I nuovi volti del Mediterraneo è un piccolo saggio che, grazie a strumenti storici, sociologici, politologici, antropologici e di studi internazionali, cerca di evidenziare un quadro chiaro tanto del ruolo strategico dell’area del Kurdistan all’interno del Mediterraneo (anche se non si trova direttamente sulle sue sponde) e del mondo occidentale, che di nuove pratiche di democrazia e nuovi poteri costituenti, con particolare riferimento ai principi del Confederalismo Democratico esplicitati nella Carta del Rojava.
Leggere la prima parte del libro significa aprire la carta geopolitica dell’area mediterranea dalla fine della Prima Guerra Mondiale fino ad arrivare alle rivolte arabe e alle conseguenze che hanno portato nell’area, tra queste, lo sviluppo delle crisi irachena e siriana, nonché l’evoluzione dei fondamentalismi islamici.
La figura della Turchia, dalla sua formazione alla sua evoluzione nel contesto mediorientale ed europeo, è trattata analizzando i processi passati che continuano a perpetrarsi nel tempo e che hanno portato all’ideazione di un’identità nazionale turca e quindi alla persecuzione di minoranze culturali, linguistiche, politiche. Viene presa in considerazione la questione kurda in Turchia a livello culturale, linguistico, geografico e demografico.
I curdi, avendo caratteristiche socio-culturali proprie, si distinguono nettamente dalla popolazione turca. Il popolo curdo è stato deprivato di molti diritti, come quelli di apprendere nelle scuole e tramandare la propria lingua e identità culturale, in particolare in Turchia, Siria e Iran. La questione curda in Turchia è soprattutto un problema politico ed economico. In una cornice fatta di persecuzione e di assimilazione culturale e identitaria, l’emigrazione, a partire dal ‘900, rappresenta una valvola di sfogo per questo popolo. Un popolo che da sempre è in rivolta contro gli oppressori, un popolo che non ha mai abbassato la testa davanti al potere e che si batte per l’autodeterminazione e la libertà di uomini e donne.
Il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) con le sue pratiche sempre pronte ad adattarsi ai tempi e alle vicende politiche in corso, viene presto considerato organizzazione terroristica da Turchia ed Europa, i suoi militanti criminalizzati nel mentre la figura del leader Öcalan diventa una delle più influenti a livello globale.
Dopo aver tracciato una breve storia dei rivolgimenti storici e politici che hanno visto protagonisti il popolo curdo e la nazione turca, si passa ad un’analisi politica dei principi del Confederalismo Democratico, fondati sull’uguaglianza di genere e che si contrappongono alla logica del capitale. Öcalan, che pone il tema della libertà delle donne al centro della società intera, afferma che lo sfruttamento di genere deve essere rapportato ad altre forme di sfruttamento, giudicando i rapporti di potere tra uomo e donna come forme di relazione capitalistiche che alimentano schiavitù, dispotismo, fascismo e militarismo. La questione di genere si lega a un altro principio, quello del rispetto delle risorse e a una concezione ecologista del mondo, mutuata dalle teorie di Murray Bookchin. Vengono intrecciate teoria – facendo riferimento alle teorie del potere (Foucault, Wallerstein, Arrighi) – e pratica, non tralasciando le lotte reali che nei decenni il popolo curdo ha portato avanti con determinazione e azioni sempre pronte ad evolversi. Come lotte reali sono prese in considerazione le esperienze del PKK e dei curdi appartenenti ai corpi di difesa delle YPJ e YPG, che hanno portato avanti forme di sperimentazione basate sull’autodifesa che va di pari passo con l’autoformazione culturale, politica e militare.
Questo libro, frutto di un‘esperienza sul campo, rappresenta una testimonianza diretta, impreziosita da uno sguardo ampio su tutto il Mediterraneo, ha il grande merito di offrire un contributo fondamentale nella lettura della questione kurda. Ma soprattutto è capace di raccontare la fierezza di un popolo attraverso le parole di uomini e donne che hanno combattuto a Kobânê prima e continuano a difendere vasti territori dalla minaccia rappresentata da Da’es – dalla Siria all’Iraq, passando per la resistenza contro lo stato turco – dei bambini e delle madri che vivono nei campi profughi autogestiti dalle municipalità Kurde, di coloro che hanno perso la vita per mano dello Stato Islamico e dei tanti che ancora oggi continuano a resistere in tutta la regione.
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