Da alcuni mesi tiene banco una sorta di bollettino di guerra che riporta a ritmo serrato le aggressioni ai danni del personale sanitario, soprattutto per quanto concerne le astanterie dei pronto soccorso.
Sembra che la pandemia abbia reso assai più violente le persone, o se non proprio più aggressive assai meno inclini alla pazienza. Non tardano le risposte: dal Governo agli apparati ministeriali, fino ai sindacati di polizia, la ricetta appare sovrapponibile, ossia più sicurezza negli ospedali e riaprire i posti di polizia nei pronto soccorso. Negli articoli e nei vari dibattiti radiotelevisivi, solo raramente si accenna a quelle che possono essere le cause scatenanti tale aggressività. Premesso che le teste calde esistono e appartengono tanto agli operatori quanto agli astanti, non crediamo sia solo un questione di animosità di spirito o temperamente iracondo a provocare le aggressioni. Riteniamo assai più probabile che l’innesco vada ricercato nelle carenze, ormai endemiche, del sistema sanitario. Solo sporadicamente si fa accenno alle ore di attesa nelle astanterie e al superlavoro del personale che perennemente sotto organico deve comunque visitare e verbalizzare ogni singolo individuo che si presenti al PS, sia per motivi seri che estremamente futili. Il problema quindi appare avere il solo connotato della sicurezza e dell’incolumità per come riportato dai giornali e comunicati ufficiali. A tal proposito riportiamo il comunicato integrale, pubblicato sul sito del Ministero della Salute il 32 Gennaio scorso:
Violenze contro gli operatori sanitari: riunito l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza.
Si è riunito questa mattina l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie alla presenza del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, del Direttore della Direzione generale professioni sanitarie del Ministero della Salute, Rossana Ugenti, con la partecipazione di rappresentanti dell’Osservatorio. Il Ministro ha sottolineato “l’importanza dell’Osservatorio per la piena applicazione della legge 113 del 2020 sulla sicurezza degli operatori. A fronte del numero crescente di episodi di violenza segnalati a danno di operatori sanitari, 60 nel 2021 e 85 nel 2022, è indispensabile – ha detto – mappare le strutture più a rischio anche alla luce della collaborazione avviata con il Ministero degli Interni per garantire maggiore sicurezza negli ospedali”. Inoltre il Ministro ha ricordato che a breve partirà anche il tavolo dedicato ai pronto soccorso, dove si verificano con più frequenza i casi di aggressione, per dare risposte concrete in termini di riorganizzazione con particolare attenzione al problema del sovraffollamento. L’Osservatorio sta concludendo i lavori di redazione della Relazione annuale che sarà inviata al Parlamento entro il 31 marzo e ha sottoposto all’attenzione del Ministro le principali problematiche su cui sono impegnati i gruppi di lavoro: raccolta dei dati per un monitoraggio puntuale del fenomeno delle aggressioni, anche attraverso una più stretta collaborazione con le regioni; campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini per una maggiore consapevolezza del rapporto di fiducia con i medici e gli operatori sanitari; formazione per il personale sanitario[1].
Ora a noi non sembra che si faccia il minimo accenno alle varie cause che possono scatenare la furia di pazienti o parenti degli stessi. Eppure chi meglio degli apparati ministeriali ha contezza della situazione reale delle strutture sanitarie, eppure da quanto si apprende si cerca di individuare quota parte delle responsabilità nella mancanza di sensibilità da parte del cittadino. Crediamo che questa emergenza sia in effetti l’epifenomeno di un problema assai più complesso e profondo, che non può risolversi, e non si risolverà mettendo più agenti di polizia negli ospedali.
Proviamo ad andare a ritroso nelle possibili motivazioni di tali comportamenti, la principale causa sembra imputabile alle lunghe ore di attesa, quindi sarebbe utile parlare di sovraffollamento. Il sovraffolamento dei pronto soccorso è questione che viene dibattuta anche all’interno delle analisi ministeriali, non solo da organizzazioni sindacali e associazioni di categoria, tipo ordine dei medici, associazioni degli operatori infermieristici, ecc.
È interessante notare come il problema vada di pari passo con la progressiva aziendalizzazione del sistema sanitario, e come in nome dell’efficienza e della razionalizzazione dei costi, si finisce per ridurre, posti letto, personale e depotenziare le strutture. Su questa linea si trovano le deduzioni di alcune riviste di riferimento per la popolazione infermieristica, e nello specifico si ritiene che il sovraffollamento dei pronto soccorso derivi da:
- la progressiva riduzione della dotazione di posti letto in corsia, che ha drasticamente ridotto la possibilità di assorbire i ricoveri d’emergenza non programmati come sono quelli provenienti dai Pronto Soccorso;
- il blocco del turn over per il personale. I carichi di lavoro sempre più pesanti si ripercuotono ovviamente di più nell’attività dei Pronto Soccorso, per definizione più stressante e comunque attiva 24 ore su 24;
- l’ancora incompiuta riforma dell’assistenza territoriale, dalla quale ci si aspetta un filtro dell’emergenza con la possibilità di gestire a domicilio o in strutture ambulatoriali le piccole emergenze, riducendo così gli accessi ai Pronto Soccorso ospedalieri, soprattutto quelli non appropriati che sono ancora il 30% del totale[2].
Questi aspetti sono parte attiva del problema e riguardano in un certo modo il “back office” rispetto al Pronto Soccorso, ossia la capacità di assorbimento immediato nei reparti dei vari problemi che si presentano, più o meno gravi che siano. La vera inappropriatezza per il Pronto Soccorso, da quanto è dato vedere, non è tanto il paziente con un codice bianco o verde, ma il paziente in barella in attesa di essere ricoverato in un altro reparto dell’ospedale. Ciò è suffragato da alcuni dati interessanti sull’incidenza dei codici a basso rischio vitale e il numero totale di pazienti che si presentano per ricevere delle cure. Definendo “accessi inappropriati” quelli riferiti a persone che si rivolgono all’ospedale per varie ragioni, comprese l’irreperibilità del medico di base o l’assenza della guardia medica (perchè magari è stato eliminato il presidio), persone quindi che potrebbero trovare risposta in sedi diverse dal pronto soccorso, sono circa il 30% del totale. Di questi la maggior parte sono codici bianchi e circa un 20% codici verdi. In ogni caso questi accessi inappropriati, pur costituendo il 30% del totale, sono gestiti solitamente in tempi ragionevolmente brevi e impegnano limitatamente il personale dell’emergenza, circa il 15% delle ore totali[3].
Si potrebbe ipotizzare, dal momento che questi rilevamenti li fa un sito dedicato al personale infermieristico, possa essere un po’ di parte. Vediamo quindi un attento studio scientifico del Ministero condotto nel 2019 cosa imputa il sovraffollamento. Facendo riferimento ad uno dei più noti modelli di flusso del sistema di emergenza basato su 3 macro fasi, nei quali vengono individuati (i) fattori in ingresso, (ii) fattori interni e (iii) fattori in uscita, è stato dimostrato che il maggior contributo al sovraccarico del sistema è determinato non solo dai fattori di ingresso, quanto dai fattori di processo e di uscita, quindi quel dato del 30% di pazienti inappropriati ha si un peso nella generale gestione dei flussi ma limitato rispetto ai fattori interni e d’uscita. Tra i fattori in entrata, si devono enumerare l’insorgenza di nuovi bisogni assistenziali o non soddisfatti in ambiti appropriati di presa in carico del territorio, dal progressivo invecchiamento della popolazione, dall’aumento del numero di pazienti complessi, dall’avvento di nuove tecnologie di diagnosi e cura. Tra i fattori interni quello che incide maggiormente sul progressivo aumento dei tempi di permanenza in PS è la necessità di attivare consulenze specialistiche ed accertamenti diagnostici strumentali, in particolare quelli di livello più avanzato (es. TAC). Tali elementi intervengono sempre con maggiore frequenza, sia per l’aumento dell’età media dei pazienti e delle comorbilità, sia per le evidenti necessità del sistema di dover garantire ricoveri appropriati e dimissioni sicure.
Tra i fattori in uscita pesa maggiormente la difficoltà a ricoverare tempestivamente, per carenza di posti letto disponibili a favore dei ricoveri urgenti da PS per inefficiente gestione degli stessi. L’effetto, come già definito, è noto con il termine di “boarding” ossia la “cattiva pratica” di tenere pazienti da ricoverare sulle barelle nei corridoi del Pronto Soccorso per ore o giorni per la mancanza di posti letto; rappresenta la causa primaria del sovraffollamento del PS[4].
Seppur espresso in maniera più rigorosa, il succo del discorso è sempre lo stesso, ossia la carenza strutturale del sistema ospedaliero passato sotto la falce dei tagli indiscriminati. Questo è uno degli esiti infausti dell’austerity. Qualcuno aveva sperato che la Pandemia avesse mostrato la corda e che ci fosse in atto un ripensamento sui tagli alla sanità. Vane speranze, solo iniezioni momentanee per passare la fase acuta, poi si chiudono i rubinetti per aprirne di altri, come la difesa e la canea di cantieri e cantierini, sovente inutili e vetusti, del PNRR.
Note
[1] Ministero della Salute, Comunicato n. 5, 23 gennaio 2023. Il comunicato è consultabile al seguente url: https://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_4_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=salastampa&p=comunicatistampa&id=5925
[2] Infermiere online, 10 marzo 2020. L’articolo è consultabile al seguente url: https://infermiereonline.it/pronto-soccorso-sovraffollamento-e-accessi-impropri/
[3] ibid.
[4] Ministero della Salute “LINEE DI INDIRIZZO NAZIONALI PER LO SVILUPPO DEL PIANO DI GESTIONE DEL SOVRAFFOLLAMENTO IN PRONTO SOCCORSO”. Il documento è consultabile al seguente url: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3143_allegato.pdf