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Sovranità e deglobalizzazione.

Mentre vi scrivo questa lettera, il mondo sta subendo una trasformazione: il brutale attacco della Russia all’Ucraina ha sconvolto l’ordine mondiale in vigore dalla fine della Guerra Fredda, più di 30 anni fa. […] Ma l’invasione russa dell’Ucraina ha posto fine alla globalizzazione che abbiamo vissuto negli ultimi tre decenni. Avevamo già visto la connettività tra nazioni, aziende e persino persone messe a dura prova da due anni di pandemia. Ha lasciato molte comunità e persone isolate e con lo sguardo rivolto verso l’interno”.

(Larry Fink, Lettera agli investitori di BlackRock, 2022)

La pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo hanno letteralmente deviato il corso della storia. La “pacifica” globalizzazione che vedeva l’unilaterale progresso dell’”esportazione della libertà” da parte dell’Occidente collettivo – coadiuvata dall’utilizzo di bombe e con la facilitazione di cambi di regime non avallati da alcuna legalità internazionale – pare che, seguendo il ragionamento del patron di BlackRock, sia terminata o comunque è stata costretta ad inserire il freno a mano.

Che la globalizzazione stia mutando è evidente già dalla fine del secolo scorso, meno evidente è che cosa stia diventerà. Gli abbagli e i facili entusiasmi si diffondono alla velocità dei bit in rete e in questa fase storica i sensazionalismi sono ormai cronaca quotidiana. Ma se tutto ciò possiamo aspettarcelo da blog e gruppetti telegram un po’ d’accatto, quando certe affermazioni arrivano da famosi mastodonti finanziari allora la questione passa dal sensazionalismo a qualcosa di più fondato. 

Se ad affermare la fine della globalizzazione così come si è riprodotta negli ultimi tre decenni ci si mette anche il CEO di BlacRock, (una della più grandi società di investimento con sede a New York che vanta un patrimonio totale di 10.000 miliardi di dollari al 31 dicembre 2023), allora qualcosa di veramente grosso si sta muovendo a tutela degli interessi che rappresenta.

Fine della globalizzazione, ma da quando?

Il quadro appare drammatizzarsi ulteriormente, se si prende in esame la globalizzazione a trazione occidentale, visto l’apparire sull’orizzonte globale di quel tentativo di cooperazione economica tra gli stati membri di quel gruppo denominato stringatamente come BRICs (Brasile, Russia, India e Cina con l’aggiunta di Sudafrica – 2010 – e di Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti – 2024) e che rappresenta una fetta importantissima della popolazione mondiale e del prodotto interno lordo globale. Tanti i tentativi, per il momento solo abbozzati, di currency change al fine di sostituire il dollaro nelle transazioni internazionali.

Questo il ‘nuovo scenario’, ma i BRICs sono proprio tanto recenti? 

L’origine del fortunato acronimo risale al 2001 e deriva dalla penna dell’economista Jim O’Neil della Goldman Sachs per denominare il gruppo di quelle economie in rapido sviluppo e che a suo avviso avrebbero dominato collettivamente l’economia globale entro il 2050. Non è passata neanche una generazione, era il 2020, da quando Etienne Balibar si interrogava sulla fine della sovranità nazionale, derivante, a suo dire, dalla nascita di entità governative sovranazionali slegate dall’etnicità.

Nel contesto di una nuova fase della mondializzazione è divenuto comune associare le incertezze della costruzione europea all’idea di una crisi della sovranità. Il più delle volte, tuttavia, questa formulazione è intesa in senso restrittivo, poiché si identifica a priori la nozione di sovranità con la sua forma nazionale e, al tempo stesso, si suggerisce un’equivalenza tra crisi della sovranità e sviluppo di spazi politici sovranazionali, transnazionali o post-nazionali”. (E. Balibar, Prolégomènes à la souveraineté: la frontière, l’État, le peuple , articolo apparso sulla rivista «Les Temps Modernes» , n°610, sett.-ott.-nov. 2000).

Il cortocircuito, secondo il filosofo francese, sta tra i due concetti di sovranità dello Stato sovranità del Popolo. Sembra infatti che con il liquefarsi del concetto nazionale (etnico, linguistico, religioso) che confluisce in entità sovranazionali (pluri-etniche, linguistiche e religiose) venga meno il concetto di sovranità nazionale senza farne sorgere per il momento una sovranazionale. In effetti, “l’idea di una sovranità popolare (decisione collettiva, rappresentanza degli interessi della massa dei cittadini e controllo dei governanti da parte dei governati) dissociata dalle sue forme statali resta enigmatica, se non contraddittoria. La sua genealogia è nascosta, piuttosto che illuminata, dall’attuale alternativa tra sovranità nazionale e «costellazione post-nazionale»” (ibidem)

Dal 2000 al 2024 sembra ribaltarsi questa profezia e riemergere un mondo antico. Da molte parti sembrerebbero essere poste nuove fondamenta per la rinascita dell’entità Statale con la sua identità e la sua sovranità. Lo Stato Islamico, prima, che si fonda sulle basi religiose del califfato, il concetto di impero zarista che risorge dalle ceneri della dissoluzione della Russia liberale dopo la dissoluzione della Russia sovietica e le super potenze demografiche ed economiche della Cina e dell’India che si pongono come alter ego dell’unica potenza globale rimasta in piedi dopo l’implosione del comunismo. Secondo l’analisi di Blackrock, è sconvolto l’ordine mondiale in vigore dalla fine della Guerra Fredda, più di 30 anni fa.

L’eterna diatriba tra sovranità nazional-statuale e la sovranità che “appartiene al popolo”, ruota, secondo Balibar, intorno al concetto di “stato d’eccezione” analizzato nel pensiero di Carl Schmitt. Solo nello stato di eccezione si comprende giuridicamente chi è abilitato alla decisione e dunque chi è il vero sovrano. Tra la rete giuridica imbastita dal diritto per garantire la popolarizzazione del potere che consta nella sua suddivisione e imbrigliamento nella rete della legge e la sospensione di fatto del diritto e della costituzione nel momento dello stato si eccezione. Secondo Schmitt, la forma democratica costituzionale non è che la decomposizione della sovranità ed è possibile solo al di fuori dello stato di eccezione. In una fase di semplice navigazione tra i flutti del notorio regge il timone dell’infrastruttura giuridico-costituzionale. Ma quando le mareggiate dello stato di eccezione si fanno nuovamente valere si “presentano allora due soluzioni: da un lato, quella della dittatura popolare (tramite la mediazione degli organi di rivoluzione permanente, comitati di salute pubblica o soviet) e, dall’altro, quella del trasferimento della totalità dei poteri decisionali a un capo carismatico, «custode della costituzione”. (ibidem.)

E questo è proprio il caso eccezionale della situazione italiana e mondiale durante lo tsunami del Covid-19. Dietro i pilastri metafisico-teologici che stanno alla base della nostra fase storica, dietro il paravento costituzionale, si celano i veri decisori della storia. Nell’eccezione della pandemia la narrazione democratica si è trasformata nella realtà della repubblica platonica dei filosofi o meglio nella contemporanea dittatura degli scienziati, non importa se ispirati dagli interessi più alti della ricerca della verità e della tutela della salute pubblica o semplicemente al soldo delle forti multinazionali del farmaco, degli armamenti o dell’informatica.

Chi ha governato e chi governa dunque lo stato di emergenza? Dove risiede la sovranità in questo nostro strano modello di democrazia? 

(cf. https://www.malanova.info/2023/10/18/la-speranza-e-lultima-a-morire-governare-lo-stato-demergenza/)

La sovranità popolare è andata a cozzare contro il Comitato Tecnico-Scientifico che ha deciso l’insorgere del coprifuoco e delle zone rosse a libertà limitata, una riedizione, come diceva Balibar, dei comitati di salute pubblica. Un soggetto collettivo, certo, non un dittatore unipersonale, ma pur sempre un soggetto sovrano seppur non votato ma solo investito del suo ruolo. Sovrano in nome e per conto del popolo? Capace di mediare e tradurre la volontà popolare? Oppure sovrano contro e a discapito degli interessi popolari? In effetti in nome della salute del popolo si è scelto di limitare la libertà dello stesso. Giusto? Sbagliato? Di certo lo stato di eccezione permette l’apparire della vera sovranità.

“La sproporzione di fronte a quella che secondo il Cnr è una normale influenza, non molto dissimile da quelle ogni anno ricorrenti, salta agli occhi. Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite.

L’altro fattore, non meno inquietante, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo”. (G. Agamben, https://ilmanifesto.it/lo-stato-deccezione-provocato-da-unemergenza-immotivata, 2020)

Il concetto di sicurezza sembra di fatto sovrastare quello di libertà. Non ti vaccini? Ne va della sicurezza degli altri e quindi sei espulso dal contesto sociale attraverso la perdita del lavoro e dei diritti fondamentali. La guerra Russo-Ucraina diventa un elemento sovversivo della sicurezza internazionale? Torniamo alla fase di riarmo propria della guerra fredda e inviamo nel contempo aiuti economici e di mezzi militari al governo ucraino per difendersi anche a discapito di salute, istruzione e lavoro ed anche se costituzionalmente l’Italia non potrebbe partecipare in scenari di guerra ripudiati esplicitamente. Chi ha preso allora una tale decisione in un contesto di stato d’eccezione?

L’antinomia tra sovranità nazionale e sovranità popolare è giocata, dal Balibar dell’articolo citato, tutta in funzione di una giustificazione filosofica della seconda in un contesto di sparizione dello Stato. Come secolarizzare radicalmente il concetto di sovranità passando dal suo significato teologico (sovranità divina) a quello politico (sovranità del monarca) per giungere a quello sociale (sovranità popolare)? È possibile che quella capacità decisionale concessa da Dio al monarca oggi possa passare direttamente al popolo? E come tradurre la soggettività divina, monarchica e statale, comunque personale, quando la si voglia far indossare al popolo per sua natura plurale e stratificato?

Democratizzare la sovranità è l’obiettivo che si pone il filosofo francese leggendo e rileggendo le acquisizioni del realismo politico da Hobbes a Schmitt. Oggi, come dicevamo, il quadro politico-economico-sociale è notevolmente mutato e nella sua mutazione ha mantenuto le caratteristiche dittatoriali del processo decisionale discendente dal sovrano. All’indomani della caduta del muto di Berlino tutto sembrava normalizzato e sulla via della globalizzazione pareva affermarsi il principio della “fine della storia” che si compiva nel processo di “occidentalizzazione del mondo”. Questo avveniva creando gli enti governativi sovranazionali che vide il sorgere delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Tutto ciò, sotto le mentite spoglie del progresso delle libertà, vedeva ben saldo lo scettro del comando nelle mani della potenza statunitense, l’unica vera potenza superstite tra quelle vincitrici dal conflitto mondiale. La democratizzazione del mondo che passa dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e dall’assemblearismo degli Stati all’interno delle aule dell’ONU in realtà era sostenuto dalle bombe made in USA che spianavano la strada al cammino inesorabile della storia contro ogni possibilità di ribellione o di resistenza. La potenza unificante del dollaro, poi, ha generato l’epopea della globalizzazione con la sua unificazione dei mercati passante dalla finanziarizzazione dell’economia. 

Proprio l’apice della finanza, Blackrock, nel 2022 ha sancito, come leggevamo, la fine di quella narrazione e di quell’ordine mondiale globale. La guerra nel cuore dell’Europa si è sostituita alla finta pace globale. L’insinuarsi della Nato nell’Europa Orientale si è fermata all’Euromaidan. L’attentato al premier slovacco Fico e le incursioni esterne nel contesto georgiano sono forse gli ultimi rantoli del vecchio modello unilaterale dell’Occidente collettivo. Di fatto, però, alla dittatura occidentale pare sostituirsi una dittatura multipolare, dove a vincere non è stata la democratizzazione della sovranità popolare così come pensata da Balibar ma continua a vincere chi nello stato d’eccezione della guerra può vantare i maggiori armamenti. Ancora una volta è il deterrente nucleare a fare da ago della bilancia. Di recente l’Iran ha dovuto ritrarsi di fronte all’aiuto statunitense verso Israele e la Nato deve guerreggiare in Ucraina per interposta persona per non superare quel limes che porterebbe il mondo in un’apocalisse atomica. 

La sovranità nazionale sembrava essersi disciolta nel mare della finanza e dei suoi poteri più o meno occulti ma che impregnavano di sé la globalizzazione. Oggi quella sovranità pare risolidificarsi nei corpi politici identitari e nazionali che provano a competere generando entità cooperative sovranazionali. Da una parte la Nato con gli Stati Uniti in testa ed i suoi alleati gregari, dall’altra i BRICS con la potenza cinese in testa e con Russia, India, Brasile e Sud Africa che provano e pare riescono a farsi attrattori di tutto quel mondo di ex colonie dell’Occidente storico. 

Ritornando alla lettera di Larry Fink, scorrendo in avanti il suo contenuto, possiamo cogliere un altro aspetto fondamentale: con il senno del poi parrebbe che neanche i vecchi meccanismi ricattatori della finanza globalizzata funzionino più tanto bene.

“I mercati dei capitali, le istituzioni finanziarie e le aziende sono andati ben oltre le sanzioni imposte dai governi. Come ho scritto nella mia lettera agli amministratori delegati all’inizio di quest’anno, l’accesso ai mercati dei capitali è un privilegio, non un diritto. E dopo l’invasione della Russia, abbiamo visto come il settore privato abbia rapidamente interrotto rapporti commerciali e di investimento di lunga data. […] La velocità e la portata delle azioni aziendali volte ad amplificare le sanzioni sono state incredibili. Gli iconici marchi di consumo americani hanno sospeso le loro operazioni di prodotti non essenziali. E le società di servizi finanziari hanno adottato misure simili per isolare ulteriormente l’economia russa dal sistema finanziario globale. Queste azioni intraprese dal settore privato dimostrano il potere dei mercati dei capitali: come i mercati possono fornire capitale a coloro che lavorano in modo costruttivo all’interno del sistema e quanto velocemente possono negarlo a coloro che operano al di fuori di esso. La Russia è stata sostanzialmente tagliata fuori dai mercati dei capitali globali, dimostrando l’impegno delle principali aziende ad operare in linea con i valori fondamentali. Questa “guerra economica” mostra cosa possiamo ottenere quando le aziende, supportate dai loro stakeholder, si uniscono di fronte alla violenza e all’aggressione”. (Larry Fink, Lettera agli investitori di BlackRock, 2022)

Trascorsi due anni possiamo dire che questa profezia del finanziere americano non si è avverata. La guerra continua e pare che l’Ucraina foraggiata dalla Nato sia in rotta. Al contrario di quanto predisse Mario Draghi, neanche le sanzioni più radicali sono riuscite ad ammansire la Russia che ha girato i suoi canali di vendita verso i partner dei BRICs crescendo nel 2024, secondo il Fondo Monetario Internazionale, del 3,2%, ovvero 0,6 punti percentuali in più rispetto alle previsioni e si stima per il 2025 una crescita dell’1,8% (+0,7 punti percentuali), molto più degli stessi Stati Uniti d’America.

Cos’è accaduto al meccanismo dalle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione finanziaria? Chi decide oggi nello stato di eccezione? Se la finanza non riesce più a plasmare il mondo attraverso il suo decisionismo chi sarà oggi il Principe capace di governare il nuovo assetto globale? Chi risulterà vincitore nell’ambito della conflittualità tra pace e guerra, finanza globale e bomba nucleare, Nato (cooperazione militare) e BRICs (cooperazione economica), tra unilateralismo e multipolarismo? 

La guerra in Ucraina, lungi dall’essere un mero scenario di guerra regionale, rappresenterà con ogni probabilità l’ago della bilancia del futuro riassetto politico mondiale che ondeggia fin d’ora tra il multipolarismo e l’apocalisse.

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