Il movimento No Tech for Apartheid (NoTA) si è costituito partendo da una campagna internazionale lanciata nel 2021 da dipendenti di Google e Amazon, in collaborazione con le organizzazioni MPower Change e Jewish Voice for Peace. L’obiettivo scatenante è stato quello di opporsi al ‘Project Nimbus’, un contratto da 1,2 miliardi di dollari attraverso il quale Google e Amazon forniscono servizi di cloud computing e intelligenza artificiale al governo e all’esercito israeliano. (vedi precedente articolo su malanova.info)
I dipendenti delle Big Tech hanno chiesto anche che “le aziende smettano di diffondere disinformazione israeliana e di censurare contenuti solidali con i palestinesi. I nostri datori di lavoro hanno una vasta esperienza nella tutela della libertà di espressione, in particolare quella delle comunità emarginate e oppresse, e nel garantire che gli utenti abbiano accesso a informazioni verificate.[…] È ora che le aziende tecnologiche riconoscano che i lavoratori che impiegano hanno voci, prospettive ed esigenze che non possono più ignorare. La tecnologia dovrebbe essere utilizzata per costruire un mondo migliore, non per distruggerlo, ed è ora che chiediamo ai nostri datori di lavoro di costruirlo”. (Fonte: techworkerscoalition.org)
La preoccupazione principale dei tech workers è che la tecnologia fornita attraverso il Project Nimbus possa essere utilizzata per attività militari e di sorveglianza contro i palestinesi. I lavoratori coinvolti temono che, a causa della mancanza di trasparenza e della clausola contrattuale che impedisce alle aziende di rifiutare servizi a enti governativi, le tecnologie possano essere impiegate in azioni di guerra.
NoTA ha organizzato diverse azioni di protesta, tra cui sit-in negli uffici di Google a New York e Sunnyvale, California. Ad aprile 2024, queste manifestazioni hanno portato al licenziamento di oltre 50 dipendenti, alcuni dei quali non erano direttamente coinvolti nelle proteste. Inoltre, più di 1.100 studenti e giovani professionisti nel settore tecnologico hanno firmato un impegno a non lavorare per Google o Amazon fino a quando le aziende non si ritireranno dal Project Nimbus.
In una lettera aperta del novembre del 2023 questi dipendenti Google hanno denunciato:
“Siamo dipendenti Google, musulmani, palestinesi e arabi, affiancati da colleghi ebrei antisionisti. Non possiamo rimanere in silenzio di fronte all’odio, agli abusi e alle ritorsioni a cui siamo sottoposti sul posto di lavoro in questo momento. Mentre piangiamo la continua e incessante perdita di vite innocenti palestinesi, comprese quelle dei nostri cari, il nostro dolore collettivo è esacerbato da campagne di odio, abusi e ritorsioni all’interno di Google. I palestinesi sono stati pubblicamente definiti “animali” sulle piattaforme di lavoro ufficiali di Google, mentre la dirigenza è rimasta inerte. I musulmani hanno sopportato accuse di sostenere il terrorismo come parte della loro religione mentre […] i manager di Google hanno definito i dipendenti “malati” e una “causa persa” per aver mostrato empatia verso i residenti assediati di Gaza, e hanno persino chiesto pubblicamente ai dipendenti arabi e musulmani di Google se sostenessero Hamas, in risposta alle loro espressioni di empatia o preoccupazione per la sicurezza delle famiglie palestinesi. Ci sono persino sforzi coordinati per rendere difficile la vita pubblica dei dipendenti simpatizzanti per la Palestina e per segnalarli sia a Google che alle forze dell’ordine per “sostegno al terrorismo”. Altri esempi di repressione e punizione nei confronti dei dipendenti di Google che si esprimono contro quello che giustamente considerano un genocidio contro il popolo palestinese, così come altri esempi di diffuso odio anti-musulmano sistematicamente tollerato dalla dirigenza di Google”. (https://medium.com/@notechforapartheid/googleopenletter-868f0c4477db)
Dal suo lato, Google ha dichiarato in più occasioni che il contratto con Israele non è destinato a usi militari e che i servizi forniti sono conformi alle politiche aziendali. Tuttavia, le dichiarazioni di funzionari israeliani suggeriscono che la tecnologia cloud fornita da Google e Amazon sta avendo un impatto significativo nelle operazioni militari. Anche alcuni articoli del 2024 hanno confermato questa verità.
In un’importante inchiesta pubblicata da The Intercept si evince che, nonostante Google continui a sostenere che il Progetto Nimbus “non è rivolto a situazioni altamente sensibili, classificate o militari o rilevanti per i servizi segreti o le armi”, sia Google che Amazon sono da considerarsi ‘embedded’ con le Forze di occupazione israeliane. “Secondo il documento di appalto del governo israeliano di 63 pagine”, afferma l’inchiesta, “due dei principali produttori di armi statali israeliani sono obbligati contrattualmente a utilizzare Amazon e Google per le esigenze di cloud computing. Sebbene i dettagli del lavoro contrattuale di Google e Amazon con l’industria bellica israeliana non siano descritti nel documento di gara, che delinea come le agenzie israeliane otterranno servizi software tramite Nimbus, le aziende sono responsabili della produzione di droni, missili e altre armi che Israele ha utilizzato per bombardare Gaza”.
Prendendo spunto da questa inchiesta gli attivisti della campagna No Tech For Apartheid hanno chiaramente dichiarato che l’intelligenza artificiale sta diventando la spina dorsale della violenza di stato e Google e Amazon così come altri titani della Silicon Valley si contendono il ruolo di infrastruttura per eserciti, polizia, ICE e altre forze violente in tutto il mondo. La guerra diventa una nuova linea di business molto redditizia.
“Con queste nuove informazioni, non c’è più spazio per i dubbi: Google e Amazon stanno potenziando la macchina di morte dell’esercito israeliano. I dirigenti di Google e Amazon sono speculatori del genocidio con le mani sporche di sangue”.
Il movimento ha ampliato la sua portata, coinvolgendo anche Microsoft con la campagna “No Azure for Apartheid”, che chiede la cessazione di tutti i contratti Azure con il governo e l’esercito israeliani. Il movimento NoTA continua a raccogliere adesioni e a organizzare proteste, con l’obiettivo di interrompere la collaborazione tra le grandi aziende tecnologiche e il governo israeliano in ambiti che potrebbero contribuire alla repressione dei diritti dei palestinesi.
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