Rossella Grasso*
“Tanto vale lasciarsi morire”. È questo quello che ha pensato A.G., condannato all’ergastolo dal 1996. Privato della libertà, del diritto allo studio, di curarsi e anche di vedere i propri familiari che vivono in un’altra regione ha deciso di lasciarsi morire iniziando lo sciopero della fame, rifiutando di assumere anche i suoi farmaci salvavita. Succede nel carcere di Secondigliano dove A.G. è stato trasferito lo scorso settembre da Voghera. A denunciarlo è Pietro Ioia, Garante dei Detenuti di Napoli e Sandra Berardi dell’Associazione per i diritti dei detenuti Yairaiha Onlus.
A.G. è detenuto ininterrottamente dal 1996, il suo ultimo reato risale al 1994, quando aveva appena 21 anni. “Oggi è una persona completamente diversa – si legge nella nota inviata da Sandra Berardi alle autorità penitenziarie – che ha effettuato una revisione critica del proprio passato, priva di qualsiasi collegamento e relazioni con le dinamiche criminali. A conferma di ciò anche la relazione della DDA di Catania del 5/7/2017 alla quale non risulta nessuna attualità di collegamenti”. A.G. ha iniziato il 25 maggio lo sciopero della fame e ha sospeso l’assunzione di medicine salvavita per combattere contro la cardiopatia e la sindrome delle apnee ostruttive di cui è affetto.
Ha iniziato lo sciopero della fame in risposta al rifiuto da pare dell’amministrazione del carcere di Secondigliano dell’utilizzo del Pc per poter studiare e del ventilatore che gli consente di sopportare il caldo e riuscire a sopravvivere per la sua cardiopatia. Proprio con lo studio infatti G.A. ha creduto fortemente di potersi riscattare da una vita piena di errori. Fin da subito ha cercato di portare avanti i percorsi formativi intrapresi negli istituti precedenti. Nell’istituto di Catanzaro ha infatti conseguito il diploma di istruzione superiore e diversi attestati di formazione; mentre a Voghera si era già iscritto all’università e, con il trasferimento, ha confermato questa volontà iscrivendosi alla facoltà di Sociologia presso la Federico II. “Un percorso personale volto all’affermazione del proprio cambiamento interiore, di allontanamento e presa di distanze delle dinamiche devianti che hanno caratterizzato la sua gioventù”, ha scritto Berardi.
La rappresentante dell’associazione Yairaiha Onlus spiega che gli è stata negata l’autorizzazione all’uso del computer, acquistato previa autorizzazione della CC di Secondigliano stessa, dai familiari e modificato per come indicato dalla stessa direzione ovvero la chiusura delle porte usb e l’installazione dei programmi consentiti. Un pc è legato alle attività di studio e alla fruizione del materiale universitario che l’università ha fornito su cd-Rom. “Essendo impossibilitato a consultare il materiale didattico, viene, di fatto, preclusa la possibilità di studiare – continua Berardi – Infatti, alla data odierna, non ha potuto ancora sostenere nessun esame e ciò costituisce una pregiudiziale ed un elemento demotivante che allontanano la persona dal personale progetto di crescita intellettuale e morale”.
Poi c’è il rifiuto, è relativo alla possibilità di utilizzare il ventilatore acquistato presso il carcere di Voghera, previa prescrizione medica, per le patologie su indicate già prima dell’entrata in vigore della circolare del 2017 che introduceva la disponibilità d’uso di ventilatori nei mesi estivi in tutti gli istituti di pena, attese le elevate temperature che si registrano nelle sezioni dove, ovviamente, non si ha alcuna possibilità di rimediare. “Faccio presente – scrive Berardi – che in relazione alle problematiche cardiologiche ed alle apnee ostruttive, a seguito di specifico esame polisonnografico eseguito presso l’unità operativa di medicina interna-servizio pneumotisiologico di Voghera, era stata prescritta la maschera cPAP (Continuos positive airway) e mai resa disponibile dalla direzione di Voghera né da quella attuale. Ora, alla richiesta di poter utilizzare PC e ventilatore, acquistati a norma e depositati nel magazzino dell’istituto, è stato risposto verbalmente che dovrebbe riacquistarli tramite lo spaccio interno del carcere”.
Nella lettera Berardi spiega così le motivazioni di questo sciopero della fame, perché, “se a un uomo privato della libertà, in questo caso per sempre, a cui si chiede già con la sentenza di condanna di fare emenda degli errori commessi, dopo ben 24 anni di carcere e un percorso detentivo e relazionale teso alla comprensione del male fatto e all’affermazione di valori altri, gli viene impedito di aderire alle regole imposte, di praticare e dimostrare il cambiamento da chi dovrebbe favorirlo e stimolarlo, specialmente in questo periodo di paura sociale che per i detenuti si è trasformato in una ulteriore privazione nella privazione, dovendo rinunciare alle poche relazioni di cui possono beneficiare e che nel caso specifico, trattandosi di detenuti originari di regioni extraterritoriali anche i colloqui familiari rimangono sospesi sine die, vuol dire che non c’è più nessuna speranza. Tanto vale lasciarsi morire. Con l’auspicio che questo gesto estremo e non violento, sebbene autolesivo – soprattutto per le già precarie condizioni di salute, possa richiamare le coscienze di quanti hanno in mano la vita di A.G. prima che sia troppo tardi”.
Il garante dei detenuti di Napoli, Pietro ioia, presto andrà a fare visita a A.G. insieme al collega regionale Samuele Ciambriello. “Tutti hanno diritto a curarsi e un detenuto, ammalato, non deve fare lo sciopero della fame per avere dei diritti e la salute è un diritto per tutti, sia dentro sia fuori il carcere”, ha detto.
Fonte: ilRiformista.it