Come da nostra abitudine, oramai consolidata, cerchiamo di evitare per quanto possibile i commenti a caldo. Soprattutto quando sono relativi a dipartite di personalità che hanno giocato un ruolo determinante in merito alla teoria politica o all’analisi di fasi storiche particolarmente complesse. Non è facile spiegare che relazione intercorra tra la nostra redazione e la figura di Mario Tronti per almeno due ordini di motivi. Il primo é che il pensiero di Tronti rappresenta un po’ l’ossatura metodologica sulla quale costruiamo gran parte delle nostre analisi, con questo non vogliamo ovviamente definirci epigoni o ancora peggio depositari di alcun pensiero. Riteniamo di aver trovato una rara freschezza e attualità nel pensiero trontiano, cercando quindi di ravvivarlo nella prassi di “interrogare” la fase nella quale viviamo. Il secondo motivo risiede più nella natura della redazione che nel pensiero di Tronti. La strutturazione dell’indagine socio-politica fornita dalla corposa letteratura di e su Tronti, ha consentito un nostro serrato e a volte concitato dibattito interno. Pur provenendo, noi redattori, dal grande calderone della cosiddetta sinistra extraparlamentare, vi apparteniamo con sfumature marcatamente differenti. Da quella piú autonoma a quella libertaria. Il dibattito sviluppatosi attorno alla ricerca di una attualizzazione del pensiero di Mario Tronti, per altro al di là dall’essersi concluso, ha consentito un chiarimento e una riconfigurazione dei nostri parametri analitici. Un momento di maturazione e affinamento del pensiero in seno ad un processo di scrittura collettiva.
La dipartita di Tronti non segna ovviamente nessuna battuta d’arresto di questo processo. Se mai preclude la possibilità di conoscere il punto di vista sulla futura evoluzione della fase di una mente indagatrice e riflessiva come quella trontiana.
Crediamo che oltre ai grandi pensatori rivoluzionari del XIX secolo, siano ancora da approfondire un nutrito gruppo di teorici a cavallo fra la grande stagione della contestazione, l’avvento del pensiero postmoderno fino all’esaurirsi del sistema generato dalla guerra fredda.
Fasi storiche complesse nelle quali anche eventi geograficamente circoscritti assumevano un rilievo strategico sia dal punto di vista della narrazione del capitale sia da quella della contronarrazione di movimento. In queste poche decadi si è consumato il propellente del ‘900 e in pochi hanno colto cosa sarebbe accaduto “dopo”. Eppure, a volerle vedere, le traiettorie erano chiare e le analisi sulla fabbrica diffusa, sulla produzione cognitiva, l’economia immateriale e la precarizzazione erano un fatto in via di compimento piú che un’ipotesi.
La crisi del soggetto e la rarefazione della classe operaia, “evolutasi” in classe precaria a tutto tondo, era già visibile ai primi bagliori degli anni ’90. Ebbene la capacità di intravedere le tendenze e immaginare i punti di caduta del Sistema appartiene a quegli attenti pensatori dei quali Tronti ha fatto parte.
Non abbiamo mai immaginato di rinverdire o ritracciare il pensiero trontiano, se mai il nostro intento è quello di abbandonare il codismo o, in termini piú nobilitanti, la prassi da retroguardia e tornare a ragionare secondo un metodo analitico per interrogare la fase. Evitando cadute da adepti del “trontipensiero”, abbiamo cercato di prendere ciò che di attualizzabile c’era e di innestarlo in un ragionamento complesso che tenesse assieme l’analisi della fase con l’inchiestare alcune evidenze processuali della stessa. Il tutto ovviamente all’interno di un’operazione con successive approssimazioni e sintesi parziali, barcamenandoci tra personali aderenze ad alcune forme pensiero e l’accettazione di contraddizioni spesso non percepite. Un processo che ci ha piacevolmente costretti a rivedere e mettere in discussione assunti che consideravamo assodati e stabili. Il confronto interno ha poi sortito i suoi primi effetti, portandoci a relazionarci con ciò che avevamo immediatamente attorno a noi.
Abbiamo decostruito in primis la narrazione proveniente dall’interno del movimento per decodificare la crisi che lo attraversa da almeno sei lustri, per poi giustapporre quanto ottenuto alla narrazione imperante del Sistema socio economico nel quale siamo immersi. Ciò che è facilmente osservabile è come il movimento antagonista europeo sia in balia del Sistema, avendone assorbito I canoni fondativi[1]. Nulla di eclatante dal momento che abbiamo descritto, anche se per sommi capi, un processo che è alla luce del sole, ma forse non ancora a tutti chiaro.
È nel solco dell’eterodossia del pensiero di personalità come Alquati, Tronti, Panzieri, ecc. che abbiamo cercato strumenti utili per comprendere il nostro presente. La complessità come elemento base col quale confrontarsi ed evitare la banalizzazione dei processi facendo scadere l’analisi nella narrazione. Il punto di innesto della sussunzione della struttura del movimento, a nostro modo di vedere, è quello partendo dal quale si è cominciato a retrocedere sul piano analitico per indulgere su quello narrativo, giungendo a deduzioni via via sempre piú distanti dalla realtà dei problemi. Un’auto narrazione consolatoria al posto di un’interrogazione realistica e dolorosa della fase. Alla dialettizzazione dei problemi si è sostituita la problematizzazione della dialettica. Un abbandono quasi scientifico degli strumenti utili a sondare la complessità della nostra contemporaneità. Il mantra del superamento del ‘900 ha avuto una presa tanto efficace da farci gettare tutto, bimbo, acqua sporca e finanche la tinozza. Proprio al contrario del pensiero Trontiano che ha origine, sviluppo ed epilogo tutti interni al ‘900, una fase storica, secondo il nostro, ancora da scandagliare per comprenderne la complessità e le intuizioni. Tutto ciò non per fare un inutile feticcio del contenitore novecentesco con le sue lotte, le sue vittorie e le sue sconfitte, ma per tenere sempre con sé la storia, senza la quale non si può ricostruire alcunché. Un procedere “con le spalle al futuro”, consci del passato nel mentre si procede nel buio del presente.
Abbandonare i metaracconti in virtù di una svolta epocale (la fine della storia) per abbracciarne inconsapevolmente un altro che non ha antagonisti ma indossa I panni dell’ineluttabilità. Da questo avanzare a tentoni nella “libertà dello spirito” scaturisce quella linea di pensiero “eretica” di cui Tronti faceva parte e che ha continuato fino alla fine. Mai simile a se stesso, capace di valicare più volte la palizzata ideologica, recuperando in varie fasi ciò che c’era di interessante per la causa degli oppressi nel pensiero conservatore, anche di quello troppo frettolosamente etichettato come nazista di Carl Scmitth, fino ad arrivare a fare irruzione nel pensiero teologico-politico dell’ultima fase. Troppo semplice rompere il suo pensiero in un prima ed in un dopo. Più difficile cogliere il fatto che mentre lui apriva nuovi scenari, il resto del mondo a sinistra rimaneva incatenato a forme politiche oramai sorpassate dalla realtà. Dalla sua postazione, stabilmente in prima linea, fatta della sostanza di un pensiero adulto e irriducibile a facili schematismi, ci aveva messo in guardia già molto tempo prima che la crisi fosse irreversibile. In molti libri si chiedeva sconfortato: “ci saranno nuove generazioni ad interessarsi del politico?” – aggiungiamo noi – senza facili sistematizzazioni e paludi ideologiche?
Il lascito critico e metodologico del pensiero trontiano, certamente non solo quello, merita una attenta rilettura e una sistematica messa in atto.
Avrei voluto che fosse questo il titolo del libro. […] «Senza titolo», perché non è tempo di grandi affermazioni, di parole che si caricano di senso futuro. Siamo stretti nel presente, non solo incapaci di uscirne, ma in difficoltà a muoverci in esso, con la grinta delle idee, cioè con le armi della critica. E tuttavia: c’è necessità e urgenza non soltanto di ripensare, come tutti sono disposti ad ammettere, ma di pensare e basta, di «pensare contro», contro il mondo e contro l’uomo di oggi. […] Da tenere ben fermo il punto: che non si tratta di un approdo, bensì di un attraversamento. Su una terra, per questo tipo di cultura, quasi di nessuno. All’interno di un percorso e di un viaggio intellettuali, che si complicano, arretrano, deviano, cercano di spezzare l’accerchiamento, badano a non perdere la direzione: che è quella sempre del capire per cambiare, del comprendere per trasformare. […] Essenziale è tenere saldo in pugno il filo della ricerca, superando e superandosi, pur non sapendo dove il tutto andrà a parare. Libertas philosophandi è rivendicazione che va avanzata da noi a noi stessi, rispetto a una tradizione, ai suoi fondamenti, con i suoi caratteri e con le sue componenti, fondamentalmente marxismo più movimento operaio. Stare su questo solco, ma sciolti da vincoli di fedeltà anche solo al metodo dell’analisi. Va ribadita un’eredità di storia, va liberata un’appartenenza di cultura (M. Tronti, Con le spalle al futuro, p. IX, 1992).
note
[1] Alcuni aspetti dei processi di sussunzione al capitale di ampie fette di movimento, sono stati affrontati recentemente dalla redazione di Malanova all’interno del saggio Sussunzione e Movimento pubblicato in tre separati interventi. Per chi volesse approfondire, questi sono i link: