Secondo i dati dell’OMS il numero ufficiale di persone infette dal Covid-19, ha superato ieri, a livello mondiale, i 2 milioni con oltre 123mila morti. L’82% dei casi di contagio si sono registrati in quelle Regioni che oggi detengono il 60% del PIL mondiale (Usa, Europa e Cina sostanzialmente) e sono proprio in queste aree economiche, secondo Goldman Sachs e il Fondo Monetario Internazionale a seguire, che arriverà una contrazione drammatica dei rispettivi PIL nazionali.
In Italia la ferita che lascerà il coronavirus è decisamente tra le più profonde: si parla di un crollo del PIL del 9,1% per l’anno in corso. Ma il quadro globale che viene tracciato dal recentissimo rapporto (pubblicato lo scorso 14 aprile) sulle previsione economiche del World Economic Outlook del FMI è altrettanto allarmante. A riguardo, Gita Gopinath, capoeconomista del FMI, ha affermato che «La perdita cumulata tra il 2020 e il 2021 potrebbe essere di circa 9mila miliardi di dollari, più grande delle economie di Giappone e Germania insieme». Il PIL pro-capite scenderà quest’anno in 170 Stati.
L’Italia, dicevamo, è tra i Paesi più colpiti in Europa insieme alla Spagna (8%); solo la Grecia accuserà quest’anno una riduzione del PIL più pesante, con un calo del 10%. Nell’Eurozona, che nel complesso vedrà il PIL ridursi del 7,5% (con ripresa del 4,7% nel 2021), il Fondo raccomanda «interventi mirati a sostegno dei Paesi più danneggiati».
Per gli Stati Uniti, la contrazione sarà del 5,9%, alla quale seguirà una crescita del 4,7%. La Cina si salverà dal segno negativo, ma la sua crescita si “fermerà” quest’anno all’1,2%, per poi accelerare oltre il 9%.
Nella prefazione al rapporto, Gopinath ribadisce che la recessione generata dalla pandemia «non ha precedenti» e fa impallidire quella legata alla crisi finanziaria globale: nel 2009, la flessione fu dello 0,1%. Probabilmente quella in corso sarà la recessione più severa dalla Grande depressione del 1929.
Per l’Italia il dato è ancora più drammatico se si pensa che nel 2009 il PIL ebbe una contrazione del 6% (tre punti in meno di quella stimata per il 2020) con gli esiti sociali ed economici che tutti conosciamo. La fase che si prospetta dunque sarà ancora più terribile.
Sempre la capoeconomista del FMI afferma che «come durante una guerra o una crisi politica, c’è una perdurante e grave incertezza sulla durata e l’intensità dello shock» infatti le stesse previsioni del FMI ne risentono, non riuscendo a individuare il più probabile valore del rimbalzo atteso per il 2021 che potrà esserci se la pandemia da COVID-19 “scomparirà” nella seconda parte del 2020. Senza mezzi termini il FMI ipotizza tre diversi scenari «peggiori» rispetto a quello presentato come «probabile».
Nel primo caso, l’ipotesi è quella che necessiterà più tempo del previsto per fermare il contagio: la recessione sarebbe di tre punti più grave rispetto a quella stimata, seguita da un rimbalzo di un punto inferiore nel 2021. Il secondo caso ipotizza, invece, un’altra ondata pandemica nel 2021, che vanificherebbe qualsiasi ipotesi di ripresa. Il terzo scenario prende in considerazione un incrocio delle due ipotesi precedenti che porterebbe ad una grave recessione anche per il 2021, con un PIL di 8 punti più basso rispetto al 5,8% stimato.
Lo shock pandemico avrà evidentemente un impatto pesante sul mondo del lavoro. Per l’Italia, il FMI prevede un tasso di disoccupazione in aumento dal 10 al 12,7%; in Portogallo raddoppierà a quasi il 14%, mentre in Spagna e in Grecia salirà rispettivamente del 21% e 22%. Il dato aggregato chiaramente risente del maggior contraccolpo nei cosiddetti paesi PIGS: l’Eurozona nel suo complesso vedrà i disoccupati salire al 10,4%. Chi reggerà maggiormente il colpo sarà la “virtuosa” Germania il cui tasso di disoccupazione resterà sotto il 4%. Fuori dall’Eurozona il dato è altrettanto drammatico: negli USA si passerà dal 3,7% del 2019 al 10,4% del 2020.
La risposta alla crisi contenuta nel report ripropone le storiche ricette ultraliberiste condite, questa volta, con un po’ di salsa socialdemocratica: «la priorità immediata è contenere la pandemia», soprattutto aumentando la spesa a sostegno dei sistemi sanitari affinché «si possano mettere le persone nelle condizioni di provvedere ai loro bisogni e garantire che le imprese possano ripartire rapidamente appena sarà terminata la fase acuta della crisi». Per questo servono, secondo il FMI, politiche di bilancio, monetarie e finanziarie «consistenti e mirate».
Lasciamo alle fantasie del lettore immaginare quali possano essere queste politiche «consistenti e mirate». La “trappola perfetta” del MES, degli EUROBOND e della BCE – oggi al centro di sterili discussioni tra eurocentrici e sovranisti – l’abbiamo più volte smascherata dalle pagine di questo giornale e rimandiamo, per ulteriori approfondimento, alla video conferenza tenuta da Attac Italia proprio ieri.
Resta però tutto in piedi l’interrogativo di fondo – reso più urgente anche dall’analisi del FMI – su come non far pagare alle fasce sociali deboli, per l’ennesima volta, gli effetti di questa recrudescenza della crisi globale è dell’’inadeguatezza di questo sistema di sviluppo.
Per fare ciò occorrerebbe, a nostro avviso, uno sforzo collettivo immaginifico su quella che vorremmo fosse la “nuova società” post-pandemica. Se è vero che l’epidemia ha messo a nudo i limiti del sistema sociale dominante è altrettanto vero che questo non basterà a modificarne le soggettività. Resterà forte l’imprinting capitalista e dopo la fase restrittiva e del distanziamento sociale imposto, l’approccio potrebbe essere quello della diffidenza, della precauzione e dell’individualismo nei rapporti sociali. È proprio in questa fase che bisogna intervenire per evitare il peggio agendo simultaneamente su due piani.
Per esemplificare, il primo è quello della riproduzione sociale da contrapporre alla produzione e il secondo è quello della centralità del valore d’uso rispetto al valore di scambio. Su questi due piani correranno una serie di direttrici strategiche che la crisi pandemica ha rimesso al centro: mutualismo e autogoverno, ecologismo, riappropriazione dei beni comuni, reddito e lavoro (quale?).
Se è vero che il dualismo di potere è un processo simultaneo di domanda e di costruzione sociale, nelle prossime settimane e mesi, dovremo capire non solo come sopravvivere nella fase attuale, ma anche come sviluppare una forza che impedisca il ripristino dell’ordine precedente. L’orizzonte si dovrà estendere alla costruzione di formazioni autonome in grado di sfidare il sistema politico ed economico che ci ha portato all’attuale crisi.
Redazione Malanova