

di Sandra Berardi*

Dopo aver ripercorso la storia del carcere iniziamo ad addentrarci nei meccanismi che regolano il carcere di oggi. Tanti sono gli aspetti controversi che regolano l’esecuzione penale molti dei quali incostituzionali e in contrasto con la stessa mission assegnata al carcere. In questa particolare fase storico-politica, in piena pandemia e con le carceri che proprio in quest’ultimo mese stanno registrando un numero impressionante di contagi da Covid-19 affatto controllabili -oltre 1300 tra detenuti e operatori-, non potevo che iniziare con una questione che ha fatto molto discutere negli ultimi mesi mentre, invece, rappresentava come l’unico documento prodotto dall’amministrazione penitenziaria che avrebbe potuto mettere al riparo dal rischio di una diffusione massiva dei contagi all’interno delle carceri. Parliamo della circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) messa sotto accusa da alcuni media (L’Espresso, Il Fatto quotidiano e la trasmissione televisiva Non è l’Arena) che proponeva una ricognizione dei soggetti particolarmente vulnerabili per patologie pregresse e/o età tra la popolazione detenuta e che invece ha prodotto lo spostamento dell’ordine del discorso dall’emergenza sanitaria all’emergenza mafia. 

Un processo mediatico che ha determinato una costruzione “deviata” dell’opinione pubblica, attraverso una informazione falsata, e il condizionamento delle scelte politico/legislative a discapito del diritto alla salute dei detenuti e, per certi aspetti, dello Stato di diritto stesso.

Situazione carceraria prima del covid-19

Al 31 gennaio 2020 i detenuti presenti nelle 189 carceri italiane erano 60.971 mentre al 29 febbraio se ne contano 259 in più: quindi 61.230 detenuti totali a fronte di una capienza regolamentare di 50.931[1].

Circa 10 mila persone in più rispetto ai posti letto disponibili “ufficiali” con un tasso di sovraffollamento medio pari al 120%. Altre fonti[2] riportano una capienza regolamentare di 46.904 posti, pertanto il sovraffollamento medio raggiunge il tetto medio effettivo del 130% con alcuni (Taranto, Como, Busto Arsizio) che sfiorano il 200%.

Gli istituti attraversati dalle rivolte combaciano con quelli che presentano un tasso di sovraffollamento maggiore.

Quest’ultimo aspetto, che apparentemente potrebbe risultare una rapida semplificazione è, in effetti, uno dei dati cruciali, assieme a quello della composizione sociale della popolazione di questi istituti, che ci permettono di sciogliere i nodi principali sui quali sono circolate tantissime fake news e luoghi comuni attorno alla gestione dell’emergenza Covid-19 nelle carceri e alle rivolte che le hanno attraversate nelle giornate del 7, 8 e 9 marzo; l’amplificazione mediatica di questioni ordinarie nell’esecuzione penale quali la sospensione e la sostituzione della pena per motivi di salute; l’assordante silenzio politico e mediatico sui 14 detenuti morti durante le rivolte; la strumentalizzazione mediatico-politica della circolare del DAP del 21 marzo 2020 che, invece, richiamava le raccomandazioni del Centers for disease control and prevention CDC 24/7 Saving lives, protecting people[3] per la gestione dei detenuti con  patologie pregresse e/o ultra settantenni -pertanto particolarmente a rischio in caso di contagio-, quindi le stesse raccomandazioni contenute nell’Ordinanza 21 febbraio 2020 del Ministero della Salute n. 20A01220, recante Ulteriori misure profilattiche contro la diffusione della malattia infettiva COVID-19.

Il 21 gennaio 2020 il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura pubblica il rapporto sull’Italia[4]. Il quadro che ne esce è drammatico[5], pesanti i rilievi effettuati dai membri del Comitato riguardo le condizioni igenico-sanitarie delle strutture penitenziarie, il progressivo e costante aumento della popolazione detenuta[6], la mancanza di misure alternative, il limite minimo di 3 metri quadri destinati ad ogni singolo detenuto inteso, ed applicato, come massimo dalle autorità penitenziarie italiane. E ancora rilevi negativi per quanto riguarda la qualità e la quantità del cibo, le possibilità trattamentali e risocializzanti, le ore di permanenza fuori dalle celle, le gravi carenze delle strutture sanitarie[7]

Il Comitato invita l’Italia ad “avviare una seria riflessione sul regime detentivo speciale detto 41-bis”, evitare il sovraffollamento delle carceri, contrastare forme di violenze sui detenuti”. Raccomanda di “abolire la misura d’isolamento diurno imposto dal tribunale come sanzione penale accessoria per i detenuti condannati a reati che prevedono la pena dell’ergastolo”.

Inoltre raccomanda di avere una “particolare attenzione a varie forme di isolamento e di separazione dal resto della popolazione carceraria imposte ai detenuti, in ragione della durata indeterminata di tali provvedimenti e dell’assenza di procedure e garanzie relative alla loro applicazione e riesame”; invita, appunto, le autorità “ad avviare una seria riflessione sul regime detentivo speciale detto 41-bis, al fine di offrire ai detenuti un minimo di attività utili e “di porre rimedio alle gravi carenze materiali osservate nelle celle e nelle aree comuni delle sezioni 41-bis visitate”.

Nel  rapporto si fa riferimento anche a “diversi casi di maltrattamenti fisici inflitti ai detenuti dal personale della polizia penitenziaria”, e si invitano le direzioni delle carceri ad “esercitare maggior controllo sul personale di polizia penitenziaria e di far sì che ogni denuncia di maltrattamenti di questo tipo sia sottoposta a un’indagine efficace da parte dell’autorità giudiziaria”. Infine “sono state nuovamente evidenziate le persistenti disparità regionali relative alle condizioni delle strutture sanitarie e al numero del personale medico e infermieristico che vi lavora”[8].

E’ quindi in questo scenario, con le carceri che versano in condizioni di degrado strutturale e sostanziale, un corpo politico in larga parte giustizialista guidato da figure che suggeriscono la massima asprezza punitiva in uno stato d’eccezione permanente che la paura del virus che, a reti unificate, si affaccia nelle celle delle 189 carceri d’Italia.    

Se fino al 7 marzo 2020 il concetto di stato dell’eccezione è stato materia per gli addetti ai lavori dal 7 marzo in poi, con la dichiarazione di lockdown e la conseguente messa ai domiciliari di una intera nazione, comincia ad entrare nel linguaggio comune e nella vita di ognuno a colpi di decreti ministeriali e decreti della presidenza del consiglio che, di fatto, hanno sospeso lo stato di diritto.

Emergenza sanitaria e securitarismo a tutti i costi

Lo squilibrio tra quanto veniva annunciato dalle autorità e quanto andava realizzandosi era più che evidente. Prevedibile anche. Come abbiamo potuto riscontrare fin dal primo decreto emergenziale l’attenzione del governo verso la popolazione detenuta è stata scarsa e non rispondente alle esigenze strettamente sanitarie che il rischio epidemico recava in sé.

Le uniche misure introdotte per prevenire il contagio all’interno delle carceri, in un primo momento, hanno riguardato le 15 province del nord dichiarate “zona arancione”, limitandosi a sospendere l’accesso agli istituti penitenziari per tutti i soggetti (civili, amministrativi e militari) provenienti e/o soggiornanti nelle cd zone rosse[9].

Nei principi generali le ordinanze e i decreti legge emanati sin dalla prima ora, richiamano le raccomandazioni elaborate dall’Organizzazione mondiale della sanità e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Inoltre, nelle premesse di ogni decreto-legge emanato in questa circostanza, campeggia una dicitura che richiama agli obblighi di ogni singolo stato a conformare le misure adottate sul territorio nazionale ai programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea[10].

Dunque con il DPCM 8 marzo 2020 il governo fornisce le disposizioni attuative che vanno a disciplinare come contenere il rischio diffusione e contagio del virus covid 19.  In linea generale il DPCM fissa alcuni punti in maniera chiara. È chiara la preminenza dell’aspetto igienico-sanitario; chiarissima è la necessità di mantenere il distanziamento sociale di almeno 1 metro; chiarissima è la necessità di adottare adeguati presidi medici, lavarsi spesso le mani, ecc. ecc.

Nella parte relativa alla popolazione detenuta, gli accorgimenti introdotti dal decreto,  puntano esclusivamente a sospendere i contatti tra i reclusi e i familiari, far sì che le articolazioni territoriali del Servizio Sanitario nazionale assicurino supporto al Ministero della Giustizia a gestire i nuovi ingressi, e l’isolamento di questi dal resto della popolazione detenuta. Sempre per i nuovi ingressi si raccomanda di valutare la possibilità di misura alternativa di detenzione domiciliare. Si raccomanda di limitare permessi e libertà vigilata o di valutare le alternative di detenzione domiciliare. Queste disposizioni si vanno ad aggiungere alla precedente norma relativa al blocco dei trasferimenti.

Già nei giorni precedenti l’emanazione di questo decreto l’ufficio del Garante nazionale assieme alla conferenza dei garanti territoriali, con una nota ufficiale[11], rilevavano una serie di  criticità  che confermavano lo squilibrio tra le azioni necessarie e quelle che si stavano mettendo in campo, sottolineando l’assenza di interventi di sanificazione e la mancata di predisposizione degli strumenti di protezione e controllo.

Eppure la guida per la prevenzione e il controllo del virus Covid-19 nelle carceri e negli altri luoghi di detenzione penale elaborata dall’Oms[12] Preparedness, prevention and control of COVID-19 in prison and other places of detention per contenere il rischio contagio e quali misure di prevenzione attuare, è chiara. Nella guida si sottolinea che le persone sottoposte a privazione della libertà sono maggiormente esposte a contrarre il virus rispetto al resto della popolazione a causa delle condizioni di detenzione e isolamento in cui vivono per periodi prolungati. Inoltre, essendo il carcere un luogo in cui le persone vivono in condizioni di promiscuità possono diventare fonti di diffusione dell’infezione al suo interno e nella collettività esterna.

Chiarissimi, inoltre, sono i soggetti maggiormente vulnerabili, e pertanto esposti a maggior rischio, indicati ai governi in merito alla popolazione detenuta dal Centers for disease control and prevention CDC 24/7 Saving lives, protecting people[13].

Nei giorni seguenti l’emanazione del DL esperti qualificati[14] bocciano sonoramente la previsione di gestione dell’emergenza covid nelle carceri. Alle prime sirene della pericolosità di questo virus anche gli esperti del mondo penitenziario avevano ampiamente suggerito al governo le misure necessarie da adottare per poter fronteggiare adeguatamente una emergenza di questa portata nelle carceri, sollecitando il governo all’adozione di strumenti straordinari di decongestionamento delle strutture carcerarie e all’applicazione degli istituti di tutela esistenti già nel regolamento di esecuzione penale[15] come, ad esempio, l’art. 47 contenente le misure alternative alla detenzione. Le condizioni di sovraffollamento e precarietà igienico-sanitaria in cui si presentavano i penitenziari necessitavano di un intervento drastico e immediato che le riconducesse nell’alveo della legalità e li mettesse nelle condizioni di gestire eventuali focolai.

Un coro unanime dai sindacati di Polizia penitenziaria, al Coordinamento dei Magistrati di sorveglianza, ai garanti nazionali e territoriali, ai cappellani penitenziari, all’Unione camere penali, alle Associazioni, che indicavano uniformemente gli elementi prioritari da affrontare: sovraffollamento, patologie pregresse e misure di prevenzione sanitaria. Appelli rimasti completamente inascoltati.

Vista l’insufficienza delle disposizioni adottate con il DL dell’8 marzo, nel successivo decreto cd “Cura Italia” del 18 marzo vengono inseriti gli articoli 123 e 124, rinovellati nell’ultimo DPCM di ottobre, che vanno ad inserire la possibilità di detenzione domiciliare per quanti hanno un residuo di pena di 18 mesi e la detenzione domiciliare per i semiliberi, subordinata alla disponibilità (che non c’è) di dispositivi elettronici di controllo ed escludendo dall’accesso i detenuti cd “ostativi” ai benefici penitenziari. È, di fatto, un provvedimento che va a peggiorare una legge già esistente, la 199/2010 che, invece, si sarebbe potuta adottare senza alcun intervento normativo.

Dietro la ritrosia dell’esecutivo ad adottare provvedimenti deflattivi effettivi ed efficaci, c’è l’orientamento giustizialista e carcero-centrico delle componenti politiche di maggioranza e opposizione, abilmente supportato da una parte della stampa (piuttosto influente), che sta determinando la cancellazione dei principi costituzionali posti alla base della nostra civiltà giuridica.

I DPCM che si sono susseguiti sancivano l’adozione di misure straordinarie da adottarsi su tutto il territorio nazionale. D’altra parte sono provvedimenti direttamente connessi a quell’art. 32 della Costituzione posto a tutela della salute di tutti i cittadini che è l’unico diritto, come ci ricorda Laura Longo ex presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, che il legislatore volle rafforzare con la qualifica di diritto fondamentale. E proprio in relazione al rapporto tra diritto alla salute e potestà punitiva dello Stato che la stessa Longo, all’interno di un convegno[16] che affrontava queste tematiche, fa un’altra osservazione importante che riprendo integralmente:

(…) l’altra materia che è stata attinta da questo decreto legge[17] che, come al solito, sull’onda dell’emergenza e di questo consenso che sull’emergenza si fonda, è andata a fare. Bene, ricordiamoci che il 147 (cioè il differimento facoltativo) e il 146 (differimento obbligatorio) sono articoli del codice penale. Dunque, noi dobbiamo dire che in pieno autoritarismo, in pieno fascismo (1930), sulla base di riflessioni che dal 1925 erano state fatte da una commissione composta da giuristi, magistrati, avvocati, professori erano stati introdotti questi due istituti dove, nella relazione del guardasigilli (Rocco), si dice espressamente che di fronte al diritto alla salute, la potestà punitiva dello stato deve recedere.

Ci troviamo, quindi, di fronte ad una sospensione dello stato di diritto, legittimata questa volta da una emergenza inedita, di tipo sanitario, che ha dato la stura alle pulsioni autoritaristiche striscianti anche nelle componenti politiche formalmente più garantiste. Il “nemico” da affrontare è un virus che colpisce e si diffonde velocemente e imprevedibilmente; si varano misure contenitive che, di fatto, mettono una nazione intera agli arresti domiciliari, oltrepassando forse quella nozione di adeguatezza e proporzionalità che ogni norma deve contenere, andando a configurare un concetto di “prevenzione assoluta”.

Il paradigma che si è andato a configurare, a mio avviso, segue la logica del doppio binario differenziando le misure  di prevenzione a seconda dei destinatari.

Mentre vengono emanate leggi contenenti una serie di raccomandazioni igienico-sanitarie atte a tutelare l’incolumità e la salute personale e pubblica da attuarsi su tutto il territorio nazionale, una parte di popolazione, quella detenuta, viene esclusa a priori dai primi decreti per poi essere inseriti successivamente e subordinando il diritto alla salute ai titoli di reato determinando la violazione dell’art. 32 Cost., 146 e 147 C.p., e via discorrendo.

A questo punto, l’ordine del discorso, nel dibattito pubblico e mediatico, è stato spostato dall’emergenza covid all’emergenza criminalità.  

E l’aspetto paradossale, e drammatico, è che a fronte di una emergenza sanitaria mondiale, il governo italiano vara una legge che va a limitare il diritto alla salute ad una specifica fascia di detenuti, ovvero a tutti i detenuti condannati e imputati per uno dei reati compresi all’art. 51 commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, subordinandoli al parere del Procuratore distrettuale presso il tribunale dove è stata emessa la sentenza di condanna.

La ratio che sottende ad una simile scelta ci riporta nell’ambito di una produzione compulsiva di interventi normativi in nome della  lotta alla mafia per esclusivi fini di marketing politico, abilmente descritto da Insolera[18] in Declino e caduta del diritto penale liberale.

La circolare del DAP del 21 marzo 2020 nelle crociate antimafia.  

Analoghe raccomandazioni a quelle proposte dal OMS e del Centers for disease control and prevention CDC 24/7 Saving lives, protecting people, arrivano il 20 marzo dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio europeo con cui si indicando agli stati membri i Principi relativi al trattamento delle persone private della libertà personale nell’ambito della pandemia del coronavirus (COVID-19)[19].

Un documento in 10 punti che raccomanda alcune questioni fondamentali ai governi: a partire dagli obblighi di ogni singolo stato a conformare le misure adottate sul territorio nazionale ai programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea, passando per il  divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, per la priorità da assegnare ai soggetti particolarmente vulnerabili per età avanzata e patologie pregresse,e chiude con il carattere imperativo che queste raccomandazioni assumono laddove si registra un elevato tasso di sovraffollamento.

Il DAP, seguendo le indicazioni fornite dal Direttore dell’U.O.C. Medicina protetta – malattie infettive del presidio ospedaliero di Belcolle di Viterbo in comando presso l’amministrazione penitenziaria (Giulio Starnini), richiamato lo stato di emergenza sanitaria nazionale e in attuazione delle disposizioni impartite dalle autorità competenti in materia sanitaria[20], in base alla necessità di tutelare le soggettività più vulnerabili per come indicato nelle raccomandazioni del Centers for disease control and prevention CDC 24/7 Saving lives, protecting people, diramava la nota del 21 marzo 2020 con cui trasmetteva, ai Provveditorati regionali e ai Direttori degli istituti penitenziari, l’elenco delle patologie/condizioni a cui era possibile riconnettere un elevato rischio di complicanze. La nota invitava le direzioni a comunicare con solerzia all’autorità giudiziaria competente i nominativi dei detenuti che si trovassero in quelle condizioni, ovvero persone con una o più delle patologie indicate e/o ultra settantenni, per permettere alle autorità competenti di valutare l’eventuale sostituzione della detenzione in carcere con una misura domiciliare o di altro tipo (ospedale, comunità, ecc.).

La nota emanata dal DAP, quindi, è il risultato del combinato disposto degli articoli costituzionali ed ordinamentali posti a tutela della salute del detenuto[21] con le norme emergenziali emanate dal governo, in osservanza delle direttive impartite dagli organismi nazionali e sovranazionali atte a contrastare il rischio epidemiologico rappresentato dal Covid 19 cui l’Italia ha l’obbligo di uniformarsi.

Già il 1 aprile interviene anche la Procura Generale della Corte di Cassazione con un documento[22], a firma di Giovanni Salvi, indirizzato ai procuratori e contenente linee guida per la riduzione della presenza carceraria durante l’emergenza coronavirus. Il documento, suddiviso in 3 parti e diversi sotto-punti, suggerisce alcune “astuzie tecniche” per bypassare le carenze dei DL al fine di rispondere all’esigenza primaria che l’emergenza covid rappresenta. Nelle ultime settimane Salvi è intervenuto nuovamente affinchè il ricorso alle misure detentive sia effettivamente l’estrema ratio[23].

Le raccomandazione elaborate dalla Procura generale della Corte suprema rappresentano un esempio di equilibrio tra la pretesa punitiva dello stato e le norme protettrici del diritto alla salute. Tra le righe di questo documento si può rinvenire la consapevolezza dell’abuso delle misure di custodia cautelare in carcere cui si fa ricorso in Italia, anche quando non se ne ravvisa la necessità effettiva. I numeri in questa direzione sono disarmanti: oltre un terzo della popolazione detenuta è infatti in attesa di primo giudizio[24] e nel complesso quasi il 50% non ha una condanna definitiva. Quasi che si fosse determinata una abitudine[25] a abusare delle misure custodiali in attesa della sentenza definitiva, nonostante il principio che vuole il ricorso al carcere l’ultima ratio.

Fin qua il ragionamento non fa una piega. O meglio non ha fatto ancora i conti con gli imprenditori morali che affollano talk show e testate giornalistiche, che indirizzano l’opinione pubblica, e politica, e sono corresponsabili di quell’imbarbarimento della giustizia e della sua comunicazione che l’ex Procuratore della Repubblica di Venezia, Carlo Nordio, imputa al ministro Bonafede ed, esplicitamente, a Piercamillo Davigo.

A lanciare mediaticamente il primo allarme generico sui “pericoli” insiti nella circolare del DAP è Lirio Abbate con un articolo pubblicato il 17 aprile su L’Espresso. Il titolo (I boss al 41bis possono sfruttare l’emergenza coronavirus per tornare liberi ), doppiamente inquietante, avvisa il lettore dell’imminente pericolo che si sta abbattendo sulla società mettendo in relazione due elementi che di per sé suscitano particolare allarme sociale: boss al 41 bis e coronavirus. Parla genericamente di una “lista” che potrebbe includere l’intera cupola di Cosa nostra richiamando alla memoria del lettore gli anni della mafia stragista e, al tempo stesso, “bacchettando” quell’opinione pubblica  precedentemente sdegnata a cui il “pericolo” non sarebbe sfuggito ed oggi disattenta perché presa a difendersi dal virus.

Nel passaggio successivo fa leva sul pericolo imminente che sta correndo il paese con quelli fuori pronti a mettere le mani sull’Italia intera senza spargimenti di sangue.

Rivela dettagli a conferma che il potere mafioso ha già investito nelle filiere e nei servizi di prima necessità e che, in attesa dei milioni di euro in arrivo dall’Europa, si sarebbe già attivato sui territori inginocchiati dal covid con il welfare mafioso su cui stanno tenendo gli occhi puntati gli 007 nostrani. Descrive i “boss” al 41 bis che scalpitano per mettere la testa fuori dal carcere, mette tra virgolette l’impermeabilità del 41 bis mettendone in discussione la durezza e mettendo in discussione -tra le righe in questo caso, ma ampiamente contestate nei mesi scorsi-, le recenti sentenze della Corte edu e della Corte Costituzionale[26] che hanno, appena appena, scalfito la “sacralità” del 4 bis.

Stigmatizza la circolare del Dap mistificandone presupposti e finalità, infine, il “capolavoro”: l’elenco dei nomi eccellenti che potrebbero aspirare ad ottenere i domiciliari perché ultra settantenni e che già bastano a ricomporre la Cupolacon l’aggiunta della suggestione della doppia pandemia del covid e dei boss, “in giro” contemporaneamente.

Generalmente  la formulazione di una norma è accompagnata da processi che ne manifestano la necessità, Howard Becker, in Outsiders, descrive le norme come il prodotto dell’iniziativa di qualcuno che definisce imprenditori morali, cioè coloro che si cimentano nell’impresa distinguendoli in vari tipi tra cui chi fa le leggi e chi le fa applicare. Tra le figure più attive Becker individua un soggetto attento alle leggi che ci governano ed è generalmente insoddisfatto da quelle che vengono prodotte. Traccia il profilo dell’imprenditore morale tipo che è: portatore di valori etici assoluti, ritiene che il mondo  non è per niente giusto e che non lo sarà mai finché non verranno fatte delle leggi per correggerlo[27]. Individua, quindi, il fervente e virtuoso crociato delle riforme con una sacra missione moralizzatrice da compiere, la crociata. Qualsiasi sia il problema individuato è necessario lanciare una campagna pubblica che faccia credere alla comunità la genuinità della propria battaglia (anche se il crociato non ha interesse reale verso quel problema) e creare allarme sull’oggetto della crociata nella stessa comunità. In Italia abbiamo diversi esempi calzanti di imprenditori morali e di ferventi crociati pronti a lanciare campagne allarmistiche sui mali che attanagliano la società (anche quando non esiste alcun pericolo, e i numeri lo confermano) per  difenderne l’integrità morale, etica, economica o identitaria della nazione.  

Generalmente ogni crociata riesce ad attirare numerosi seguaci, e a creare vere e proprie organizzazioni che però, a crociata vinta -ad esempio la sconfitta della “mafia stragista”-, per continuare a perpetrare la missione e sponsorizzare i crociati, continuano a soffiare sul fuoco di quel dato problema oggetto della crociata, per alimentare paura e consenso nelle comunità di riferimento, nonché nuove norme per contrastare meglio il fenomeno. 

Quanto successo con la criminalizzazione mediatica della circolare del DAP risponde esattamente ai criteri di costruzione di norme e nuovi outsider individuati da Becker.

Abbate invece, nell’articolo commentato, lancia un allarme generico; lui è un giornalista che scrive libri sui personaggi di mafia, conosce la storia e ricorda i nomi dei detenuti eccellenti e approssimativamente i loro anni; Bonura e Zagaria nell’elenco ipotetico non sono citati, il primo è ormai scomparso finanche dalle cronache. Come scomparsa dalle cronache, e dalla “scena”, è la mafia stragista. Diversi magistrati eccellenti, come ad esempio Giuseppe Pignatone,
in una intervista rilasciata allo stesso Abbate, dichiarano sconfitta l’ala stragista della mafia “con il diritto, i processi e le leggi.”

Dobbiamo essere consapevoli ed orgogliosi che lo Stato abbia vinto con il diritto, con i processi e con le leggi ordinarie sconfiggendo prima il terrorismo e poi Cosa nostra corleonese[28].

Dunque, a distanza di alcuni giorni del primo allarme generico lanciato dalle colonne dell’Espresso, Abbate ritorna sul “pezzo”, questa volta con i nomi dei “boss” che nel frattempo hanno ottenuto i domiciliari “grazie alla circolare”, anche se non era esattamente così, e inizia la crociata.

Il 21 aprile sempre su L’Espresso esce un articolo dal titolo suggestivo “Esclusivo: coronavirus, i mafiosi al 41bis lasciano il carcere e tornano a casa” che nel contenuto va a rilanciare il pericolo di quella mafia stragista che, in questo momento di pandemia, rischia di passare in secondo piano e “non ce lo possiamo permettere”.

Annuncia l’uscita dal carcere di Bonura omettendo le motivazioni e preannuncia la liberazione di Santapaola, richiamando alla memoria i diversi omicidi commessi da quest’ultimo tra cui quello di Giuseppe Fava, uno dei simboli delle (sincere) organizzazioni antimafia. La lista è lunga.

Rilancia il richiamo all’attenzione del lettore oggi disattento perché preso a difendersi dal virus.

Mente sostenendo che “i mafiosi non avrebbero dovuto lasciare la cella, per legge”entra, continuando a mentire, nello specifico della “scarcerazione” di Bonura, tracciandone il profilo passato.

Al perfetto crociato morale non interessa raccontare verità oggettive, è più importante la sua verità. E così altera il fine pena di Bonura; omette che il fine pena è naturalmente fissato da lì a breve (alla data dello scandalo a Bonura restano circa 9 mesi di condanna da scontare); rimarca il suo spessore criminale narrando uno a uno i procedimenti per cui è stato processato, e assolto, lasciando trapelare quasi fastidio per l’esito assolutorio. E ancora si accanisce facendo credere al lettore che chi è condannato per mafia non dovrebbe mai lasciare la cella. E in quel mai è racchiusa tutta la filosofia giuridica di molti crociati morali che invocano la certezza della pena (esclusivamente in carcere), il “buttare via le chiavi”, l’irrecuperabilità di alcune categorie di Outsiders quali, appunto, i mafiosi, la morbidità delle condanne e dei regimi penitenziari che, invece vorrebbero più duri di quelli esistenti, quel “i mafiosi devono marcire in galera” tanto caro ad alcune componenti politiche.

Ma c’è di più. Il giornalista fornisce una  rappresentazione a trama libera del sistema penitenziario dipingendo, tra le righe, il giudice di sorveglianza che ha emesso l’ordinanza come persona quasi collusa con la mafia e lo lascia intendere nel trafiletto successivo virgolettando che “il giudice ha facoltà di provvedere al differimento della pena” e di “autorizzarlo ad uscire di casa”. Mentre dà per certa la connivenza del Dap che nella circolare “suggerisce la scarcerazione” al magistrato di competenza. Suggerimento che non c’è nella circolare mentre, invece, esiste per legge: come ricordato precedentemente con le parole della presidente Longo:

la pretesa punitiva dello Stato recede di fronte alla salvaguardia della salute” e il “differimento della pena ex art. 146 e 147 del codice penale sono obbligatori per ammalati gravi, affetti da Aids e per tutti quei soggetti in fase avanzata della malattia che non rispondono più alle cure (valido anche per i detenuti condannati ai sensi del 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario come confermato dalla sentenza della Corte europea sul caso Provenzano[29] che ha portato alla condanna dell’Italia per trattamento inumano e degradante, violazione dell’art. 3)[30].

Per Abbate invece, e per gli altri crociati morali che si uniranno, la gerarchia delle fonti da applicare nel processo e nell’esecuzione penale diventano un orpello, vecchi arnesi da buttare se non, addirittura, norme pro-mafia.

Ma non è solo L’Espresso a deviare l’informazione. Nella stessa giornata anche Il Fatto Quotidiano riprende la notizia della scarcerazione di Bonura e a caratteri cubitali, con il salto di qualità dell’intervento di un crociato morale di indubbia fama, titola “Coronavirus, l’emergenza riporta a casa i mafiosi dal 41 bis: concessi i domiciliari al colonnello di Provenzano. Ora pure gli altri boss sperano. Di Matteo: “Lo Stato sembra cedere al ricatto delle rivolte.”

Pipitone nell’articolo fa un riferimento generico alla presidente del tribunale di sorveglianza che ha firmato il provvedimento senza specificare il nome, ossia Giovanna di Rosa che, invece, poche settimane prima, aveva citato in positivo come simbolo dell’efficienza dello Stato.

Abbiamo già visto altrove (ma è una costante[31]) come il Fatto assuma d’ufficio le difese dell’operato, e finanche delle intenzioni, del ministro 5 stelle e lo fa ancora una volta calcando l’accento sulle responsabilità del DAP ignorando, probabilmente, che un atto amministrativo qual è una nota o una circolare non hanno alcun effetto di legge.

Continua a lanciare l’allarme attraverso una lista di nomi di boss, potenzialmente rientranti nei parametri indicati dalla nota del Dap, nota che ha creato “fibrillazione negli ambienti giudiziari legati alle gestione carceraria”. Dà notizia del comunicato stampa diramato da Dap che “scarica” le responsabilità sui magistrati di sorveglianza e specifica che il Ministero ha attivato tutti i suoi uffici per fare le opportune verifiche e approfondimenti.

Il 22 aprile la notizia della scarcerazione di Francesco Bonura, con una forte critica alle  stigmatizzazioni de L’Espresso e del Fatto, viene ripresa da Il Dubbio[32], che dedicherà due articoli[33], Il Foglio[34] e il Riformista[35], anch’esso con due articoli[36]. Le tre testate sottolineano la correttezza dell’operato del giudice Di Rosa che ha emesso il provvedimento stigmatizzando lo strabordante populismo penale che impregna le suddette testate.    

La capacità dei giornalisti che hanno firmato questi articoli sta nel riportare nell’alveo di una informazione corretta i fatti, di richiamare costituzione, norme e trattati internazionali. Purtroppo, però, la loro voce non riesce ad arrivare al grande pubblico dei lettori, rimanendo confinata in un ambito di “nicchia”: addetti ai lavori e passionari dei diritti civili e umani.

Il dibattito proseguirà sulla carta stampata anche nelle settimane successive con le caratteristiche sinora evidenziate. Nel frattempo altri crociati morali si apprestano a sostenere questa causa portandola nelle case di milioni di italiani, ormai da oltre un mese ai domiciliari, completamente presi a difendersi dal virus.

L’ordine del discorso si sposta dall’emergenza covid-19 all’emergenza mafia

Con la trasmissione Non è l’Arena condotta da Massimo Giletti, il 26 aprile, la sostituzione della pena detentiva per motivi di salute di Francesco Bonura, di Pasquale Zagaria, e di qualche altro detenuto gravemente ammalato, e la nota emanata dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria il 21 marzo, diventano lo scandalo della scarcerazione dei boss[37].

Le questioni della nota del Dap e delle “scarcerazioni”, poste nei termini in cui sono state rappresentate nel corso delle trasmissioni che sono state dedicate alla questione (un mix deleterio di populismo penale e sensazionalismo di bassa lega), hanno prodotto suggestioni allarmanti nel pubblico che seguiva da casa. Il messaggio che è passato è stato: 300 boss di elevato spessore criminale appartenenti al circuito del 41 bis sono stati scarcerati! Il DAP non è in grado di gestire le carceri, i mafiosi sono tornati a casa, siamo tutti in pericolo!

Nelle stanze ministeriali e governative invece sarà (è) scattato un altro motivo di panico: dover rendere conto al proprio elettorato, quello basato sul dogma dell’honestà,  in un momento politico e sociale senza precedenti nella storia mondiale, con le tensioni politiche interne al movimento 5 stelle e quelle con gli alleati e gli ex alleati, in continua fibrillazione; con le immagini delle carceri in rivolta ancora negli occhi della nazione intera, ed ora con questo “scandalo” che rischia di far passare nell’immaginario collettivo la figura di un ministro e di un governo che si sono arresi alla mafia e scarcerano i boss mafiosi.

La prima reazione provocata nelle stanze di Via Arenula è stata quella di far sparire la “famigerata nota”, la mossa successiva è stata la predisposizione di un nuovo decreto che ne revocasse gli effetti. Il nuovo decreto però parte da un equivoco di fondo, ovvero che le sostituzioni delle misure detentive con quelle alternative per motivi di salute fossero una conseguenza della nota del 21 marzo.

Per chi ha un minimo di dimestichezza con il diritto costituzionale e il diritto penitenziario è stato facile intuire che la “pezza” che si è messa fosse peggiore del “buco”. Invece chi gestisce il ministero della giustizia non poteva non sapere né, tanto meno, avallare le tesi date per certe che un semplice atto amministrativo potesse produrre effetti di legge.

In tal caso il “buco” sono provvedimenti legittimi, adottati dai magistrati di sorveglianza nell’esercizio delle proprie funzioni di tutela del condannato in fase di esecuzione penale, e nel rispetto delle norme che, dalla Costituzione in giù, impongono la preminenza del diritto alla salute sulla potestà punitiva dello stato che è sempre secondaria, altrimenti si va a prefigurare un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art. 3 della Convenzione europea.

La nota del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria è stata emanata, lo ribadisco, in osservanza delle disposizioni di legge, attesa l’emergenza sanitaria in atto, disponendo la ricognizione dei detenuti portatori delle patologie indicate dagli organismi internazionali, le cui indicazioni sono vincolanti ai sensi dell’art. 117 della Costituzione.

I due documenti internazionali di riferimento, utilizzati dal consiglio dei ministri per la formulazione dei DPCM del 23 febbraio e dell’8marzo, sono le linee guida dell’OMS e del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie. A queste due guide il Consiglio di Europa, attraverso l’organismo denominato Comitato europeo per la prevenzione dei trattamenti inumani e degradanti (CPT), con la nota[38] sui Principi relativi al trattamento delle persone private della libertà personale nell’ambito della pandemia del coronavirus (COVID-19), fornisce linee di indirizzo specifiche relative alla popolazione detenuta, senza distinzione di classificazione penitenziaria[39], linee che diventano imperative nelle carceri con elevati tassi di sovraffollamento.

E dunque se tutti hanno agito secondo le norme, qual è lo scandalo? Perché tanto clamore attorno alla sostituzione della pena detentiva con la detenzione domiciliare? Al netto degli strafalcioni giuridici del conduttore e dei giornalisti che confondono la sostituzione della misura detentiva con la scarcerazione (che non è avvenuta e che comunque nei casi configurati dall’art. 146 del c.p. la sospensione sarebbe stata legittima e obbligatoria), c’è un particolare che forse sarà sfuggito ai più: il problema politico.

Ce lo chiarisce, ancora una volta, la dott.ssa Laura Longo, ex presidente del tribunale de L’Aquila che per molti anni è stata magistrato di sorveglianza del 41 bis, nel commentare, proprio il decreto con cui Bonafede andrà a “neutralizzare”, nell’opinione pubblica, la nota del Dap sull’onda emotiva suscitata da qualche articolo di giornale e da una trasmissione televisiva: 

Ci rendiamo conto? E ci rendiamo conto che hanno inciso anche sull’articolo 146 codice penale che è il differimento obbligatorio? Sapete quando è obbligatorio il differimento, oltre  ai malati di aids? Quando il soggetto è arrivato ad una fase tale da non rispondere più a terapie e alle cure. E questo ci tenevo a dirlo perché vedete, è triste penso, per tutti magistrati di sorveglianza, non solo applicare questa legge ma sentirsi parte di questo sistema. È  un sistema che ha trasformato la veste della magistratura di sorveglianza da anni, lo sappiamo: è nata nel ’75, poi nell’ ‘86 con la Gozzini, come magistratura di garanzia dei diritti, no? lo statuto dei diritti dei detenuti e degli internati.. per diventare invece purtroppo, dopo gli anni Novanta, il problema della mafia e quant’altro la magistratura cui veniva chiesto che cosa? Di applicare il diritto del nemico, no? Cioè di partecipare alla guerra contro la mafia.

“Partecipare alla guerra contro la mafia” a costo di sacrificare i diritti costituzionali. Ecco, questo è quello che ha fatto fare dietrofront a Maresca e Mastella dal difendere l’applicazione delle norme nella seconda parte della prima trasmissione, quando il crociato morale Giletti aveva ormai alzato i toni, e l’audience, richiamando nella coscienza collettiva uno scenario lontano nel tempo e nella storia.

Le omissioni de L’Espresso sul fine pena di Bonura e sulle sue condizioni di salute sono proseguite anche nella trasmissione di Giletti: nessuna volontà di approfondire la questione realmente. Alla volontà di Maresca di “voler spiegare bene” le norme che hanno determinato l’uscita dal carcere di Zagaria il nostro crociato morale mette il bavaglio; l’ex ministro della giustizia viene “costretto” a non parlare più delle norme ma degli errori politici dell’attuale ministro e Mastella si rifugia nel proprio operato da ministro che “ha contribuito a gestire i casi più ingombranti”. Attenzione! “Gestire i casi più ingombranti” ha un solo significato possibile: la forzatura delle norme costituzionali, delle leggi, dei trattati internazionali, per evitare il rilascio o la modifica del regime detentivo di qualche detenuto ai sensi del 4 bis.

Per approfondire questi aspetti bisognerebbe entrare nello specifico dei dispositivi che sottostanno ai decreti di assegnazione (e rinnovo) dei detenuti al regime di cui al 41 bis O.P., spesso fumosi e privi di qualsivoglia documentata pericolosità sociale e/o reati specifici contestati, della gestione (esclusivamente politica) dei circuiti ex Elevato indice di vigilanza, oggi AS1, delle declassificazioni ed altro ancora, tutte questioni in capo al Ministro della Giustizia e al suo dipartimento, ma mi rendo conto che sarebbe una divagazione eccessiva in questo ambito, rimando però la questione ad un lavoro di ricerca specifico che ho svolto precedentemente[40] che ben chiarisce la questione. 

Il passo successivo ai cori di indignazione è la predisposizione di nuove leggi per contrastare “queste sentenze che hanno violato il sacrario del 4 bis”, il suo valore simbolico. Non a caso Laura Longo, nel convegno “Verso lo stato etico, tra populismo penale e Costituzione tradita”, parla di eversione normativa[41] quando parla di questa politica e di questi crociati che non accettano le decisioni della Corte Costituzionale, la corte delle leggi, quella che ne stabilisce la validità costituzionale, e si scagliano violentemente contro le sentenze.

L’ordine del discorso si è ormai spostato sull’emergenza mafia, sui boss che escono, sull’incapacità del ministro, sulle disfunzionalità del Dap. Le ragioni, le leggi, l’equilibrio, l’umanità, non servono al populismo penale. Adesso serve una legge che contrasti la rinnovata emergenza[42]. E serve che qualcuno paghi per saziare l’opinione pubblica, un agnello da sacrificare sull’altare del 4 bis violato e della sempreverde lotta alla mafia.

Nei giorni a seguire Bonafede riferisce in Parlamento difendendo l’autonomia della magistratura di sorveglianza (e scaricando su di loro le responsabilità) e il suo impegno nella lotta alla mafia. Rivendica la legge cd Spazzacorrotti[43] come segno incontrovertibile del suo essere antimafioso e, a conferma del suo impegno, nomina un vice capo del Dap scelto tra le file della direzione distrettuale antimafia, e già membro della commissione parlamentare antimafia.

Nel frattempo ordina una ispezione ministeriale negli uffici dei tribunali di sorveglianza e, assieme alla commissione antimafia, elabora il nuovo decreto per riportare in carcere i detenuti usciti[44].    

La gravità di questo decreto sta nel fatto che va a vincolare la concessione di un permesso di necessità (art.30), di una misura sostitutiva della detenzione in carcere per motivi di salute (art. 147 cp) o del differimento obbligatorio della pena sempre per motivi di salute (art. 146 cp) al parere del Procuratore distrettuale del tribunale che ha emesso la sentenza di condanna e, nel caso di detenuti in 41 bis, anche al parere della Procuratore nazionale antimafia. Apparentemente questo meccanismo era già presente ma, mentre prima ad essere vincolante era una informativa, un atto documentato attestante l’attualità di eventuali collegamenti con le organizzazioni di appartenenza, ora invece si farà affidamento al parere del procuratore distrettuale, quindi al giudizio di un singolo individuo.

Ovviamente anche il varo di questo decreto è stato seguito ed enfatizzato dai media, con la presenza costante sulle maggiori testate per diversi giorni sì da tranquillizzare l’opinione pubblica ed anche gli alleati di governo visto che l’opposizione chiedeva le dimissioni di Bonafede.

A dimettersi, invece, sarà Basentini assieme ad altri funzionari e verrà sostituito dal giudice Petralia.

Quello che è avvenuto, di fatto, è stato il “commissariamento circolare” degli apparati che governano e gestiscono carceri e detenuti da parte della direzione nazionale antimafia. 

Questo aspetto, affatto trascurabile, va innanzitutto contro il principio di indipendenza, anche tra loro, dei diversi apparati dello Stato, in secondo luogo mette in discussione la funzione rieducativa e risocializzante del carcere, rimettendo il detenuto alla valutazione degli organi giudicanti come se il percorso intramurario non fosse mai esistito, rimettendo il detenuto al parere degli organi inquirenti e giudicanti significa cristallizzare la persona al momento della condanna, al reato quindi, senza possibilità alcuna per il detenuto di dimostrare i cambiamenti e i progressi  intervenuti nel periodo di detenzione.

Senza trascurare che questa bailamme mediatica ha messo in secondo piano l’emergenza sanitaria in atto e il diritto alla salute dei detenuti, l ‘aspetto più grave di questa vicenda rimane il fatto che a determinare queste modifiche, sostanziali peraltro, dell’ordinamento non siano stati i pareri degli esperti ma le sirene della propaganda populista. 

È innegabile il ruolo preminente dell’informazione e delle fake news nelle dinamiche securitarie ed emergenzialistiche, con un evidente sbilanciamento del potere di condizionamento a favore di una informazione parziale e fuorviante ma di maggiore appeal sull’opinione pubblica. 

Abbiamo assistito ad una messa in secondo piano dell’emergenza vera, quella sanitaria, a vantaggio di una “emergenza mafia” declinata al passato e sconfessata dai numeri; l’allarme di una mafia stragista pronta a riprendere la scena, un pericolo inesistente per una serie di fattori ben illustrati da esperti, eppure silenziati da una squadra di crociati morali che non applicano le leggi in un quadro costituzionalmente orientato (valido per tutti), con annesse e connesse garanzie del sistema penale. Ci troviamo, piuttosto, di fronte ad una presa di parola, forte, da parte di uno schieramento ampio e variegato di crociati morali a cui le garanzie costituzionali stanno strette, e  mettono in campo il vasto repertorio di una precisa retorica dell’antimafia che non parla la lingua dell’oggi, non analizza il fenomeno attuale; continua, piuttosto, a rinnovare l’allarme del passato nonostante l’estinzione di quella mafia

In queste cronache avviene un processo di mostrificazione assoluta dei vari Bonura in cui gli elementi oggettivi (malattia grave, età, fine pena prossimo, garanzie costituzionali e preminenza del diritto alla salute) vengono oscurati mettendo in primo piano l’irrecuperabilità di questi condannati per cui è necessario che marciscano in galera fino alla morte anche se hanno quasi finito di scontare la condanna che il tribunale degli uomini ha inflitto loro per la storia giudiziaria e  processuale.

È la certezza che viene data che le rivolte nelle carceri siano state organizzate da una regia mafiosa[45], che presuppone l’ennesima trattativa tra mafia e stato, e che questa ha portato all’emanazione della circolare per la “scarcerazione” dei boss. Le voci autorevoli, tra le altre quella di Giandomenico Caiazza[46], con codici e provvedimenti alla mano, che smentiscono questa affermazione vengono sovrastate e silenziate da quell’antimafia mediatica che affida a quel repertorio simbolico la predisposizione della nuova emergenza cancellando, al tempo stesso, Costituzione e Diritto.

Una operazione mediatica che rimette in primo piano la figura del nemico della nazione per eccellenza: la mafia. Una figura in grado di mobilitare:

le paure collettive in modo da richiamare e consolidare le ideologie precedenti sul nemico nazionale[47]

Quello che va in scena sui media è la reificazione di immagini macabre e mistificatorie: i fantasmi di Riina e Provenzano che prendono il posto delle centinaia di bare nelle chiese della bergamasca; è la strage di Capaci che si sovrappone, oscurandoli, ai camion militari che trasportano le salme; è il maxi processo di Palermo che prende il posto della ordinanza della regione Lombardia con cui si chiede di spostare gli infetti nelle case di riposo. È la strage degli anziani di cui non si conosce ancora l’entità, oscurata dalla sospensione della pena a Carmelo Terranova, dipendente da 10 anni da un respiratore, che il decreto Bonafede riporta in carcere e che dopo un mese muore[48]. Ma Giustizia è fatta! Annunciano i crociati a reti unificate, il fantasma di Cosa nostra è tornato in galera.

Cosa nostra: un pericolo che viene attualizzato andandolo a innestare nell’emergenza attuale, la pandemia, attraverso il lancio di alcune ipotesi di allarmi.   

E dietro questi allarmi, reali o ipotetici, qualcuno sta preparando il terreno per giocare varie partite a cominciare dall’auto-assoluzione dalle condanne che verranno dalle Corti per i 14 morti nelle carceri di Modena, di Rieti, di Bologna. Per le centinaia di contagi che stiamo contando tra i detenuti anziani e ammalati. Per le migliaia di corpi ammassati nelle prigioni, per le torture, per il degrado, per le famose “eccellenze sanitarie penitenziarie” che, dette così, sembrano esistere realmente. Ma le abbiamo viste con i nostri occhi le eccellenze come Parma, ed è confermata da atti ufficiali: lazzaretti. Lontane anni luce da quelle entrate nell’immaginario collettivo grazie a Non è l’Arena. E come Parma tutte le altre eccellenze.     

Viene allora da chiedersi perché questo passato viene riportato nel presente se anche i dati statistici ufficiali sconfessano gli allarmi lanciati dai tanti crociati.

La risposta potrebbe ricercarsi in eventi collaterali, ad esempio nelle vicende che stanno travolgendo il mondo della magistratura che, a partire dal caso Palamara, stanno svelando un mondo parallelo fatto “sistema” che rivela un livello di corruzione e condizionamento che molti illustri commentatori considerano “pari al sistema mafioso”. Un caso che rivela una prassi consolidata di favori, corruttele e raccomandazioni, che sta mettendo a dura prova la credibilità di uno dei poteri dello Stato, il più potente forse, quello che giudica e non è giudicabile se non da se stesso. In tal caso la finta questione dei “boss scarcerati” sarebbe stato solo un elemento di distrazione di massa.

Oppure il vero obiettivo della questione potrebbe essere stato quello di spuntare le armi, come è avvenuto, alla magistratura di sorveglianza quella che deve garantire i diritti. Un corpo eccessivamente buonista, che non fa marcire in galera il detenuto, cerca piuttosto di seguire il dettato costituzionale e normativo che vuole la pena finalizzata al riavvicinamento in società del reo. Imagistrati di sorveglianza che si attivano per sopperire alle mancanze politiche accelerando la valutazione delle istanze pendenti e rispondere alle sollecitazioni delle autorità sanitari in piena emergenza covid, sembrano essere diventati anch’essi inaccettabili. Il loro comportamento, fedele al dettato costituzionale e al mandato del loro ruolo, stride con le riforme in cantiere e ispirate dalla dottrina giustizialista che cova in questo paese da oltre 40 anni e che proprio adesso, in era covid, sta raggiungendo la sua massima espressione. 

Nel caso specifico la produzione di fake news ha determinato la falsa percezione nell’opinione pubblica che una nuova emergenza mafia stesse minacciando la sicurezza sociale ed economica della nazione. La produzione di false informazioni ha comportato la messa tra parentesi dei diritti costituzionali e naturali per una determinata categoria sociale, individuata sulla base di emergenze richiamate alla memoria dal passato, da parte delle agenzie sopra descritte, con la certezza che queste avrebbero suscitato il giusto grado di indignazione, consolidando l’ideologia securitaria altrimenti ingiustificata e ingiustificabile.

* www.intersezionale.com


[1]Dati statistici del Ministero della Giustizia:

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.pagefacetNode_1=4_54&contentId=SST250612&previsiousPage=mg_1_14

[2]https://www.poliziapenitenziaria.it/carceri-italiane#carceri_italiane_il_problema_del_sovraffollamento

[3]https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/need-extra-precautions/people-with-medical-conditions.html?CDC_AA_refVal=https%3A%2F%2Fwww.cdc.gov%2Fcoronavirus%2F2019-ncov%2Fneed-extra-precautions%2Fgroups-at-higher-risk.html 

[4]https://www.coe.int/en/web/cpt/-/council-of-europe-anti-torture-committee-publishes-report-on-italy-focusing-on-prison-establishments 

[5]https://www.agensir.it/quotidiano/2020/1/21/consiglio-deuropa-rapporto-su-carceri-in-italia-sovraffollamento-e-violenze-rivedere-il-41-bis/

[6]https://www.agensir.it/quotidiano/2020/1/21/consiglio-deuropa-rapporto-su-carceri-in-italia-garantire-a-ogni-detenuto-4-metri-quadri-di-spazio-vitale-maggior-ricorso-a-misure-alternative-a-detenzione/

[7]https://search.coe.int/directorate_of_communications/Pages/result_details.aspx?ObjectId=090000168099865c

[8]https://www.agensir.it/quotidiano/2020/1/21/consiglio-deuropa-rapporto-su-carceri-in-italia-agenti-non-siano-sorveglianti-del-mazzo-di-chiavi-i-casi-di-biella-saluzzo-e-milano-opera/

[9] Cfr. cap.1, p.7.

[10] Considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di piu’ ambiti sul territorio  nazionale rendono   necessarie   misure   volte   a    garantire uniformita’ nell’attuazione  dei  programmi  di  profilassi  elaborati  in   sede internazionale ed europea; in: DPCM 8 marzo 2020.  https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/08/20A01522/sg

[11] http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/15f03de99f77d523f00dd50d65883475. pdf

[12] https://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0019/434026/Preparedness-prevention-and-control-of-COVID-19-in-prisons.pdf?ua=1

[13] Elenco delle patologie e condizioni soggettive che avrebbero esposto ad un rischio maggiore di contagio.

[14] Vedi cap. 2 , par. 3.2. 

[15] L. 354/75 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1975/08/09/075U0354/sg 

[16] http://www.ristretti.it/commenti/2020/luglio/pdf4/convegno_yairaiha.pdf 

[17] In riferimento al decreto legge n. 29/2020 di imminente approvazione.

[18] G. Insolera, Declino e caduta del diritto penale liberale, Pisa, Ets, 2019, p. 131.

[19] https://rm.coe.int/16809cfda7

[20] Ordinanza 21 febbraio 2020 del Ministero della Salute n. 20A01220 – Ulteriori misure profilattiche contro la diffusione della malattia infettiva COVID-19.

[21] Art. 32 Cost., Art. 147 c.p.p., art. 11 O.P., art. 17 Reg. Esecuzione penale.

[22] http://www.procuracassazione.it/procuragenerale-resources/resources/cms/documents/Nota_PG_carceri.pdf

[23] https://www.ilriformista.it/il-capo-della-cassazione-scarcerate-per-evitare-sovraffollamento-75201/?refresh_ce

[24] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST996131&previsiousPage=mg_1_14

[25] D. Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Milano, Feltrinelli, 2018, p. 97.

[26] Nel 2019 sono state emesse due sentenze dalla Corte edu (https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/6728-la-sentenza-della-corte-di-strasburgo-sul-cd-ergastolo-ostativo-l-italia-condannata-per-violazione) e dalla Corte Costituzionale (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=188)  in merito alla possibilità per i condannati ai sensi del 4 bis, i cd “ostativi” di ottenere benefici penitenziari anche in assenza di collaborazione con la giustizia. Queste sentenze suscitarono la levata di scudi di certa antimafia che tennero banco nel dibattito pubblico per settimane mentre quello politico ancora prosegue con l’intenzione di introdurre una norma che le annulli.

[27] H.S. Becker, Outsiders. Studi di sociologia della devianza, Milano, Meltemi, 2017, pp. 125-137 (formato ebook).

[28] https://espresso.repubblica.it/attualita/2018/12/26/news/giuseppe-pignatone-cosa-nostra-ha-perso-1.329960

[29] https://www.dirittoineuropa.eu/politica-ed-economia/caso-provenzano-sentenza-cedu-condanna-litalia-per-violazione-art-3-della-convenzione/

[30] http://www.ristretti.it/commenti/2020/luglio/pdf4/convegno_yairaiha.pdf 

[31] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/24/coronavirus-travaglio-ad-accordidisaccordi-nove-scarcerazioni-boss-colpa-del-governo-unaltra-scemenza-totale-di-salvini/5781663/

[32] https://www.ildubbio.news/2020/04/23/la-fiera-delle-ipocresie-sulla-pelle-del-detenuto-bonura-scarcerato-9-mesi-dal-fine-pena/

[33] https://www.ildubbio.news/2020/04/22/il-boss-mafioso-bonura-ai-domiciliari-e-malato-maggiore-pericolo-di-contagio/

[34] https://www.ilfoglio.it/giustizia/2020/04/22/news/l-emergenza-covid-il-boss-ai-domiciliari-e-la-lettura-distorta-dei-partigiani-dell-antimafia-314326/

[35] https://www.ilriformista.it/dopo-travaglio-gli-insulti-di-saviano-siete-puttane-84717/

[36] https://www.ilriformista.it/fatto-quotidiano-ed-espresso-vogliono-in-italia-la-pena-di-morte-86187/

[37] https://www.la7.it/nonelarena/rivedila7/non-e-larena-puntata-del-26042020-27-04-2020-321643 

[38] https://rm.coe.int/16809cfda7

[39] La classificazione penitenziaria regola l’assegnazione dei detenuti a specifici circuiti penitenziari che sono suddivisi in Alta sicurezza (ulteriormente suddivisi per tipologia di detenuti in 41bis, AS1, AS2, AS3), media sicurezza e comuni.

[40] S. Berardi, Tra grovigli di circolari: viaggio nei circuiti di Alta Sicurezza d’Italia, in European Parliamentary Group GUE/NGL, Dallo Stato sociale allo Stato penale, Roma, Il Salto, 2019.    http://www.osservatoriorepressione.info/libro-bianco-repressione-diritto-resistenza/

[41] http://www.malanova.info/2020/07/18/verso-lo-stato-etico-tra-populismo-penale-e-costituzione-tradita/

[42]  Cfr. S. Verde, Massima sicurezza. Dal carcere speciale allo stato penale, Roma, Odradek, 2002, pp. 168-173.

[43] La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima questa legge perché viola la irretroattività delle leggi, art. 25 Cost..

[44] http://www.diritto24.ilsole24ore.com/_Allegati/Free/GU_Dl_28.pdf

[45] https://www.la7.it/nonelarena/video/nino-di-matteo-in-una-lunga-intervista-a-massimo-giletti-ne-e-valsa-la-pena-perche-ho-tentato-di-27-09-2020-341780

[46] https://www.la7.it/nonelarena/video/scontro-tra-caiazza-e-giletti-sulla-scarcerazione-dei-boss-il-conduttore-mi-sono-rotto-di-giocare-27-09-2020-341774

[47] A. Davis, Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale, Roma, Minumum fax, 2009, p. 232.

[48] https://www.facebook.com/yairaiha/posts/1549790615181722