Una sentenza storica riconosce agli indios Waorani i loro diritti e impedisce la trivellazione di 200mila ettari di Amazzonia.
Con la sentenza, i Waorani acquistano il diritto ad essere interpellati ogni qualvolta qualcuno decida di varcare le loro terre ancestrali e secondo il tribunale qualsiasi lottizzazione o speculazione, da adesso in poi, deve prevedere delle consultazioni con gli indigeni.
Ma non solo. A Puyo in Ecuador, dopo anni e anni di battaglie, le terre dei circa 4800 Waorani rimangono interdette alle trivelle perché gli indigeni hanno il diritto “inalienabile, non revocabile e indivisibile” di mantenere il possesso delle loro terre ancestrali.
Da tempo i petrolieri con promesse di regali cercano di portare dalla loro parte gli indigeni con il solo fine di accedere al petrolio che giace nella foresta. Come tutti gli altri nativi, i Waorani non si sono mai arresi e non hanno mai ceduto alle lusinghe delle multinazionali, preferendo sempre le loro terre.
«Monito ime goronte enamai», «il nostro territorio non è in vendita». Scandisce ogni parola Nemonte Nenquimo, presidente di Conconawep, organizzazione degli Waorani della regione di Pastaza. «Finalmente lo ha capito anche lo Stato»
Il verdetto, emesso venerdì sera dalla giudice, Pilar Araujo, costituisce un precedente importante: riconosce il diritto dei nativi – stabilito dalla Costituzione e dall’Onu – di essere interpellati «in modo adeguato» sulla sorte dei loro territori. Un’area di 800mila ettari, assegnata in modo collettivo alle 12 comunità Waorani, di cui, però, lo Stato mantiene la giurisdizione del sottosuolo. Nel 2012, l’allora presidente Rafael Correa decise, dunque, di avvalersi di tale prerogativa. E avviò una procedura di aggiudicazione del principale giacimento di Pastaza – il Blocco 22 –, situato in terra indigena. Prima di iniziare l’iter – tuttora in corso dato che nessuna azienda nazionale o estera s’è ancora aggiudicata il permesso di estrazione – realizzò una consultazione, definita dai Waorani «una farsa». «Sono venuti degli incaricati. Sono rimasti mezz’ora. Hanno fatto un sacco di promesse, distribuito qualche regalo ma non hanno spiegato che in cambio dovevamo acconsentire allo sfruttamento del “Blocco 22”», spiega Nenquimo. Per tale ragione, i Waorani, aiutati dal Difensore civico, hanno accusato i ministeri dell’Energia e dell’Ambiente di «aver leso i loro diritti ancestrali» e hanno fatto causa. Ora la giustizia ha dato loro ragione: la concessione dei permessi di trivellazione nell’area è bloccata. Almeno in via provvisoria: la sentenza può essere ribaltata in appello. «Non ci arrenderemo. Continueremo a lottare. Siamo guerrieri – conclude l’attivista –. Prima combattevamo con le frecce. Adesso lo facciamo con la penna. Anzi, il pc».
Fonte: Greenme/Avvenire