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Prefazione al libro “Il Capitale nell’Antropocene” di Saito Kohei

Gli SDGs, ovvero l’«oppio dei popoli»!

di Saito Kohei

Diciamolo chiaramente. Tutte queste buone intenzioni non portano a niente. Al contrario, possono addirittura recare danno.

E la ragione è che nel momento in cui ci si convince di star facendo qualcosa per combattere il riscaldamento globale si smette di pensare di poter agire in maniera piú radicale, cioè fare quanto sarebbero realmente necessario. L’atto consumistico, con la sua funzione assolutoria capace di liberarci dal rimorso di coscienza, di farci distogliere lo sguardo da quella che è la crisi reale, ci proietta con estrema facilità nell’ingannevole greenwashing di un «capitale» mascherato da soggetto rispettoso dell’ambiente.

Parliamo allora degli SDGs (obiettivi di sviluppo sostenibile) proclamati dalle Nazioni Unite e promossi dai governi e dalle grandi aziende di tutto il mondo: sono in grado di mutare le condizioni ambientali del pianeta? No, neanche quello funzionerebbe. L’adesione parziale di governi e aziende ad alcuni degli indirizzi d’azione degli SDGs non ferma i cambiamenti climatici. Gli SDGs offrono una sorta di alibi, con il solo effetto di far distogliere lo sguardo dalla crisi che abbiamo sotto gli occhi.

Un tempo, Marx criticava le religioni colpevoli di alleviare la sofferenza prodotta dalla dura realtà del capitalismo definendole «oppio dei popoli».

La realtà che dovremmo guardare in faccia, senza farci intorpidire dall’oppio, ci dice che noi esseri umani abbiamo mutato in maniera irreparabile la Terra.

L’influsso delle nostre attività economiche è talmente diffuso che Paul Crutzen, premio Nobel per la Chimica, ha affermato che da un punto di vista geologico la Terra è entrata in una nuova èra, con un nome preciso: «Antropocene». Un’èra, cioè, in cui le tracce dell’attività economica umana hanno invaso l’intera superficie del pianeta.

Il suolo terrestre è coperto di palazzi, fabbriche, strade, terreni agricoli, dighe, mentre quantità enormi di microplastiche galleggiano nei mari. I prodotti artificiali stanno mutando profondamente l’aspetto della Terra. E tra questi, quello che in particolare ha avuto un’impennata a seguito delle attività dell’uomo è l’anidride carbonica nell’atmosfera.

Come ben noto, la CO2 è uno dei gas responsabili dell’effetto serra che permette di assorbire il calore emanato dalla Terra e riscaldare l’atmosfera. Grazie all’effetto serra, la temperatura del pianeta si è mantenuta a livelli tali da consentire la vita sia all’essere umano che a tutte le altre creature viventi.

Dalla rivoluzione industriale in poi, però, l’uomo ha fatto grande uso di combustibili fossili come carbone e petrolio, producendo una quantità enorme di anidride carbonica. Se prima della rivoluzione industriale la concentrazione di CO2 nell’atmosfera era di 280 ppm, nel 2016 aveva superato i 400 ppm persino al Polo Sud. Un evento che non si verificava da quattro milioni anni. E la cifra continua a crescere anche in questo stesso istante.

Quattro milioni di anni fa, nell’epoca del Pliocene, si ritiene che la temperatura media fosse di due, tre gradi superiore a oggi, che la calotta di ghiaccio che ricopre il Polo Sud e la Groenlandia fosse sciolta e che il livello dei mari fosse almeno di sei metri piú alto. Altre ricerche, invece, suggeriscono che potesse essere maggiore anche di dieci, venti metri.

I cambiamenti climatici dell’Antropocene potrebbero riportare la Terra a quelle stesse condizioni? Quello che è sicuro è che la civiltà creata dall’essere umano si trova di fronte a una crisi in cui è in gioco la sua stessa sopravvivenza.

La crescita economica che si è accompagnata alla modernità avrebbe dovuto assicurarci una vita prospera. Appare invece sempre piú chiaro come con la crisi ambientale dell’Antropocene la crescita economica non faccia – paradossalmente – che erodere le basi della prosperità umana.

Di fronte a mutamenti climatici sempre piú vertiginosi, le classi piú abbienti dei paesi sviluppati potranno forse mantenere il loro stile di vita sregolato. Quasi tutte le persone comuni come noi, però, prive di risorse, dovranno rinunciare al proprio stile di vita e si ritroveranno a cercare disperatamente un modo per sopravvivere. E di questo fatto, la pandemia da Covid-19 ci ha resi tutti dolorosamente consapevoli.

In tutto ciò, sempre piú voci chiedono un ripensamento radicale dei nostri comportamenti, tesi ad acutizzare le disuguaglianze e la distruzione ambientale. Simbolica in questo senso è stata la proposta per un Great Reset avanzata nel forum di Davos.

Per salvare il futuro di questa Terra, però, non possiamo affidare interamente la gestione della crisi a politici ed esperti, cioè alle élite. Lasciar fare agli altri significa in definitiva favorire solo le classi piú agiate. Per dare spazio alla scelta di un futuro migliore è necessario quindi che ogni cittadino si senta direttamente coinvolto, che faccia sentire la sua voce e che passi all’azione. Ovvio però che muoversi alla cieca non porterebbe altro che a uno spreco di tempo prezioso. È importante puntare nella giusta direzione, con un’appropriata strategia.

Per individuare con chiarezza questa direzione occorre risalire alla ragione prima della crisi climatica. E la chiave di tutto è solo ed esclusivamente nel capitalismo. Questo perché è dalla rivoluzione industriale, cioè da quando il capitalismo si è messo definitivamente in moto, che assistiamo a un forte incremento dell’anidride carbonica. Subito dopo, è apparso un pensatore che il capitalismo l’ha dissezionato a fondo. Sí, un pensatore tedesco: Karl Marx.

Facendo all’occorrenza riferimento al Capitale di Marx, questo libro si propone di analizzare in che modo capitale, società e natura sono interconnessi all’interno dell’Antropocene. Con ciò non vogliamo assolutamente proporre una versione rifritta del marxismo. L’intenzione è invece di riesumare un aspetto completamente nuovo del pensiero di Marx, rimasto dormiente per centocinquant’anni.

Nell’epoca della crisi climatica, il mio auspicio è che Il Capitale nell’Antropocene possa liberare una forza immaginifica capace di costruire una società migliore.

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