14 e 15 Settembre Assemblea Nazionale a Roma
L’attuale situazione politico-istituzionale ci consegna un quadro estremamente mutevole e di grande incertezza. Ciò che è certo è invece il violento attacco sferrato contro i poveri e i migranti, contro chi si organizza nelle piccole e grandi città, nei mari e nelle campagne, contro chi pratica azioni di solidarietà – tutte questioni trattate sempre più come materia di ordine pubblico. Le due Leggi Sicurezza, le scellerate misure economiche, le politiche sulle grandi opere che ci parlano solo di speculazione e distruzione di territori e comunità, e l’uso sempre più spregiudicato del razzismo istituzionale, non fanno altro che rafforzare un senso comune fatto di intolleranza e violenza verso migranti, rom, poveri, donne e soggettività lgbtqiapk+ e chiunque si opponga a uno stato di cose sempre più opprimente.
Da questo punto di vista, la città di Roma è un terreno di sperimentazione di politiche urbane sempre più escludenti. Infatti da mesi è in atto un costante attacco alle tantissime esperienze di autogestione così come agli spazi abitativi vissuti da migliaia di persone, come ad esempio quello di Via Cardinal Capranica, sgomberato lo scorso luglio, e lo stabile di Viale del Caravaggio, sempre più a rischio nonostante la conclamata mancanza di soluzioni alternative. A questo clima repressivo ha però corrisposto la costruzione collettiva di spazi di discussione e mobilitazione e di diversi momenti di radicalità, che hanno saputo rispondere in più forme: dai presidi anti-sgombero al corteo cittadino dello scorso 22 giugno, passando per le piazze pubbliche in solidarietà agli sbarchi delle navi delle tante ONG, in difesa della libertà di movimento e contro l’approvazione del Decreto Sicurezza Bis, fino alla complicità verso chi subisce atti di razzismo, come accaduto nelle periferie romane di Torre Maura e Casal Bruciato.
Allargando lo sguardo dalla città di Roma all’Italia intera, vorremmo aprire uno spazio di discussione e confronto per tutt* coloro che nell’ultimo anno hanno costruito tante e diverse forme di mobilitazione e resistenza: dalle contestazioni di piazza contro le politiche di governo fino ai salvataggi in mare, dai cortei contro il Nulla Che Avanza a quelli contro le Grandi Opere fino a chi ogni giorno cerca di rompere le frontiere di mare e di terra. Da chi si organizza contro lo sfruttamento e per il diritto di sciopero a chi difende il proprio diritto all’abitare e alla città, senza dimenticare le grandi e fondamentali lotte in difesa della terra, della biodiversità e dei popoli indigeni contro il modello capitalista che sta distruggendo il futuro di tutt* noi. Per questo il 14 e 15 settembre vogliamo costruire una due giorni nazionale articolata in plenarie e tavoli tematici di discussione e confronto negli spazi dell’occupazione abitativa di Via Caravaggio e di Lucha y Siesta.
TESTI INTRODUTTIVI AI TAVOLI DI LAVORO DI SABATO POMERIGGIO:
1) Frontiere interne, migrazioni, confini nelle città
Le città e gli spazi urbani sono crossing zone, luoghi nei quali le politche sulle migrazioni sperimentano disparità e rifiuto dove, come in mare, si tenta di respingere, attraverso la negazione di accoglienza e dignità, migliaia di persone scampate al Mediterraneo.
A contrastare questa strategia di mobbing, che si caratterizza con il divieto dell’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, le retate urbane, le quotidiane intimidazioni razziste e le discriminazioni istituzionali, centinaia di cittadini attivisti e volontari hanno occupato interi metri quadri di suolo, pubblico e privato, sottraeondolo all’odio e all’intolleranza e trasfomamdoli in veri e propri safe place dove ricostruire cittadinanza e comunità solidale. Vertenzialita, controinformazione, supporto legale, accoglienza informale dal basso abbattono frontiere in un percorso concreto di opposizione sociale e civile, con l’obbiettivo di ribaltare il sistema sovranista di “selezione” ed esclusione. Il tavolo intende confrontarsi sulle reti, buone pratiche di solidarietà e disobbedienza civile per ampliare e connettere questi luoghi urbani costruendo strumenti di replicabilità e campagne comuni di accoglienza.
2) Lavoro e welfare
Parlare oggi di lavoro vuol dire fare i conti con una realtà complessa, quasi sempre distorta nel dibattito pubblico e mediatico, utilizzata come uno slogan vuoto dalle forze politiche che in questi anni si sono succedute al governo e che, nessuna esclusa, hanno portato avanti un progetto di smantellamento di diritti, salari e welfare strettamente connesso alla dottrina della maggiore produttività come conseguenza di livelli crescenti di flessibilità.
Un dibattito che sia all’altezza delle sfide epocali che ci troviamo ad affrontare deve essere in grado di immaginare strumenti per riconnettere il tessuto frammentato del mondo del lavoro, ricostruire rapporti di forza vantaggiosi, prendere parola sulle condizioni materiali, sui diritti e sulla liberta di lavoratrici e lavoratori, intervenire nei settori “classici” così come all’interno di nuove modalità di sfruttamento intensivo, come quello della gig economy, tenere insieme il lavoro dipendente e quello autonomo impoverito.
Salario minimo, reddito e welfare universale, gender pay gap, riduzione di orario per liberare tempi di vita, fiscalità progressiva, permesso di soggiorno slegato dalla prestazione lavorativa: queste sono solo alcune delle rivendicazioni che i movimenti precari e le realtà sindacali conflittuali hanno portato avanti negli anni, strumenti da non leggere in contrapposizione tra loro ma utili a rilanciare campagne e mobilitazioni per tornare a prendere parola in maniera incisiva e per trovare un terreno comune per tutte le soggettività che subiscono uno sfruttamento crescente e un isolamento che ne indebolisce le capacità di lotta.
Come dicevamo, non si parte da zero: lo straordinario lavoro fatto nella logistica o tra i braccianti in lotta, settori a composizione fortemente migrante, il movimento femminista transnazionale di “Non una di meno”, che ha saputo dare nuovo significato allo sciopero a livello globale e ha affrontato moltissime di queste tematiche in maniera trasversale, l’esplosione del movimento per la giustizia climatica che proprio negli scorsi mesi ha tentato di utilizzare lo sciopero come strumento di lotta e agitazione, le molte realtà che si occupano di precarietà e provano a sviluppare nuove pratiche di sindacalismo sociale: esistono molti percorsi da conoscere e tentare di mettere in connessione e questo tavolo rappresenta un’occasione per farlo. Mettere in comune idee, spunti e mobilitazioni che possono, e devono, entrare in connessione, costruire relazioni virtuose e traiettorie di ampio respiro è una sfida che pensiamo non sia più rimandabile.
3) Guerra all’autogestione e diritto alla città: organizziamoci contro il Nulla che avanza!
In Europa, e non solo, una densa onda reazionaria di è abbattuta travolgendo schemi e simboli, rianimando idee sopite di razza e nazionalismo, piantando semi di razzismo e sfruttamento. Questa lenta ma sempre più evidente dinamica sociale ha spinto le forse liberali e democratiche in una rincorsa a destra su temi quali sicurezza, degrado, immigrazione; ha approfondito i solchi già scavati con le lotte del movimento operaio negli ultimi 2 secoli in tema di lavoro e diritti. Di fronte a questo poche voci hanno voluto farsi sentire con chiarezza e determinazione, spesso relegati nella solitudine, schiacciati in dinamiche territoriali, descritti come “popolo del no”.
Tra queste voci non sono mai mancate quelle dei centri sociali e occupazioni, realtà animate da collettivi che da anni rappresentano una vera e propri anomalia. Lo rappresentano in termini di longevità, visto che nel resto di Europa un processo di normalizzazione e distruzione si è vi delineato già a partire dagli anni 90. Ma anche in termini di lettura politica, visto che questi spazi nati in opposizione al sistema neoliberale e con una straordinaria capacità di socialità, si sono trasformati, attraversati ormai da tre generazioni, provando faticosamente a rappresentare un’alternativa.
Questa alterita’ fatta di relazioni e cultura, ma anche di lotte quotidiane, rappresentano nei quartieri in cui sono una solida forza. Amati o odiati, esistono nel tessuto sociale costruendo sempre un punto di vista alternativo, spesso più complicato della facile retorica della sicurezza e del razzismo, sono comunità larghe, meticce ed inclusive, offrendo strumenti di riflessione ed organizzazione. La necessità di doversi mettere in discussione, proprio alla luce di una nuova fase, sta facendo compiere a molti delle riflessioni approfondite proprio sul senso dei nostri spazi, di quale capacità di aggregazione e riconoscimento politico e sociale abbiamo, di quali forme organizzative dotarsi.
Una riconversione per uscire dall’empasse di isole a paradigma di comunità autogestite connesse in un processo costituente di istituzioni dal basso, radicali e partecipative. In grado di decidere e difendere i propri diritti, a partire dai propri stessi territori. Riflessione che parte da quelle forme di welfare e diritti che all’interno dei nostri spazi vengono organizzati e condivisi.
È proprio in questa fase, gli spazi sociali subiscono uno degli attacchi più profondi e strutturati da parte del potere delle istituzioni. Richieste di sgombero e sgomberi veri e propri si materializzano, indipendentemente da quale rappresentanza politica si trovi a governare le istituzioni del paese o delle singole città. La scelta di dover risolvere e silenziare queste esperienze è un tratto distintivo delle politiche di governance, spesso che si lega alla voracità di speculazioni edilizie o di opere nocive, non di rado persecutorie e rabbiose quando le nostre posizioni creano consenso e forza resistente. L’ultimo decreto sicurezza ne è un esempio esplicito, con norme tese ad eliminare decine di esperienze occupate ed autogestite, con una bere e proprie liste stilate in collaborazione tra Viminale e prefetture. A partire da queste prime riflessioni vorremo trovare parole ed iniziative comuni sulla difesa degli spazi occupati ma, guardando oltre, poter ragionare sul superamento dei limiti e la condivisone di nuove reti e relazioni.
4) Con ogni mezzo necessario – Tavolo diritto all’abitare
La necessità di superare le politiche emergenziali che hanno caratterizzato da lungo tempo i programmi di governo centrale e locale, a prescindere dalla collocazione sinistra/destra, deve spingere la nostra riflessione verso un confronto capace, da una parte ad arginare la svolta securitaria volta a garantire ad ogni costo il diritto proprietario sopra ogni cosa e dall’altra, ad immaginare una strutturale progettazione alloggiativa pubblica basata sul riuso del costruito e su una tassazione progressiva dell’invenduto privato. Ragionare in questi termini ci può consentire di concepire l’abitare
come bene d’uso capace di contrastare ulteriore consumo di suolo, grandi opere inutili e la voracità della rendita mascherata da formule di rigenerazione urbana fondate sul ricatto economico verso amministrazioni malmesse. Questo ragionamento si rende ancora più necessario in ragione della ‘discontinuità’ invocata dalla nuova compagine di governo anche in materia di politiche abitative, citate a più riprese nel nuovo ‘programma di governo’.
In definitiva dovremmo misurarci con le nuove forme di controllo delle povertà esibite come strumenti di assistenza verso le fragilità sociali, spostando il tema casa come diritto a quello dell’emergenza, ma che in realtà ledono diritti fondamentali, trasformando le pratiche di lotta consolidate come le occupazioni in attentati contro la legalità negando la relazione tra conflitto e trattativa, riducendo la questione sociale in una mera questione di ordine pubblico a difesa degli interessi della rendita.
Il tavolo si propone di ragionare su questi temi e di articolare campagne che sappiano imporre uno stop a sfratti e sgomberi e alla criminalizzazione di chi si è attrezzato per recuperare reddito indiretto ed evitare di essere espulsa dalle città e dai quartieri dove ha costruito la propria vita. Riteniamo inoltre necessario riprendere il filo del ragionamento su come scardinare legislazioni punitive come l’articolo 5 del Piano Casa Renzi-Lupi, così come ragionare su come esigere ed ottenere politiche abitative che escano da una logica emergenziale per utilizzare il patrimonio esistente e rispondere alla domanda di abitare a partire dalle esperienze di rigenerazione urbana, e autorganizzazione, dal basso. In ultimo, dovremmo essere capaci di aprire una riflessione su quei dispositivi di legge che mescolando la sicurezza urbana con i flussi migratori, hanno voluto dare un chiaro segno di classe allo scontro praticato, sempre più spesso, dall’alto verso il basso. La composizione meticcia di diverse lotte ci interroga sul ruolo che intendiamo avere dentro questo scontro.
5) Frontiere esterne, migrazioni e libertà di movimento
I confini sono al centro della nostra esperienza contemporanea. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un processo di progressiva frontierizzazione e militarizzazione delle acque territoriali, con la criminalizzazione delle migrazioni e del soccorso in mare che ha raggiunto livelli inauditi.
Nonostante la violenza normativa, amministrativa e fattuale sviluppata dal governo e dagli apparati di controllo nell’ultimo anno, il rapporto tra migrazioni, territorio e movimenti e tutt’altro che pacificato. Se le politiche di contenimento il Libia segnano un passaggio la cui portata storica è ancora da mettere a fuoco, l’intermittente ma incessante movimento dei migranti che attraversano le frontiere esterne e interne formalmente chiuse rappresenta il segno di quanto i dispositivi di contenimento, per quanto feroci, non determino forme di controllo totali: possono essere contestati e profanati.
La somma tra pratiche di contenimento e strategie di resistenza non è – ovviamente – a somma zero. La violenza attraversa le politiche di gestione dei confini interni ed esterni ed è il carattere dominante di gran parte delle procedure che vengono applicate dopo lo sbarco. Il tema del salvataggio in mare è centrale e l’azione delle organizzazioni che effettuano operazioni di solidarietà e soccorso rappresentano un patrimonio comune imprescindibile. Allo stesso tempo, appare fondamentale, in questa specifica fase politica, evitare che i discorsi sulle migrazioni siano unicamente discorsi sulle ONG e sulla criminalizzazione dei soccorsi.
Le frontiere, infatti, non sono soltanto quelle delle acque territoriali. L’esperienza del confine e del confinamento accompagna i cittadini stranieri senza soluzione di continuità. Hotspot, CPR, Questure ma anche i luoghi di lavoro, di formazione, di vita sono organizzati intorno alla logica del confine, finalizzata alla classificazione, all’inclusione differenziata e alla messa a valore. Da questa prospettiva è urgente sviluppare iniziative di solidarietà e di contrasto alle politiche di confinamento ovunque si sviluppino. Le mobilitazioni degli ultimi mesi contro i cd. decreti sicurezza e di sostegno alle operazioni di salvataggio in mare sono la testimonianza di quanto sia giusto, necessario e possibile mobilitarsi in forma aperta e partecipata su questi temi. È opportuno continuare su questa traiettoria e contrastare le forme di confinamento non solo lì dove sono rese visibili dalle iniziative del governo ma anche lì dove lavorano quotidianamente sottotraccia.
6) Contro il decoro, nos mueve el deseo!
Sommerse dal rumoroso trambusto della politica italiana, le voci dei giovani e dei precari sono oramai da troppi anni silenziate. Generazioni intere che hanno vissuto il sistematico smantellamento di scuole ed università dopo decenni di riforme disastrose, dalla Gelmini alla Buona Scuola, che sono costrette ad accettare lavori precari e a vivere in città rese inospitali da chi vuole farne centri commerciali a cielo aperto. La questione giovanile e i difficili equilibri all’interno dei quartieri e delle città sono temi strettamente connessi tra loro, in un’Italia della crisi e della stagnazione, 10 anni dopo dall’inizio del periodo di recessione.
Oggi cosa significa essere giovani? La risposta non é affatto semplice ma richiede innanzitutto di abbandonare una definizione “anagrafica” di una generazione per cominciare a parlare di soggetti le cui forme di vita per essendo precarie e sconnesse tra loro, hanno dei tratti distintivi che le caratterizzano. Le nostre vite sono spesso molto diverse ma in un certo modo ci ritroviamo in una serie di esperienze comuni: giovane è oggi chi migra e attraversa le città senza sapere quanto tempo rimanerci, chi affronta la disillusione della “promessa” e gli affanni di un futuro appannato e incerto, chi si ritrova senza punti di riferimento quando le strade e le piazze vengono svuotate e trasformate in vetrine, tanto attraenti quanto vuote e spoglie. Che ruolo abbiamo all’interno delle città che viviamo? Quali spazi di partecipazione rimangono a noi giovani nelle città dei prefetti, delle ordinanze anti-movida, dove la cultura e la bellezza viva dei centri storici diventano accessibili solo ai turisti o durante i grandi eventi organizzati al solo scopo di ingrossare la rendita?
Non solo siamo allontanati dagli spazi vitali e di aggregazione delle città ma siamo gli stessi a cui è stata sottratta l’idea stessa di futuro. La narrazione del giovane “choosy” e inoperoso è quanto c’è di più lontano da chi non può rendersi autonomo dal welfare familiare, da chi è costretto ad accettare stage non retribuiti o con un salari netti di qualche centinaia di euro, da chi deve passare attraverso tirocini non pagati perchè parte della propria formazione o della “gavetta”. Stiamo parlando di generazioni intere che hanno subito drasticamente il contraccolpo della crisi. Generazioni senza voce nel dibattito pubblico, destinate a subire un discorso top-down, senza alcuna possibilità di formulare risposte dal basso ma a cui è permesso solamente di subire gli effetti delle riforme imposte dall’alto che puntano a normalizzare il lavoro non pagato e sfruttato.
Per quanto la continua mobilità alla quale siamo costretti renda spesso estranei alla possibilità di votare o almeno molto più complessa la partecipazione politica ai processi sociali siamo un importante tema delle campagne elettorali, seppure indirettamente. I giovani in questo Paese sembrano non aver mai spazio, continuamente accusati di essere responsabili del “degrado” delle città, insieme ad altre soggettività marginalizzate come quella migrante e nera, e sempre più schiacciati da politiche “anti movida” e costretti a subire l’esponenziale aumento del caro affitti e delle spese generali. Non c’è spazio nelle città sempre più gentrificate, in affitto giornaliero su piattaforme estrattive, siamo costretti a ripiegare e a fare i conti con la nostra fragilità economica e politica.
Ma come si collega tutto questo alla trasformazione delle città, alle ordinanze repressive e alle politiche per il decoro? Stiamo assistendo da diversi anni ad una trasformazione radicale delle città. Queste sono sempre più teatro di repressione e politiche contro il “degrado”: ordinanze contro l’accattonaggio, la chiusura delle piazze, gli sgomberi degli spazi sociali. Le città modello si ristrutturano su degli equilibri nei quali la messa a valore della cultura consegue l’inaccessibilità per tanti; mentre la produzione artistica e culturale dal basso viene sempre più criminalizzata. La trasformazione delle città si muove su diversi livelli. Le politiche repressive e i dispositivi come il DASPO sono sempre più spesso collegate alla speculazione immobiliare e alla messa a valore degli spazi pubblici, e i soggetti colpiti sono spesso quelle più facilmente attaccabili, quelli che hanno meno mezzi per difendersi e organizzarsi, relegabili alla marginalità. L’inclusione differenziata delle soggettività all’interno delle economie cittadine disegnano la stratificazione sociale, la geografia dello spazio urbano ne traccia i confini interni determinandone i livelli di accesso.
Il quadro che andrà a delinearsi durante la discussione si pone l’obiettivo di toccare diversi piani, di individuare i punti rottura e i margini di lotta. Di raccontare le esperienze di conflitto e degli spazi che animano la resistenza. L’attacco alla socialità a basso costo e la messa a valore degli spazi cittadini, l’invisibilizzazione e la marginalizzazione delle soggettività mobili sono solo alcuni dei temi che si affronteranno. Il tentativo è quello di rimettere insieme le storie che ci riguardano da vicino, organizzarci per ribaltare una narrazione che ci vuole passivi, al contrario vogliamo riprenderci il nostro tempo. Per noi è un attacco alle forme di vita. E a partire da queste, vogliamo ripartire per scoprire le trame e rimettere le nostre energie in moto.
7) Emergenza climatica: policy globali e locali e prospettive di movimento.
Nonostante i cambiamenti climatici e le gravi conseguenze da questi causate siano da tempo oggetto di denuncia e preoccupazione, solo nell’ultimo anno sono divenuti argomento di interesse globale: siamo ormai sempre più vicini e vicine al punto di non ritorno della crisi ambientale. Da un lato vediamo la politica istituzionale, rappresentata nel corso del G7 da Emmanuel Macron che ha aperto il Summit di Biarritz, invocando una “mobilitazione di tutte le potenze per scongiurare il disastro ambientale”, dall’altro i movimenti dal basso, nuovi e meno nuovi, che le piazze di Biarritz le hanno riempite davvero di mobilitazione.
In considerazione dell’urgenza della situazione in cui ci troviamo, per la difficoltà di immaginare una futura declinazione della produzione capitalistica in senso ecologico e per la grande preoccupazione verso gli effetti sociali che questa crisi sta generando e genererà, ci sembra fondamentale chiamare un tavolo di lavoro che analizzi e crei discussione sulle tematiche ambientali e climatiche. Vista la forza politica creativa che caratterizza le pratiche che le e gli attivisti per l’ambiente portano nelle piazze, e data l’eterogeneità di esperienze che hanno reso la tutela ambientale teatro di lotte locali e globali e rivendicazioni sociali, vogliamo costruire un luogo di confronto il più possibile aperto, plurale e orizzontale che stimoli un’analisi costruttiva e critica delle problematiche e che trovi delle risposte potenzialmente applicabili da tutti e tutte grazie alla condivisione di sensibilità e pratiche eterogenee.
Per questo sarebbe importante mettere a valore un doppio livello di analisi: un piano globale e un piano locale, che mettano in questione il sistema della governance e la sua crisi, rispetto al primo, e il ruolo di spesso secondario dell’advocacy del secondo, spesso privo di reale potere decisionale. La profonda relazione tra fenomeni locali e globali è ben nota alle comunità indigene del sud America come lo è ai movimenti e alle persone che continuano a lottare contro le Grandi opere inutili che deturpano e inquinano il nostro paese.
Lo sanno tutte quelle persone che sono costrette a spostarsi perché la propria casa non è più un luogo accogliente. In questo scenario, che vede, dopo trenta anni, il sistema delle CoP incapace di creare una reale inversione nel trend delle emissioni, sentiamo la necessità di condividere alcuni interrogativi rispetto alla direzione nella quale stiamo andando e rispetto all’alternativa da costruire. Le politiche adottate sino ad oggi, a livello locale e globale, non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati ed hanno anzi spesso prodotto esternalità nocive: E’ evidente come il sistema degli ETS (Emission Trading System), cioè la compravendita sul mercato finanziario dei diritti di emissione di gas inquinanti, non abbia funzionato come incentivo al rinnovamento tecnologico per la riduzione dell’impatto ambientale.
Lo sviluppo di tecnologie basate sull’utilizzo dei combustibili vegetali ha causato il disboscamento di vastissime aree forestali in Sud America e in Africa con effetti drammatici per gli ecosistemi locali e per le comunità che li abitano mentre, a pochi km da noi, il finanziamento pubblico degli inceneritori -soluzione ben poco ecologica della gestione dei rifiuti- ha disincentivato la raccolta differenziata ed il recupero delle plastiche e delle altre materie recuperabili. Queste ed altre misure che rispondono alle idee cosiddette di “sviluppo sostenibile” e “green economy” possono davvero rappresentare una soluzione a lungo termine per il futuro o vogliono semplicemente mascherare un sistema che antepone il profitto di pochi al bene degli ecosistemi e delle comunità che li abitano?
Come ripensare, a partire da un paradigma ecologico e transfemminista, tanto l’economia e il lavoro quanto la gestione politica dei territori? Quanto cioè, il sistema estrattivista e capitalista, come lo conosciamo, è legato a quello patriarcale che nelle condizioni di lavoro invisibile e in quello di cura, riproduce le forme dello sfruttamento delle risorse? Quali sono i costi sociali della transizione ecologica e come devono esser distribuiti?
Sulla base di quali connessioni le vostre organizzazioni/collettivi/realtá fanno convergere questione sociale e questione ambientale? Quali sono le forme organizzative che si stanno dando, e quali quelle che i movimenti sociali potrebbero immaginare e praticare a livello locale e globale? Partendo da queste riflessioni che verranno approfondite e discusse, ci auguriamo un percorso che sollevi le contraddizioni in seno all’attuale sistema economico e sociale e che produca idee e ispirazione; speriamo di confrontarci su nuovi o dimenticati modelli di economia e produzione, di autogestione dei territori e di organizzazione delle lotte.
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PROGRAMMA 14-15/09
SABATO 14 SETTEMBRE negli spazi dell’occupazione abitativa di Via del Caravaggio n 105/107.
– Mattina
h 10 – h 11 : Accoglienza
h 11 – 13 : PLENARIA introduttiva e metodologica
h 13 – 14 : Pranzo
– Pomeriggio
h 14:30 – h 16:30 : prima serie di Work Shop
1) Frontiere interne, migrazioni, confini nelle città
2) Lavoro e welfare
3) Guerra all’autogestione e diritto alla città: organizziamoci contro il Nulla che avanza!
4) Contro il decoro, nos mueve el deseo!
h 17:00 – h 19:00 : seconda serie di Work Shop
5) Frontiere esterne, migrazioni e libertà di movimento
6) Diritto all’abitare – Con ogni mezzo necessario
7) Emergenza climatica: policy globali e locali e prospettive di movimento
Domenica 15 settembre negli spazi della Casa delle Donne Lucha y Siesta. Roma Italia.
h 10:30: Plenaria conclusiva della due giorni di assemblea nazionale.
h 13:00: Pranzo
h 15:00: Ripartenze
EVENTO FACEBOOK: https://www.facebook.com/events/2163622263942227