La questione “ghetti urbani” di alloggi popolari è stata oggetto del seminario di Federcasa a Reggio Calabria, nei giorni scorsi.
Nella città di Reggio Calabria, il quartiere di Arghillà Nord e di Archi Cep sono esempi concreti del problema da affrontare. Nel resto del territorio regionale, ci sono altri quartieri ghetto del settore Erp. La Ciambra di Gioia Tauro e quelli della periferia di Catanzaro e Cosenza sono gli esempi più noti.
Durante il seminario si è messo ancora una volta in evidenza come questi ghetti nella città di Reggio siano diventati “enclave della ndrangheta”. Un dato che si accompagna ad analisi e soluzioni ormai note quanto inefficaci.
Si continua infatti a proporre come soluzione la rigenerazione urbana che considera, quale “causa del degrado” dei ghetti, il deficit strutturale e dei servizi pubblici. Ci si adopera quindi per interventi securitari, di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre che per iniziative sociali. Tutte soluzioni applicate nel nostro territorio costantemente a partire dagli anni Novanta, con l’impiego di ingenti risorse economiche pubbliche ma producendo risultati irrilevanti dal punto di vista del tessuto sociale. La rigenerazione urbana non modifica infatti le condizioni di estrema emarginazione esistente in questi luoghi.
Le persone continuano nella loro vulnerabilità ad essere esposte al controllo della malavita organizzata. Negli ultimi 20 anni, per Arghillà sono state spese ingenti risorse pubbliche. Per ogni progetto è stata annunciata la risoluzione del problema. Ma questa non è mai arrivata. L’Amministrazione Falcomatà è oggi sul punto di spendere altri fondi per ulteriori interventi promettendo, ancora una volta, di modificare le condizioni del quartiere.
Per il ghetto della Ciambra di Gioia Tauro, l’Aterp Calabria ha intenzione di spendere centinaia di migliaia di euro per il recupero strutturale degli edifici che andrebbero invece demoliti. Negli altri ghetti urbani della Regione si continua a seguire la stessa via fallimentare. Questo accade perché non si riconosce la vera causa del degrado dei ghetti urbani, che non risiede nel deficit strutturale e dei servizi urbani.
La causa principale dell’estrema fragilità di quei territori è il concentramento di un’alta percentuale di persone con reddito di povertà e bassa scolarizzazione. Questo concentramento, come ha spiegato anche il sociologo americano W.J. Wilson nella sua teoria dell’”effetto concentrazione”, determina un basso capitale sociale, in termini di accesso alle risorse sociali, economiche e culturali del territorio, lasciando le persone in una condizione di esclusione sociale strutturale.
Rispetto a tali condizioni, l’intervento risolutivo dovrebbe essere l’equa dislocazione volontaria delle famiglie a basso reddito in altri quartieri, in modo da eliminare o ridurre in modo netto il concentramento di persone povere di lungo periodo, a favore di un mix sociale. Gli alloggi liberati potrebbero essere destinati ad altri usi e, dove necessario, demoliti.
Questa analisi, con le sue soluzioni è stata applicata, fin dagli anni Novanta, non soltanto negli Stati Uniti ma anche in Europa, ottenendo buoni risultati in termini di inclusione sociale. Il Comune di Napoli da tempo sta seguendo questa soluzione per il ghetto delle Vele di Scampia. Le famiglie sono state dislocate in altri quartieri, alcuni edifici sono stati demoliti, altri utilizzati come sede di uffici pubblici. Alcune regioni italiane hanno cominciato a prevedere nei quartieri di case popolari la ripartizione delle fasce di reddito per evitare l’alto concentramento di povertà e quindi la scarsità di opportunità per le persone.
Una soluzione per superare i ghetti delle case popolari sarebbe quindi a portata di mano ma purtroppo non potrà essere quella proposta da Federcasa e dall’Aterp Calabria.
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