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Una finestra sul presente in un futuristico libro di Asimov

Non è la prima e non sarà l’ultima volta che la fantasia umana, materializzatasi nella carta e nell’inchiostro di un libro di fantascienza, riesca a tratteggiare vividamente un possibile paesaggio futuro della storia dell’umanità.

Il libro che analizziamo si intitola “Il sole nudo” e risale al lontano 1956, quasi un’era geologica fa, e fu pubblicato sulla rivista Astounding Science Fiction. Si tratta di un giallo fantascientifico che parte da un delitto cui è chiamato a dare un contributo fondamentale un investigatore terrestre che viene inviato su Solaria, anche per raccogliere informazioni sulla società di quel pianeta extraterrestre.

Elijah Baley è il protagonista, un detective terrestre con la fobia degli spazi aperti, perché gli umani si erano oramai da tempo abituati a vivere sottoterra dove avevano costruito le loro città. Tutto il contrario su Solaria, dove tutto si svolge, in una maniera molto particolare, alla luce del sole “nudo”. La nudità del sole, così come percepita da Elijah, deriva dal fatto che sulla terra era possibile vedere l’astro solo attraverso appositi vetri e mai direttamente. Guidato da un robot umanoide, il detective prova a comprendere lo stile di vita del pianeta extraterrestre utilizzando le sue tecniche investigative (interrogatori, visite, sopralluoghi), molto inusuali per Solaria; tecniche alla fine efficaci per individuare il killer. Fin dallo sbarco dalla navetta spaziale, comincia a porre le sue domande e a raccogliere più informazioni possibili. Apprende che su Solaria vivono solo 20mila persone anche se ne potrebbe accogliere tranquillamente milioni. La tecnologia è molto avanzata tanto che il pianeta è popolato anche da 200 milioni di robot che svolgono ogni tipo di lavoro a vantaggio degli abitanti: “diecimila robot ogni uomo!”

E’ la sua guida robotica, R. Daneel Olivaw, a rivelargli che la “popolazione viene appositamente e scientificamente mantenuta intorno alle ventimila unità perché, secondo i calcoli fatti, questo numero consente ai Solariani di sfruttare con il massimo vantaggio le risorse del pianeta”. La natalità è rigorosamente pianificata per mantenere bloccato il numero di abitanti. Tante nascite, quante le morti. I bambini vengono cresciuti in un laboratorio apposito che permette lo sviluppo solo di quegli embrioni che passano rigorosi test genetici. Così facendo sono riusciti a garantire una vita media di 300 anni. 

Il territorio di Solaria è diviso in ventimila lotti, uno per ogni abitante. Non esistono città ed ognuno vive isolato nel suo spicchio di territorio, simili a eremiti che raramente comunicano e si vedono solo attraverso strumentazioni olografiche, virtuali. Fin da bambini vengono allevati a questa autonomia nella solitudine. I rapporti umani sono molto rarefatti ed anche la vicinanza fisica bandita. Solo il marito poteva incontrare la moglie – e con molta riluttanza – solo per il dovere patriottico di generare figli, considerata comunque un’attività estremamente sgradevole,

“Insomma, vi vedevate spesso? — finì col domandare [il detective Elijah Baley]

— Come? Oh, no. Non siamo bestie!

— Ma vivendo nella stessa casa, pensavo…

— Certo, essendo sposati vivevamo nella stessa casa, ma ognuno aveva i suoi appartamenti. Lui aveva la sua carriera, che gli assorbiva quasi tutto il suo tempo. Era un uomo molto importante, sapete. E anch’io ho il mio lavoro. Ci vedevamo quando era necessario.

— E avete bambini, Gladia?

Lei balzò in piedi in preda a una viva agitazione. — Questo è troppo! — esclamò indignata. — Di tutte le cose indecenti che…

— Ma no, no! Un momento! Non fraintendete. Sto investigando perché è avvenuto un delitto, e il morto è vostro marito. Volete che l’assassino sia scoperto e punito, o no?

— E allora, chiedetemi del delitto, non… non…

— Devo chiedere molte cose. Fra le altre vorrei domandarvi se vi dispiace che vostro marito sia morto. — E con voluta brutalità aggiunse: — Non mi sembrerebbe, a vedervi.

Lei lo fissò, sdegnata. — Mi dispiace sempre quando qualcuno muore, specie se si tratta di una persona giovane e utile.

— Ma il fatto che il morto sia vostro marito non vale a rendere più profondo il vostro dolore?

— Mi era stato assegnato come sposo, e… insomma ci vedevamo quando era stabilito, e se proprio volete saperlo — aggiunse parlando con una fretta impacciata — non avevamo figli perché non ci era stato imposto”.

Le case dei solariani sono molto grandi, così come i terreni di pertinenza. Il lavoro, se non quello scientifico o artistico, è pressoché abolito visto che viene svolto da robot appositamente programmati e prodotti: dalle pulizie domestiche, alla cucina, ai lavori pesanti nei terreni o nei vari laboratori. La differenza principale tra solariani e terrestri sono le relazioni umane: ancora presenti sulla terra mentre molto rarefatte e praticamente inesistenti su Solaria. La vita si srotola in solitudine, nella propria casa, dove le tecnologie più sofisticate permettono di avere tutto sotto mano. Anche la vita all’aria aperta si svolge nei propri terreni senza invadere quelli altrui. Le poche relazioni insopprimibili avvengono grazie ad un sofisticato sistema di telecomunicazione che genera un ologramma particolarmente sofisticato da sembrare reale. Questo stato di solitudine quasi eremitica è il frutto di una forte ‘educazione’ nei primi anni di vita.

“Tuttavia, dai tre ai dieci anni le cose diventano più difficili.

— Davvero?

— In quel periodo i bambini insistono nel voler giocare insieme.

— Penso che glielo permettiate.

— Per forza. Ma non ci dimentichiamo, però, di impartire loro lezioni di saper vivere. Le metteranno poi in pratica da adulti. Ognuno ha una camera tutta per sé, che può chiudere a chiave, e tutti sono obbligati a dormire da soli. Insistiamo particolarmente su questo. E ogni giorno ci sono le ore d’isolamento che aumentano con il passare degli anni. A dieci anni, un bambino è capace di restare tutto un giorno isolato, contentandosi di “vedere” gli altri. Da principio li può vedere di persona, da una finestra, per esempio. Ma presto si abitua alle condizioni di vita normali.

— Sono davvero stupito nel sentire come riuscite a soffocare del tutto un istinto.

— Quale istinto? — volle sapere Klorissa.

— L’istinto della compagnia, se così si può dire. Avete dichiarato anche voi, poco fa, che i bambini tendono a stare insieme.

— Lo chiamate istinto, voi? — ribatté la donna alzando le spalle. — Santo cielo, il bambino ha anche la paura istintiva di cadere, però con l’addestramento si ottiene che gli adulti possano lavorare in posti elevati dal suolo, dove è continuo il pericolo di precipitare.” 

Una quotidianità autonoma e solitaria, dunque, quella dei solariani abituati ad una dorata autosufficenza, godendo di una lunga vita di ozio grazie al lavoro automatizzato e alle cospicue risorse del proprio pianeta. L’unico prezzo da pagare, le sopravvalutate relazioni interpersonali. Asimov, nel 1956, sembrerebbe profetizzare fantascientificamente uno dei possibili sviluppi della vita sulla terra. Le elité globali, presa coscienza della limitatezza delle risorse del globo terracqueo – incapace di garantire l’ingordigia di miliardi di individui -, considerata l’inutilità del lavoro vivo dell’operaio novecentesco sostituito dai robot e dall’intelligenza artificiale, potrebbero decidere di limitare scientificamente le nascite attraverso l’eugenetica per giungere ad una popolazione capace di godere appieno di tutte le risorse naturali e tecnologiche. Pochi miliardari che si spartiscono le ricchezze globali in una pace sterilizzata ottenuta proprio per il mezzo dell’isolamento di ogni individuo. Nessuna lite, poche malattie, zero classi se non quelle degli umani e dei robot. Una società totalmente generata in vitro, razionale e razionalizzata, longeva ma, molto probabilmente, incapace di generare quei sussulti al cuore, quel sentimento e quell’afflato che rende in realtà la vita degna di essere vissuta.

Già nel nostro quotidiano ‘occidentale’, nella ‘presentità’ del XXI secolo, possiamo cogliere i primi segni di questa involuzione: estinzione della piazza, rarefazione delle relazioni condominiali e di quartiere, autosufficienza vitale nell’eremo dei propri appartamenti. Pensiamo alla sindrome dell’Hikikomori: l’isolamento sociale volontario che colpisce molti giovani. Le piattaforme digitali specializzate nello streaming di contenuti sportivi, filmici o artistici, quelle specializzate nella consegna di ogni bene o servizio a domicilio, i robottini aspiratutto già presenti nelle nostre case e l’onnipresenza dell’intelligenza artificiale, sembrano già quei semi capaci di riconfigurare, sul lungo periodo, la nostra esistenza sul canovaccio del racconto fantascientifico asimoviano dato alle stampe nella lontanissima metà del XX secolo.