La presentazione di “Abolire il Carcere”, si inserisce nell’ampia programmazione di Cronache Sotterranee, una rassegna culturale che mira a porre l’accento su tematiche di non facile consumo, quale appunto il carcere. Gli incontri sulle tematiche carcerarie si terranno prevalentemente all’Unical, all’interno del corso di sociologia della devianza curato dalla prof. Franca Garreffa e alcuni anche a Cosenza, al Rialzo. Abolire il carcere è un testo ambizioso e realista al tempo stesso, <<scritto e condiviso, nella stesura e negli intenti>> da Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta, che mette in discussione la necessità del carcere quale unico e principale sistema sanzionatorio a fronte dei reati. L’analisi abolizionista parte dal concetto di “pena” voluto dai padri costituenti dopo aver sofferto la prigionia sotto il regime nazi-fascista che, con l’art. 27, hanno voluto porre le basi per una pena che non fosse contraria al senso di umanità e che rispettasse i diritti e la dignità inviolabile dell’uomo. Pongono l’accento sui termini usati (pena) e sulle pratiche adottate (carcere), dove pena non equivale a segregazione fisica, sbarre, cemento, privazione della libertà, degli affetti, della sessualità, della dignità. In nove capitoli, tra cui il decalogo per liberarsi immediatamente del carcere, viene analizzata la violenza dell’istituzione carceraria e come questa non persegua le finalità rieducative e risocializzanti della pena e neanche quelle retributive per le vittime di reato. L’unico fine del sistema penale italiano è la vendetta, travalicando leggi e diritto. I risultati su quanti attraversano le patrie galere, comparati con sistemi penali europei più evoluti, sono chiaramente fallimentari producendo un effetto contrario ai dettati costituzionali. Le pene detentive non producono affatto ri-educazione o ri-socializzazione in quanto recludono per un dato periodo di tempo, a volte fino alla morte, un corpo in condizioni disumane e degradanti, infantilizzanti anche, riducendo anche il senso di responsabilità verso se stessi e verso la società da “retribuire” per il delitto commesso. Il carcere, per come si è evoluto e per come viene percepito nel senso comune, racchiude tutte le contraddizioni di una società che non vuole sottoporre a test di validità un suo prodotto. Perché il carcere, al pari dell’istituzione scolastica, sanitaria ecc., è un prodotto dell’umanità e se non persegue gli obiettivi dati va messo in discussione e superato. È necessario, oggi più che mai, assumersi una responsabilità collettiva verso il pianeta carcere e verso il sistema penale che, attualmente, conta oltre 35.000 fattispecie di reati differenti, attraverso una presa di coscienza che chi sta in carcere non è estraneo alla società ma fa parte di essa. E in essa dovrà rientrare. Chiediamoci come si rientra nel consesso umano quando si esce dal carcere. Migliorati? Rieducati? È possibile dopo il degrado, la disumanità e la violenza di un’istituzione che rinchiude a ferro e cemento la dignità dell’uomo? L’analisi di questo testo viene conclusa dalla postfazione di Zagrebelsky il quale mette in relazione il carcere con la Costituzione e arriva, senza troppi giri di parole, a definire <<ipocrita il trattamento carcerario per i detenuti nella misura in cui non assicura il rispetto della dignità della persona>>.
L’appuntamento con Valentina Calderone (A Buon Diritto), Giorgio Marcello (San Pancrazio) Andrea Bevacqua (Otra Vez) e Sandra Berardi (Yairaiha Onlus) è per mercoledì 16 novembre, ore 18.00, al CPOA Rialzo – Area ex officine ferrovie della Calabria
Associazione Yairaiha Onlus
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