di Alessandro GAUDIO*
Dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio u.s. e dall’adozione da parte del governo di misure molto restrittive delle libertà personali (il 12 marzo) sono trascorse ormai diverse settimane. Stampa, politica e una parte cospicua della comunità scientifica hanno lanciato una campagna che ha convinto moltissimi italiani della necessità di queste misure autoritarie (che si protrarranno almeno fino al 4 maggio p.v.) inducendoli a ignorare le poche voci critiche.
Tralasciando per un momento la virulenza innegabile dell’epidemia, ho ritenuto opportuno segnalare l’inadeguatezza del nostro sistema sanitario che ha dovuto operare, e in alcune regioni continua a farlo, in una totale mancanza di idee e di risorse. Questo rilievo introduce la questione delle responsabilità politiche: certe quelle passate, da riconsiderare sotto diversi aspetti quelle presenti. In più di un’occasione non è stato difficile osservare come le risposte di governo all’emergenza fossero dettate da panico, inadeguatezza e carenza di programmazione: il controverso caso della residenza sanitaria assistenziale di Torano Castello è soltanto l’ultimo in ordine di tempo, ben lontano, essendo vicino Cosenza, dallo sfacelo accertato in Lombardia, ma ugualmente preoccupante. Per uscire dalla crisi sanitaria, sociale ed economica non mi risulta che la nostra politica abbia prospettato la necessità di cambiamenti radicali, né ha seguito un principio di massima diverso da quello della mera imitazione: quale sarebbe la ratio della app Immuni, sistema ancora in fase di elaborazione per tracciare i contatti delle persone contagiate e che dovrebbe aiutare a gestire la fase 2?
Del resto, la politica ha individuato soluzioni spesso incongruenti, incostituzionali e, in molti casi, assistenzialistiche, per lo più richiamandosi pedissequamente a posizioni volte a un cieco sovranismo o, obbligatoriamente, a uno sfolgorante e vuoto europeismo: corni di una questione che va ben al di là della mera permeabilità dei nostri confini.
Ad ogni modo si continua a ripetere che non ci sono i soldi per fare tamponi a tutti e che non si possono controllare gli spostamenti degli infetti, in particolare degli asintomatici, rendendo così vane le misure di contenimento attuali: ma invece di ripristinare il servizio attivo della medicina di base o l’assistenza degli affetti da Covid-19 in strutture apposite o magari a casa loro, preferiamo tracciare con una app, che si appoggerà sulla disastrata rete bluetooth, i dati dei cittadini coperti da privacy e farli gestire chissà da chi. Siamo tutti al corrente del fatto che ancora adesso moltissime persone, app o non app, continuano a essere lasciate in balia di se stesse? Davvero si crede che queste persone riusciranno a scaricare questa app o, per lo meno, a dotarsi di smartphone che ne supportino la tecnologia?
Anche il sostegno alle attività lavorative, che, motivatamente o no, sono bloccate da più di un mese, è largamente insufficiente e sta generando una profondissima crisi sociale e psicologica. Crisi che impedirà a molti di reagire con prontezza quando il virus si riproporrà o allorché dovremo far fronte a un’altra catastrofe. La soluzione c’è e, pur avendola considerata più volte in queste note, non è inutile riproporla alla vigilia del 25 aprile: essa prevede l’acquisizione di una coscienza critica che superi la propria passività e passi da una valutazione attenta dei fatti, che non si esaurisca in un passivo assorbimento delle decisioni altrui e che si sottragga con lucidità ai tentativi di manipolazione intellettuale operati da media, amministratori e, talvolta, anche dalla scienza.
Torre della Signora, 24 aprile 2020
*R.A.S.P.A. (Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela)