di Alessandro GAUDIO –
Che cos’è un sottoterritorio? Si tratta di una definizione di ordine prettamente architettonico che indica un non-luogo fatto di quartieri privi di identità, estremamente frammentato e quasi esclusivamente devoluto a dormitorio. Al suo interno si sopravvive ridotti a un popolo di pazienti, ricattabile, del tutto incline all’individualismo e, con paradosso soltanto apparente, privo della possibilità di scegliere. Sul sottoterritorio è calato un oscuramento culturale che lo ha consegnato definitivamente all’informe e alla distruzione paesaggistica oppure, ma è la medesima cosa, all’intrattenimento turistico. Nei diversi sottoterritori (l’Alto Ionio, si sa, non è il solo presente sul suolo calabrese) si è arrivati, così, ad assuefarsi al mostruoso.
Il mostruoso ha in qualche modo a che fare con l’indiscrezione che, poi, è il contrario della discrezione, in altre parole della politica, della bellezza della vita in comune. Nel suo regno vige una rigida compartimentazione che spersonalizza ogni singola esperienza. Ed è appena il caso di precisare come nell’autosegregazione l’insicurezza e la paura nei confronti del diverso, dell’esterno, del globale finiscano per trionfare. Non bisogna aspettare troppo perché l’autosegregazione si consumi in un bisogno, compulsivo ma sterile, di affermare e di dispensare opinioni, allontanandosi, però, dall’azione e dalla realtà che, nei sottoterritori, è disoccupazione, inabilità, grandi opere inutili, rifiuti tossici e cancro.
E patologica è anche quell’onnivisibilità − fatta di machismo, populismo, diprezzo per i deboli e da una neolingua poverissima sul piano lessicale e dalla sintassi elementare − che, nell’informazione così come nelle relazioni individuali, oscura lo spirito del tempo, il senso dei luoghi, ha detto qualcuno, così come gli spazi di riflessione, di discussione e di resistenza. Perché il sottoterritorio è regolato da un’amministrazione che riesce a essere provvisoria e, allo stesso tempo (non si sa come), è confitta in un eterno presente, che non protegge più chi vi abita e che, in assenza di assemblea, non deve dare conto a nessuno.
Già, l’assemblea. Perché nel sottoterritorio dell’Alto Ionio non si dà fiato, né consenso ai pochissimi movimenti attivi. Nella migliore delle ipotesi, si raccatta per loro qualche voto se hanno l’idea strampalata e perdente di presentarsi alle elezioni; quando, invece, ci sarebbe bisogno di altre dimostrazioni, anche clamorose, di partecipazione operosa, di disobbedienza civile, di solidale umanità, che vadano ben oltre le leziose canzonette elettorali.
In un quadro così delineato − fondato su un governo cinico a sua volta edificato su un sistema economico (e non di certo genetico) spietato −, sempre meno persone sono in grado di accorgersi che, pur ergendosi fittiziamente a intenditori specializzati (o, forse, proprio in misura di ciò), scelte e conclusioni si rivelano semplicemente sbagliate. Tale mancanza di metacognizione porta l’uomo del sottoterritorio a ignorare la propria ignoranza e, d’altro canto, fa sì che le conoscenze di base di ognuno restino largamente incomplete. Per questa via nel sottoterritorio dell’Alto Ionio un problema individuale gravissimo è diventato, presto, sociale: in esso non si riesce più a dare forma ai desideri, ragion per cui − come ammoniva Italo Calvino nelle Città invisibili, parlando di Anastasia − essi finiranno per cancellare il territorio o magari, come sta già accadendo, saranno del tutto cancellati da esso.
Alessandro Gaudio – R.A.S.P.A.