Breve storia edificante
Questa è una breve storia che prova a spiegare il mito fondativo che sta alla base del sistema. Un mix di concorrenza, egocentrismo, pari opportunità, meritocrazia, felicità, efficienza, efficacia ed economicità.
Da sempre i popoli si sono interrogati sullo scopo della vita e su come vivere felicemente. Molti eruditi si sono divisi su chi fosse il più felice: l’intellettuale che sa molte cose o l’ignorante che non sa nulla? Alcuni hanno affermato che solo la scienza ti innalza dallo stato di natura per elevarti a stati avanzati e beati di coscienza, altri che solo la semplicità dell’ignoranza ti permette di superare indenne i marosi del dubbio.
La società moderna, illuminista e positivista, sperava che la ragione ci potesse sottrarre dal dolore e dall’angoscia: le sorti dell’uomo, affrancato dalla metafisica, non potevano essere che magnifiche e progressive. Poi venne il terrore, la restaurazione e le guerre mondiali. L’umanità che si era disincantata chiedeva con forza un reincanto.
E così emerse, dalle favole del liberalismo filosofico, il sogno americano, politico e commerciale, che predica il principio meritocratico: se ti impegni, se studi, se ti alzi le maniche, il sistema ti aiuterà a raggiungere le vette della felicità. Un evoluzionismo sociale che premia i forti ma fa scempio dei deboli.
Persuasi dai principi di questa nuova religione, miliardi di persone si misero in viaggio lungo la strada dell’affermazione del sé. Se voglio ce la faccio, se voglio ce la faccio, se voglio ce la faccio. Se fallisco vuol dire che non l’ho voluto abbastanza.
Ed è questa anche la storia del nostro prode, il Magnifico, che con sprezzo del pericolo solcò i mari della conoscenza. Rampollo di una famiglia borghese di intellettuali, fin dalla prima infanzia fu molto stimolato con racconti, nozioni, esperienze e viaggi. Una buona base costruita nella migliore sezione della migliore scuola primaria della città, gli permise di scegliere un’ottima scuola secondaria che lo iniziò ai misteri della scienza: un ottimo trampolino per l’Università.
Era motivatissimo, il nostro Magnifico, e non sprecò un attimo per una normale socializzazione con i suoi pari, sempre chino sui libri superò brillantemente e nei tempi curricolari tutti gli esami. Un affermato team di baroni accademici lo assunse sotto la sua ala protettrice e fin da subito, mentre era ancora uno studente, poté sperimentare sul campo la ricerca ed il laboratorio. Di giorno i corsi, di sera la ricerca e venne il giorno della laurea: 100 con lode e bacio accademico. La felicità!
Ma non era abbastanza…adesso c’era da fare i soldi, che si sa non danno la felicità ma sicuramente gli danno una grossa mano. Così, prima il dottorato di ricerca e poi i primi contratti da ricercatore precario che lo inserirono nel fiume dei progetti di ricerca e poi, passando dall’abilitazione nazionale, arrivò la chiamata: professore associato.
Lo stipendio già buono era ben rimpinguato dai progetti paralleli finanziati da enti pubblici e privati. Tante scoperte brillanti costellavano la sua ascesa e tante imprese poterono beneficiare sul mercato delle sue intuizioni, finanziate con soldi pubblici, trasformandole in enormi fatturati privati. Non importava se la scoperta o l’applicazione fossero effettivamente un bene per la collettività: l’importante era che fosse convertibile immediatamente in moneta e gloria.
Ben presto divenne un barone tra i baroni: certo aveva dovuto sgomitare un bel po’, far fuori l’accanita concorrenza degli altri colleghi che aspiravano alla stessa gloria, sfruttare tanti studenti per guadagnare tempo sulle ore di didattica da garantire o sulle ricerche da pubblicare: in effetti altri insegnavano e ricercavano ma sui corsi e sui testi compariva sempre il suo nome. Alcuni ‘portaborse’ resistevano sperando di diventare un giorno quello che lui era ora. Una gavetta necessaria per arrivare alla meta, pensavano. Alcuni desistevano, altri, pur resistendo, alla fine non entravano nel gotha dei professori ed erano spinti verso lavori di ripiego: il pubblico impiego, l’insegnamento nelle scuole superiori o un bel contratto in una start-up.
Ma, il principio meritocratico non fa prigionieri: o brilli o ti spegni e tutto dipende dal tuo cinismo, dal tuo impegno e dalla tua determinazione. In tutte queste cose il Magnifico era insuperabile. Non era certo il più intelligente ma sicuramente il più astuto.
Sapeva dosare sapientemente lo zucchero ed il fiele nelle sue relazioni interpersonali. Sapeva adulare ma anche infierire su chiunque. Sapeva persino, rocambolescamente, adulare davanti ed infierire alle spalle di una stessa ed identica persona. Era comunque un leader naturale, carismatico e volitivo, sembrava nato per fare il Rettore.
Così fu, con l’unanimità dei voti della comunità accademica fu acclamato Magnifico Rettore ed in tale veste invitato dai Ministri, dai sottosegretari, sentito dal Presidente del Consiglio e cercato dai suoi ex colleghi professori. Era il Professore dei professori. Tutto ciò era la prova che effettivamente il sistema liberal-borghese funzionava: se t’impegni ce la fai!
Tutti al vederlo lo salutavano con riverenza anche senza averlo mai conosciuto prima. Buongiorno Magnifico! Magnifico ha visto cos’è accaduto a Valencia? Cosa dice Magnifico del prossimo voto europeo? Le televisioni nazionali e locali lo invitavano per conoscere la sua opinione su temi scientifici, politici o sociali. Le accademie lo invitavano per inaugurare l’anno didattico e gli istituti di ricerca a tenere illuminanti Lectio Magistralis. Un’apoteosi, il nostro eroe si era trasformato in una divinità. Era nel fiore degli anni, dicono il più giovane Rettore d’Italia, ed era grato al sistema che gli aveva permesso, per meriti, di arrivare fin nell’Olimpo della società liberal-borghese. La felicità!
Era Natale, le “stimanze” affluivano da tutte le parti del mondo, le luci in città e sull’albero casalingo brillavano più che mai, persino la neve era comparsa, cosa non solita in questa parte del sud d’Italia.
Quel Natale, però, era l’ultimo da Rettore. Il Magnifico era stato rieletto per il secondo mandato ma ora eravamo a scadenza e non poteva più ripresentarsi per legge. Ma era contento ugualmente perché si era premunito: aveva da tempo programmato il lancio di un suo discepolo fedele che avrebbe preso i suoi voti ed il suo posto e lui avrebbe continuato ad essere il Magnifico dietro il nuovo Magnifico, proprio così come un burattinaio sta dietro la sua marionetta.
Così avvenne con geometrica precisione. Elezioni accademiche, scrutinio, risultato magnifico: unanimità!
Si aprirono i festeggiamenti, poi l’insediamento del nuovo Rettore, il discorso di apertura del mandato ed il via al nuovo corso. Tanti complimenti e tante pacche sulle spalle aveva avuto il vecchio Magnifico ma tutte queste congratulazioni si rivelarono presto le ultime.
Il nuovo Rettore, nei primissimi giorni lo consultava spesso, poi sempre più raramente e alla fine non lo cerco più. Era lui ad essere salutato calorosamente, ad essere chiamato dalle tv e dagli enti di formazione. Era spesso fuori ed il telefono sempre irraggiungibile anche per il vecchio Magnifico che dopo i 12 anni di mandato si avviava al pensionamento.
L’impatto da neo pensionato fu drammatico. Passeggiava per la città ma quasi nessuno più lo chiamava per un saluto o per un’opinione. Durante l’attività aveva certo stretto amicizia con tanti, ma di quell’amicizia interessata che circonda gli uomini con un certo potere. Al contempo aveva collezionato anche tanti nemici nella sua cinica attività di scalata sociale. Tante gomitate aveva dovuto assestare e tanti sgambetti fare per emergere. Gli amici di un tempo si erano eclissati mentre i nemici li sentiva quasi sghignazzare durante le notti insonni coadiuvate dalle benzodiazepine.
Anche in famiglia, infatti, non trovava grande sostegno alla sua depressione. I tanti anni passati sulla cresta dell’onda lo avevano allontanato dagli affetti più cari e lo avevano estraniato. L’attività amministrativa lo aveva tenuto lontano anche dai libri e dall’aggiornamento scientifico: si sentiva oramai come un ferro vecchio nell’accademia, come quei ferri da stiro a carbone utilizzati dalle nonne nei paesini calabresi.
Quanti anni erano passati! Ricordava la sua adolescenza chino sui libri nella rincorsa al successo, l’assenza di pause e diversivi giocosi, gli esami, i concorsi, le ricerche, l’apoteosi. Arrivato in cima all’Olimpo ne era velocemente, sembrava fulmineamente, caduto. Da nulla ad eroe e quindi divinità ed infine ancora una volta nella polvere del nulla.
No, ora lo sapeva, il sistema liberal-borghese non aveva funzionato se non per autoriprodurre sé stesso. Lo aveva allettato, sostenuto, portato alle stelle, ma era solo una fiction. Neanche gli importanti proventi derivanti dalla sua attività lo avevano appagato: lui non aveva avuto il tempo per spenderli, troppo impegnato nel lavoro mentre aveva avuto un effetto perverso sui suoi cari. Il divorzio dalla moglie, una figlia dedita alle sostanze stupefacenti ed un altro divenuto incapace di organizzare le sue finanze potendo attingere a piene mani da quelle paterne.
Non era stato, alla fine, lui a sfruttare il sistema ma era il sistema che aveva sapientemente saputo sfruttare lui.