Ci si occupa tanto di quelli che arrivano, ma chi si occupa di quelli che partono?
Secondo la Farnesina, nel 2018 erano 5.114.469 gli italiani all’estero. Il 2,8% in più rispetto al 2017 e il 64,7% in più rispetto al 2006.
“La maggioranza degli espatriati (56%) si trova oggi nella forbice compresa tra i 18 e i 44 anni, a cui si deve aggiungere un 19% di minorenni (24.570 minori di cui il 16,6% ha meno di 14 anni e l’11,5% meno di 10 anni). Un dato che indica che a spostarsi sono interi nuclei familiari e non più solo singoli. Si registra poi un aumento degli anziani tra chi parte: + 20,7% nella classe di età 50-64 anni; +35, 3% nella classe 65-74 anni; +78,6% dagli 85 anni in su. Si tratta di persone che vogliono godere appieno della pensione che in Italia sarebbe decurtata dalle tasse. Il 49,5% del espatriati è di origine meridionale (Sud: 1.659.421 e Isole: 873.615); del Settentrione è il 34,9% (Nord-Ovest: 901.552 e Nord-Est: 881.940); del Centro il 15,6% (797.941).”
Su questo fenomeno, oggi, bisognerebbe moltiplicare i dibattiti, coniare gli slogan più efficaci, varare le politiche più incisive ma, questo, vale anche per ieri quando i faciloni dell’accoglienza costituivano imperi economici ai propri sodali che costituivano cooperative (a sinistra) o ristrutturavano alberghi (a destra). Questo vale per le politiche di austerity per i poveri e di detassazione e condono per i ricchi. Vale per chi a permesso l’accentramento della ricchezza nazionale nelle mani di poche famiglie “ammanigliate”. Vale per chi ha permesso agli istituti di credito di spaziare nella finanza creativa nella consapevolezza che una ciambella di salvataggio, a loro, qualcuno l’avrebbe sempre lanciata.Vale per chi ha programmato e per chi ha investito i soldi europei per lo sviluppo in fantomatiche ed inutili opere (Calatrava, Parco Acquatico, Metrotramfilovia per citarne alcune) invece di destinarli a politiche per il lavoro, per il disagio, per la casa.