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Le alterne fortune del termine esoeditoria

di Alessandro Gaudio



V.S. Gaudio è morto il 9 maggio scorso. Negli ultimi anni della sua vita, ha cercato, allo stesso modo che in passato ma con un senso di angustia maggiore, degli spazi periferici di espressione che rimandano concettualmente all’esoeditoria degli anni Sessanta e Settanta ma che, come del resto il Dado tutto bianco, cercano febbrilmente una loro dimensione autonoma rispetto alle esperienze letterarie di oggi.

Il termine esoeditoria è stato coniato in occasione della Rassegna dell’esoeditoria italiana. Per una verifica di alternative culturali – culture alternative contemporanee, organizzata a Trento dal 30 ottobre al 2 novembre 1971 da Bruno Francisci. È stato, poi, ripreso qualche mese dopo in un articolo, intitolato La esoeditoria in Italia, apparso sulla rivista torinese “Pianeta” (n. 45, marzo-aprile 1972, pp. 3-5) e firmato da Delfino Maria Rosso.

Con questa parola si intendeva definire tutta quella produzione editoriale esterna, di fatto, ai canali di diffusione della cultura borghese, non condizionata dal mercato e non controllabile da chi detiene il potere economico e politico. Accanto ai libri, tra i prodotti esoediti, non rivolti alla produzione di massa, si possono trovare manifesti, fogli sparsi, fascicoli, buste, oggetti vari stampati con le tecniche più diverse: tipografia, ciclostile, serigrafia, ecc.

Il termine esoeditoria non ha avuto gran fortuna ed è stato presto sostituito da locuzioni come editoria indipendente o alternativa che ne hanno esteso e in parte alterato il senso originario, riferendosi alle produzioni pubblicate, spesso a spese dell’autore, nei circuiti editoriali che insistono intorno agli appassionati di esoeditoria artigianale, del libro d’artista o di altri generi particolari.

Col tempo, tradotta nella temperie transavanguardistica – o, nel caso qui considerato, neo-esoeditoriale – che recupera liberamente alcuni aspetti tradizionalmente d’avanguardia e accomuna la disposizione di Gaudio a quella di Pavanello, l’autoproduzione di libri e riviste, quando non si è ridotta a mero esercizio snobistico, ha finito per non essere più esclusivamente connessa alla ricerca di linguaggi esoterici, ma, pur continuando a riguardare l’allestimento di un mezzo alternativo di espressione, è sfociata nella protesta inveterata e nell’aspirazione utopistica o, ma è la medesima cosa, etica, a un mondo che si ponga in maniera difforme rispetto al carattere stesso della pratica intellettuale convenzionale.

Sottolineare la dimensione e le predilezioni esoeditoriali del poeta, anche senza sfiorare il nucleo stilistico della sua proposta, è al di là di ogni dubbio il modo migliore per ricordarlo su un giornale murale, sottraendosi – avrebbe detto Adorno – al fronte unico di tecnica e monopoli.

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