Leggendo i dati statistici dell’ISTAT riguardanti il mondo del lavoro italiano, riusciamo a farci un’idea della reale composizione e delle dinamiche nei primi mesi del 2020. Di fatto la fetta di popolazione attiva – 15/64 anni – è suddivisa in 23.234.000 di occupati (59,53%) mentre risultano disoccupate 2.132.000 persone ed inoccupate 13.661.000 (40,47%). I titoloni delle principali testate economiche sottolineano la diminuzione della disoccupazione rispetto ai mesi precedenti e solo come sottotitolo l’aumento dell’inattività e della cassa integrazione.
Una piccola riflessione. Se consideriamo che tra gli occupati sono considerati anche i percettori di cassa integrazione ed altri sussidi e se sommiamo la popolazione under 15 ed over 64 possiamo certamente dire che nel nostro paese sono più le persone che non hanno un lavoro retribuito rispetto a quelle che hanno un lavoro stabile. Il dato si fa ancora più esplicito se togliamo dal computo i precari. Infatti nella categoria degli occupati, seguendo la nota metodologica ISTAT, sono comprese le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:
1) hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura;
2) hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente.
Che la composizione di classe tecnica e politica (e sociale aggiungiamo noi) non passa per un semplice dato quantitativo è questione nota e quindi non potrà essere un semplice dato statistico a guidarne la ricomposizione. Occorre però riposizionare il nostro focus su qualità e centralità del soggetto di classe che oggi in tutta evidenza non è il “lavoratore” inteso come categoria astratta. Per fare questo sarebbe opportuno che sindacati e movimenti iniziassero a prenderne atto. La soggettività e la composizione di classe sono relazione materiale che non si possono basare su figure mitizzate. La soluzione non passa nella rivendicazione dalla piena occupazione o da un reddito universale che – essendo “condizionato” – stenta a trovare una collocazione nel sistema dato. C’è bisogno, a nostro avviso, di un ripensamento radicale di alcune pratiche che, basate su una vertenzialità fine a se stessa, lascia dietro di se macerie e frustrazioni: la vertenza deve essere funzionale alla lotta. Spesso è il suo contrario.
IL REPORT DELL’ISTAT | Marzo 2020
OCCUPATI E DISOCCUPATI
Dati provvisori rispetto al mese di febbraio 2020, a marzo l’occupazione è in lieve calo e la diminuzione marcata della disoccupazione si associa alla forte crescita dell’inattività.
La diminuzione dell’occupazione registrata a marzo (-0,1% pari a -27mila) coinvolge sia le donne (-0,2%, pari a -18mila), sia gli uomini (-0,1%, pari a -9mila), portando il tasso di occupazione al 58,8% (-0,1 punti). Anche la forte diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-11,1% pari a -267 mila unità) coinvolge sia le donne (-8,6%, pari a -98 mila unità), sia gli uomini (-13,4%, pari a -169mila). Il tasso di disoccupazione scende all’8,4% (-0,9 punti) e, tra i giovani, al 28,0% (-1,2 punti). A marzo, la consistente crescita del numero di inattivi (+2,3%, pari a +301 mila unità) – tre volte più elevata tra gli uomini (+3,9% pari a +191mila) rispetto alle donne (+1,3%pari a +110mila) – porta il tasso di inattività al 35,7% (+0,8 punti). Confrontando il trimestre gennaio-marzo2020 con quello precedente (ottobre-dicembre 2019), l’occupazione risulta in evidente calo (-0,4%, pari a -94 mila unità) per entrambe le componenti di genere. Nello stesso trimestre calano anche le persone in cerca di occupazione (-5,4% pari a -133 mila) e aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+1,5% pari a +192 mila unità). Rispetto a marzo 2019, l’occupazione fa registrare un calo sia nel livello (-0,5% pari a -121mila unità), sia nel tasso (-0,2 punti). Nell’arco dei dodici mesi, alla diminuzione degli occupati si accompagna il calo dei disoccupati (-21,1%, pari a-571 mila unità) e l’aumento degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+4,4%, pari a +581mila)