No perditempo!

Email: redazione@malanova.info


Subalternità, egemonia e “comunità di senso”


“La competizione rappresenta la più completa espressione della battaglia di tutti contro tutti che governa la moderna società civile. Questa battaglia, una battaglia per la vita, per l’esistenza, per tutto, in caso di necessità una battaglia per la vita o la morte, viene combattuta non solo tra le diverse classi sociali, ma anche fra gli individui che appartengono a queste classi. […] Ma questa competizione dei lavoratori tra di loro è il lato peggiore del presente stato di cose nel suo effetto sul lavoratore, l’arma più affilata contro il proletariato nelle mani della borghesia”. (Friedrich Engels, “La condizione della classe operaia in Inghilterra”, 1845)

La lotta operaia, che tanto guadagno ha portato alle classi subalterne, è stata scientificamente incanalata nella competizione intra-operaia. La favoletta costituente raccontata dall’élite capitalista si innerva sul cosiddetto sogno americano che ha fatto enorme presa sulle masse popolari. Il nemico non è il miliardario che “si è fatto da solo” partendo con le pezze al culo dal mitico garage dei genitori e arrivando, per meriti, alla condizione di ricchezza attuale. Il nemico è l’altro uguale a me, il poveraccio che compete nella scalata al paradiso dei milionari.

Se sei a terra non strisciare mai
Se ti diranno, “Sei finito”, non ci credere
Devi contare solo su di te…

Uno su mille ce la fa
Ma quanto è dura la salita
In gioco c’è la vita

cantava Gianni Morandi al Festival di Sanremo proponendo artisticamente il tema della meritocrazia, una delle virtù del sistema liberal-occidentale. “Devi contare solo su di te”, “Uno su mille ce la fa” con il corollario che gli altri 999 sono tuoi antagonisti alla scalata sociale. E chi sono questi antagonisti? Quelli che sono già in vetta o quelli che come te provano a non strisciare mai?

La lotta tra classi, quindi, è divenuta una lotta interclasse. I subalterni si spintonano e sgomitano per raggiungere i pochi posti rimasti liberi nel paradiso capitalista.

L’intero quaderno 25 – Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali subalterni – scritto nel 1934 da Antonio Gramsci si occupa del concetto di subalternità. Nel paragrafo 2 afferma:

“La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono […]. Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale […]”

L’azione propria dei gruppi dominanti è, dunque, quella di disgregare la classe antagonista, atomizzarla, liquefarla, in modo che non abbia quella solidità che permette un’azione politica autonoma. Quest’azione è sinteticamente accennata da Gramsci nel paragrafo 4 dello stesso quaderno intitolato “Alcune note generali sullo sviluppo storico dei gruppi sociali subalterni nel Medio Evo e a Roma”. Nell’analisi storica gramsciana si evince un accentramento politico, sociale e culturale crescente. 

Se “nello Stato antico e in quello medioevale, l’accentramento sia politico-territoriale, sia sociale (e l’uno non è poi che funzione dell’altro) era minimo” e composto meccanicamente da gruppi sociali con una certa autonomia e, per questo motivo, accadeva che “i gruppi subalterni avevano una vita propria, a sé, istituzioni proprie ecc. e talvolta queste istituzioni avevano funzioni statali, che facevano dello Stato una federazione di gruppi sociali con funzioni diverse non subordinate, ciò che nei periodi di crisi dava un’evidenza estrema al fenomeno del «doppio governo»”. Gli unici esclusi da questa relativa autonomia erano gli schiavi a Roma ed i servi della gleba ed i proletari nel mondo medioevale. La situazione cambia notevolmente con l’avvento dello Stato moderno che, secondo Gramsci, “sostituisce al blocco meccanico dei gruppi sociali una loro subordinazione all’egemonia attiva del gruppo dirigente e dominante, quindi abolisce alcune autonomie, che però rinascono in altra forma, come partiti, sindacati, associazioni di cultura. Le dittature contemporanee aboliscono legalmente anche queste nuove forme di autonomia e si sforzano di incorporarle nell’attività statale: l’accentramento legale di tutta la vita nazionale nelle mani del gruppo dominante diventa «totalitario»”.

L’iniziativa totalitaria consiste proprio nella soppressione di ogni “comunità di senso” autonoma per aggregarla al progetto egemonico culturale e politico delle classi dirigenti. I gruppi subalterni che godono di una certa solidità e una relativa autonomia (famiglia, sindacati, associazioni, cooperative, parrocchie, partiti) devono liquefarsi o addirittura gassificarsi per essere meglio assimilati nel meccanismo statale-totalitario a servizio dei gruppi governanti. Se un tempo il totalitarismo si manifestava nell’oppressione anche violenta, oggi passa per il tramite della persuasione, sviluppando egemonia culturale e tradizioni nuove capaci di generare meccanismi non coatti di adesione ‘libera’ dei gruppi subalterni alla logica del sistema che li opprime. Chi aderisce alla cultura dominante ha in realtà la sensazione di rompere tabù, di affrancarsi progrerssivamente dalla schiavitù, di essere più liberi. 

“Ebbene, mi sembra che la natura della rivoluzione definitiva che ci troviamo di fronte sia proprio questa: che stiamo sviluppando tutta una serie di tecniche che consentiranno all’oligarchia un tipo di controllo – che è sempre esistito e presumibilmente esisterà sempre – per convincere le persone ad amare davvero la propria servitù”. (Aldous Huxley, L’ultima rivoluzione)

La disgregazione, liquefazione/gassificazione, delle “comunità di senso”, non si sviluppa ai nostri giorni in maniera manifesta e violenta ma instillando un senso di emancipazione e liberazione nelle masse al raggiungimento degli obiettivi prefissati dalle élite. Il fascismo attuale non ha il volto del fascismo mussoliniano delle purghe o hitleriano delle camere a gas. Il fascismo del XXI secolo ha il volto dell’emancipazione familiare, sessuale, partitica, sindacale, religiosa. L’azione principale non è quella della chiusura violenta delle “comunità di senso” (sedi di partito, parrocchie, associazionismo sovversivo o mutualistico) ma quella della dispersione. Ogni ‘solidificazione’ come il processo di liquefazione di un gas, in effetti, prevede l’applicazione di una qualche forma di energia, di compressione, di violenza. Il gas deve essere forzato per essere irreggimentato nella sua bombola. Il gas deve essere costretto in un piccolo spazio. Al contrario, se apriamo la bombola, il processo di fuoriuscita prevede una sorta di liberazione dall’angusto contenitore ed un senso di emancipazione del gas che è così libero di disperdersi ovunque nell’atmosfera. Ma questo processo di liberazione è anche un processo di rarefazione: quando le singole molecole di metano si sparpagliano nell’aere si faranno sempre più distanti e rarefatte; in ultima analisi diventano sole, isolate!“L’effetto naturale [della società moderna] è di fare in modo che ogni individuo sia il suo proprio centro. Ma quando ciascuno è il centro di se stesso tutti sono isolati. Quando tutti sono isolati, non c’è che polvere. Quando arriva la tempesta la polvere diventa fango”. (Benjamin Constant, De la religion, citato in M. Tronti, Dello spirito libero, Milano, il Saggiatore, 2015)


Print Friendly, PDF & Email