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DIRITTO ALLA SALUTE: UN SUD SEMPRE PIÙ DIPENDENTE DAL NORD

Appunti sull’ultimo rapporto Svimez 

Oggi è il turno di flexman ma durante la pandemia gli eroi cui era stata conferita la corona d’alloro dal media collettivo a reti unificate erano gli infermieri e i medici. Per non parlare di infettivologi, epidemiologi e tuttologi del mondo medico di tutte le risme che spopolavano in tv e sulla carta stampata. L’impatto virale aveva mostrato il nervo scoperto di una sanità sempre più privata (soprattutto in Veneto e Lombardia) incapace di dare risposta immediata alle esigenze straordinarie di quella fase. I posti convenzionati con la Regione c’erano ma non erano disponibili all’accoglienza dei malati di Covid (per ulteriori approfondimenti sul tema si rimanda alla nostra monografia).

Passato il santo, passata la festa! Oggi che la situazione pandemica è notevolmente migliorata, mentre ci prepariamo secondo gli esperti di Davos all’epidemia del futuro che sarà prodotta da un certo virus X, O.S.S., infermieri e medici sono ritornati nella zona grigia, dimenticati dalla storia. La guerra in Ucraina ed una pletora di progettini inutili finanziati tramite i fondi del PNRR, risultano più importanti della sanità pubblica. Di assunzioni di massa, di costruzione di nuovi ospedali o di modernizzazione di quelli esistenti, non si parla più.

Fresco di stampa, l’1 Febbraio u.s. è apparso un report dello Svimez che ci aggiorna sullo stato dell’arte della sanità pubblica, con particolare riferimento al divario tra il nord ed il sud del paese. In un tempo di autonomia differenziata, anche i dati sembrano diversificarsi tra le diverse aree geografiche: I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario Pubblico italiano che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, il doppio di Francia e Germania). Da un lato, il bilancio nazionale della sanità non copre integralmente il costo dei LEA, quelle prestazioni e servizi che dovrebbero essere offerti in quantità e qualità uniformi in tutto il territorio nazionale. Dall’altro, la distribuzione regionale delle risorse, basata su dimensione e struttura per età della popolazione, non rispecchia gli effettivi bisogni di cura e assistenza dei diversi territori, condizionati anche da fattori socio-economici non contemplati nei criteri di riparto (Svimez, I divari Nord-Sud nel diritto alla Salute, p. 2).

Un sistema sanitario, dunque, che soffre di mancanza di finanziamenti ed è inoltre sbilanciato verso il settore privato. Scrivevamo pochi giorni fa su questo tema prendendo spunto proprio dalle recenti aperture di Pronto Soccorso e Medici di Base privati. 

I dati riferiti ai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) non fanno che rispecchiare in maniera freddamente statistica l’esperienza quotidiana dei cittadini del Sud costretti a continui pellegrinaggi sanitari verso i santuari ospedalieri del nord per sperare non tanto nel miracolo della guarigione ma almeno in quello di una relativa celerità nell’espletamento degli esami laboratoriali. Per gli esami di routine, infatti, ci si rivolge al privato visti i lunghissimi tempi di attesa nel pubblico, ma per esami più complessi non c’è che il ricovero nelle strutture settentrionali. Per le patologie oncologiche il 43% di cittadini Calabresi decide di farsi ospitare dai parenti precedentemente emigrati al nord per questioni lavorative e trovare così un ‘aggancio’ per essere curati a livelli accettabili.

Nel complesso, il finanziamento al Sistema Sanitario Nazionale italiano (6,6% del PIL) tra il 2010 ed il 2019 è molto al di sotto delle nazioni europee trainanti, Francia e Germania (8,9% e 9,4%). A parte il leggero aumento relativo agli investimenti causa Covid del 2022, le previsioni 2024-2026 parlano di un ulteriore definanziamento dello 0,3% del PIL. La spesa pro-capite nel 2022 è stata di 2.200€ in Italia contro i 5.085€ della Germania. Bisogna segnalare poi, all’interno della media italiana, un’importante forbice che vede una spesa pro-capite di 1.748 € in Calabria a fronte di una media di 2.495 € dell’Emilia Romagna.

Il 2010 per la Calabria è stato un anno fatidico. Per motivi di bilancio, il debito sanitario ammontava a quasi 900 milioni di euro, il Presidente della Regione Scopelliti, nonché Commissario della sanità calabrese, decideva di razionalizzare la spesa sanitaria. Nella sola provincia di Cosenza furono chiusi 9 ospedali: San Marco Argentano, Rogliano, San Giovanni in Fiore, Acri, Mormanno, Trebisacce, Cariati, Praia a Mare, Lungro. Molti altri presidi sanitari di prossimità venivano cancellati o depotenziati cancellando di fatto il diritto alla cura per vaste fette di popolazione. Per la grande provincia cosentina è rimasto praticamente solo il pronto soccorso dell’Ospedale di Cosenza, anch’esso in sofferenza per mancanza di personale. Di recente il governatore Occhiuto ha chiesto ausilio a medici provenienti da Cuba e meno costosi dei medici aderenti alle cooperative qui in Italia (Cfr. l’articolo “In Calabria vietato ammalarsi”).

In Italia, nel 2022 la spesa pubblica rappresentava il 76% della spesa sanitaria complessiva, a fronte dell’82, 85 e 87% di Regno Unito, Francia e Germania (Fig. 3). Nello stesso anno, dunque, in Italia la componente privata contribuiva per una quota quasi doppia rispetto agli altri paesi: poco meno di 1 euro su 4 della spesa sanitaria italiana è un costo sostenuto dai cittadini. In Italia la componente privata di spesa è aumentata dal 22 al 24% dal 2010 al 2022. Nello stesso periodo, in Germania si è ridotta dal 24 al 15%, in Francia dal 17 al 13% (Svimez, Un Paese due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla Salute, p. 6).

Il taglio dei finanziamenti alla sanità pubblica ha visto in questi stessi anni il contraltare di l’indubbia crescita della sanità privata. Fenomeni come le assicurazioni sanitarie private di stampo americano, quasi del tutto assenti nel nostro paese, iniziano a prendere piede. In molte contrattazioni decentrate si adottano sempre più misure di welfare aziendale per la copertura di spese mediche. Inutile dire che l’unica possibilità per i ceti meno abbienti e per i disoccupati è spesso la rinuncia alla cura dato che una fetta sempre più grande di prestazioni mediche passano a pagamento.

I dati sull’adempimento dei LEA del 2021 fotografano un Sud generalmente inadempiente con la Calabria al di sotto della soglia minima dei 60 punti in tutti gli ambiti assistenziali (Prevenzione, Distrettuale e Ospedaliera) al contrario di regioni come la Lombardia, l’Emilia Romagna e la Toscana con indicatori tra gli 80 ed i 95 punti per ambito.

Un altro indicatore importante, come sopra accennato, deriva dal confronto delle compensazioni finanziarie tra regioni. Questo dato mostra l’emigrazione sanitaria dei malati in cerca di cura: un dato oramai consolidato che mostra l’atavico pellegrinaggio della gente del sud verso i nosocomi del nord ed in particolar modo verso la Lombardia. La Calabria vede un debito di 2,71 miliardi di euro maturato tra il 2010 e il 2019 contro gli oltre 6 miliardi di attivo della Lombardia.

Il rapporto dello Svimez ci lascia con un piccolo commento anche sul tema dell’autonomia differenziata: Con l’autonomia differenziata si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra SSR e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute (Svimez, op. cit., p. 28).

In particolare l’autonomia differenziata con l’avvio della regionalizzazione con un finanziamento dei servizi trasferiti calcolato sulla “spesa storica”, rischia di sottrarre ulteriori risorse ai territori del Sud già impoveriti. Inoltre, le regioni più ricche potrebbero stornare più liberamente quota del maggiore gettito fiscale per sviluppare la propria sanità su base territoriale e rompendo ogni idea di perequazione. Pensiamo alla possibilità di aumentare gli stipendi di medici, infermieri e OSS e quindi incentivare un dumping sanitario che porterebbe molte delle professionalità dal Sud a Nord o l’impossibilità di fatto di portare a termine delle procedure concorsuali nei nosocomi del mezzogiorno. Già oggi, molti medici preferiscono aderire a cooperative private piuttosto che presentarsi ai concorsi pubblici visto i maggiori stipendi garantiti dalle prime. Anche il presidente del Gimbe Cartabellotta precisa sull’autonomia differenziata: “Oggi si parla di Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), ma la sanità con i Lea è stata un laboratorio naturale dei Lep”, rimarca il presidente Gimbe. “I Lea oggi non sono esigibili su tutto il territorio nazionale. Varie regioni del Centro-Sud sono in dissesto o in commissariamento da anni; questo vuol dire che gli strumenti messi in campo dallo Stato non sono adeguati. Il meccanismo non ha funzionato Prima di introdurre le autonomie bisognerebbe riequilibrare le differenze regionali. I problemi non si risolveranno facendo correre chi è già più forte. Le regioni del Sud e del Centro Italia finiranno per diventare clienti della sanità settentrionale. Il turismo sanitario, già diffuso, si aggraverebbe ulteriormente” (intervista a Rainews24).

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