Un dato che emerge negli ultimi due anni è quello relativo alla natura delle mobilitazioni realmente di massa e in qualche modo spontanee, nel senso che non sono serviti mesi per radunare persone da qualche parte. Queste sono state caratterizzate da una buona partecipazione attorno a temi quali il lockdown e il green pass. Al di là dei sit-in contro la guerra con numeri abbastanza contenuti, si può affermare che ciò che ha genuinamente spinto le persone in piazza siano state ragioni economiche e di agibilità delle libertà individuali. Non si vuole qui giudicare la bontà o meno delle proteste, ma solo registrare un dato socio-culturale. Le varie manifestazioni organizzate dal cosiddetto “ceto politico”, sia esso parlamentare o extraparlamentare, vedono una gestazione molto lunga, una certa preparazione e una effettiva opera di convincimento.
Crediamo che per comprendere il nostro tempo presente sia necessario analizzare ciò che accade, in maniera assolutamente smaliziata e senza nessun tipo di pregiudizio. Ciò che balza agli occhi è che certe tematiche sono molto più sentite di altre, alcuni problemi pesano maggiormente nella coscienza degli individui piuttosto che altri. Il fatto di restare a casa e chiusi non ha sicuramente fatto piacere a nessuno; non poter uscire vuol dire non spendere, il che implica un arresto di interi settori produttivi o rami industriali. Quindi reddito e consumo, uniti alle limitazioni delle libertà individuali, hanno fornito la scintilla per innescare una serie di rivendicazioni, consessi e manifestazioni. Va detto che, riaperte le attività e sparito il green pass, questo scontento sembrerebbe dissolto. Resta però una delle crisi strutturali peggiori del nostro recente passato.
Ciò che accadde nella big recession era dovuto ad una crisi di liquidità, il ciclo del credito si è interrotto ed è venuta meno la base sulla quale la produzione si genera. Ciò che accade oggi è forse assai più complesso, dal momento che l’interruzione della catena degli approvvigionamenti unita ad impennate dei costi energetici ha generato una spirale inflattiva da un lato ma una bolla speculativa dall’altro. Nel momento in cui la speculazione dovesse registrare un tracollo sul modello dei sub-prime, in questo caso stiamo assistendo ad una commistione fra future energia e criptovalute, alla crisi delle supply chains si aggiungerebbe la crisi del credito. Eppure tale prospettiva non sembra preoccupare né i soggetti politici organizzati né la gente comune che fino a qualche mese fa era ben disposta a sopportare freddo e idranti della polizia pur di veder cancellato l’oltraggioso green pass.
Assistiamo al ripresentarsi di timide occupazioni scolastiche come protesta al nuovo governo di destra. Fermo restando che protestare è sempre un gesto salutare, soprattutto tra i giovani, ma probabilmente i ragazzi oltre a protestare a scuola forse dovrebbero chiedere conto ai genitori se hanno o meno sostenuto elettoralmente questa maggioranza parlamentare. Ma rispetto alle questioni più propriamente connesse con la scuola, queste proteste non sembrano coglierle appieno.
L’alternanza scuola-lavoro ha lasciato sul campo ragazzi stritolati dall’aziendalizzazione della società e della scuola prima ancora che da macchinari o travi d’acciaio. Ma i loro amici, compagni e colleghi non sembrano aver dato rilevanza alla faccenda salvo all’indomani delle “tragedie”. Ora se possiamo anche capire cosa possa muovere l’iniziativa di individui poco più che adolescenti, ci risulta assai più difficile comprendere le scelte o le posizioni delle persone più adulte. E si badi bene che non ci sogneremo mai di fare le pulci alle proteste spontanee, quelle se mai vanno analizzate su base sociale e comprese fino in fondo per capire quali sono i fattori che le persone, definiamole “comuni”, cioè non strutturate in nessun soggetto politico di qualsivoglia natura, ritengono realmente importanti. Se a questi soggetti viene tolta anche la “libertà” di spendere quel poco che hanno nella socialità o godere del tempo libero, è quasi automatico che vi siano delle sonore proteste. Altra questione è vedere tanto il ceto politico istituzionalizzato quanto quello movimentista, profondere sforzi in campagne mediatiche o nella strutturazione di percorsi che spesso hanno scarsa aderenza con la realtà. E se dalle élite politiche istituzionali possiamo anche aspettarcelo, il resto del pantheon ci lascia un po’ perplessi.
La perplessità nasce da un agire politico entro il solco tracciato dal sistema. Avvertiamo ad esempio l’indignazione contro il caro bollette, si esigono provvedimenti (più che giusti) ma sfugge da dove arriva questa ondata di rincari. Non sembra che in molti si siano peritati di andare a capire cosa succede eppure tutto è accaduto alla luce del sole. Non ci sono state barricate quando, senza colpo ferire, il servizio energetico è passato al “mercato libero”. Questo accadeva nel 2003 e nel 2024 il mercato tutelato deve sparire e lasciare definitivamente il posto a quello concorrenziale. Questo è un dato iniziale ma quello che è accaduto dopo lo vediamo tutti quando apriamo la bolletta.
Tra speculazione da un lato e transizione green a carico di consumatori e spesa pubblica dall’altro ci ritroviamo in mezzo ad una crisi assai più profonda di quelle degli ultimi sessant’anni. Le implicazioni sono anch’esse sotto gli occhi di tutti ma si preferisce guardare altrove, e lo fanno quasi tutti. Dalle destre che devono trovare il loro capro espiatorio a tutti i costi, meglio se migrante e nero o se povero e sfaccendato, alle sinistre istituzionali che cianciano sul nulla di diritti non meglio specificati, a quelle extraparlamentari che annaspano in un fritto misto fra LGBTQIA+, neologismi, antimilitarismo d’accatto, ecologismi di nicchia, “mercati fuori mercato”, striscioni solitari ed entrismi sindacali. Ma nella realtà ci si trova invischiati in una transizione che non è quella green ma in una sorta di cambio della guardia nella quale l’Unione Europea si trova ad essere stritolata fra opposti interessi e contemporaneamente schiava della sua matrice ultra liberista. Il risultato è la precarizzazione totale dell’esistenza spacciata per flessibilità, una stagnazione pluridecennale dell’economia (non che noi si sia sostenitori della crescita, ma il sistema nel quale siamo immersi fa pagare il conto delle sue falle sempre al popolo), una trasformazione della società polarizzata sull’individualismo estremo. E forse quest’ultimo dato quello in assoluto più preoccupante, l’analisi del quale forse instrada verso la spiegazione della tendenza in atto. Coma mai gli individui si accalorano per il green pass e non per le condizioni di miseria nelle quali ci stiamo immergendo? Come mai a fronte di gabelle insostenibili per i servizi essenziali quali acqua, luce e riscaldamento il popolo si incazza per bar, ristoranti e stadi chiusi? Lungi dal sottovalutare ciò, ci interroghiamo sulla deriva che la società occidentale ha imboccato e nella fattispecie quella italiana.