QUANDO SI PERDE DI VISTA IL PROBLEMA
Premesso che non si intende qui minimizzare nessun fatto e neanche fare della polemica d’accatto su un fatto come quello di Casamicciola. Proprio per dare dignità ad un accadimento non episodico e non sporadico che ci accingiamo a proporre queste considerazioni.
Dicevamo fatto non sporadico e non episodico, in quanto più o meno gli ultimi 5-6 lustri, sono avvenuti delle innegabili modifiche climatiche che hanno influenzato il carattere stesso delle precipitazioni. Non che acquazzoni e piovaschi improvvisi e di una certa violenza non ce ne fossero nel passato, ma la loro frequenza e la loro distribuzione era sicuramente differente. Si alternavano con una certa costanza periodi sereni e periodi piovosi, negli ultimi anni la distribuzione delle precipitazioni ha subito una tangibile variazione. Lunghi periodi di precipitazioni scarse o addirittura assenti alternate a brevi periodi di piogge intense e torrenziali[1][2].
Questa premessa è d’obbligo per inquadrare quella parte di “dinamica” difficilmente controllabile da chiunque. Ma la questione non può concludersi solo con la presa d’atto dei cambiamenti climatici e dell’inevitabile ironia del fato. Ci sono fattori che sono assolutamente sotto il controllo dell’operato umano ed è su quelli che in questo momento vorremmo concentrare l’analisi che segue. Un dato che ci sembra immediatamente correlato alle alluvioni disastrose che sconvolgono i centri abitati è quella della mappatura del dissesto idrogeologico; esistono e sono di libera consultazione le mappe di rischio, sia dal punto di vista sismico che idrogeologico e sono efficientemente aggiornate.
Il problema è che queste mappe dovrebbero essere tenute in debita considerazione quando si redigono i piani urbanistici, ma una volta redatti e approvati questi strumenti necessitano degli opportuni aggiornamenti e dovute correzioni. Tutte procedure a carico della Pubblica Amministrazione, che notoriamente anche quando (raramente) eccelle per solerzia è sempre a corto di quattrini. Ma spesso ci si cura assai poco anche di quello già stabilito da tempo, abbandonando il territorio a quella che qualche urbanista particolarmente ironico definì “edilizia spontanea”.
Ora appare abbastanza chiaro che se per un qualsivoglia motivo si costruisce in barba ad ogni principio di buon senso, dove e come si vuole, un sisma o una pioggia particolarmente intensa possono creare danni. Ma se si può anche capire chi in tempi abbastanza lontani ha messo su casa ignorando ordinamenti, rischi ecc. è assai meno comprensibile quando gli abusi avvengono per la seconda terza o quarta casa, e ancor peggio se l’immobile in questione è un B&B o una casa vacanze affittata a settimane a prezzi ben lontani da quelli di una comune residenza. Peggio ancora quando la struttura è un pubblico esercizio come un albergo o un centro benessere. Qui entriamo in un altro discorso, che è decisamente interessante e che interseca l’evoluzione economica del Bel Paese con l’uso del territorio. Se da secoli l’Italia è stata meta di studio e apprezzamento per paesaggi, antichità e buona cucina, da quando il comparto industriale si è ritratto, la produzione di reddito si è spostata sui servizi. All’interno dell’enorme massa dei servizi possiamo estrapolare il cluster del turismo con il suo indotto complessivo che pesa all’incirca il 13% del PIL [3]. Detto ciò si può comprendere come ci sia stato un certo stimolo alla costruzione di nuove abitazioni soprattutto in posti appetibili dal punto di vista ricettivo, specialmente quelli balneari o sciistici.
A fronte di un fenomeno tangibile e statisticamente comprovato, le scelte dei governi degli ultimi vent’anni circa sono andate nella direzione di un sostanziale sostegno a questo trend. Dal piano casa, ai bonus ed ecobonus per ristrutturazioni, adeguamenti e risanamenti, fino agli incentivi e ai programmi complessi per la realizzazione di nuovi insediamenti ricettivi. Questo processo ha sicuramente pesato non solo sul consumo di suolo ma in certa misura anche sulla situazione idrogeologica di alcuni territori particolari ad alta densità urbana. Negli anni un’altro aggravio alla situazione – forse il peggiore – è stato il periodo dei condoni degli anni 2000: un po’ per accattivarsi l’elettorato, un po’ per fare cassa in tempi di austerity il risultato è che un ingente patrimonio immobiliare assolutamente inadeguato strutturalmente o localizzato in siti ad alto rischio, si trova ancora lì, magari anche sottoposto ad adeguamenti energetici in barba alla sua sicurezza. Un insieme di fattori che concorrono a rendere sempre più complesse le condizioni dei suoli in un contesto già di per sé critico.
Servirebbe uno sforzo politico non da poco per cercare di mettere ordine in questo ginepraio, ma da quell’orecchio i vari governi sembrano non voler sentire. Eppure il PNRR avrebbe potuto essere un ottimo strumento per iniziare un processo di bonifica del rischio sismico e idrogeologico. Invece si è preferito rispolverare tutta la pletora di progetti faraonici della Legge Obiettivo e aprire i rubinetti alle consorterie locali di cementisti e affini invece che strutturare una strategia di reale salvaguardia del patrimonio territoriale italiano. Un peccato che in pochissimi abbiano sollevato obiezioni su dove stavano andando a finire i soldi prestati dall’UE per la ripresa economica. Qualche addetto ai lavori, un pigno di docenti universitari e qualche ambientalista un po’ più assennato. Da attivisti ed ecologisti un sostanziale silenzio, silenziosi anche gli infatuati del biologico, i neocontadinisti ecc. ecc. forse troppo concentrati su Green Pass e vaccini per capire con quali strumenti ci saremo indebitati collettivamente per i prossimi 20-30 anni senza ricevere in cambio nulla, dando anzi agio alle solite cordate finanziarie per aumentare i dividendi o salvarsi da speculazioni andate male.
Ci si chiede quindi cosa riesce a smuovere, oggi, le coscienze del variegato corpo sociale? Quali le tensioni avvertite dalle persone? Appare assai complessa la risposta, ma è utile abbozzarne una, senza ovviamente la pretesa di aver ragione su tutta la linea.
Preliminarmente vale la pena di comprendere cosa sia la società oggi, ossia un insieme non organico di individui; le comunità sono sempre più rarefatte, sostituite dalle organizzazioni di scopo, associazioni, gruppi culturali, gruppi sportivi, comitati di vario tipo. In questa disgregazione ciò che sembra veramente contare sono le libertà individuali, dire e fare ciò che si ritiene giusto. Fin qui in generale non c’è nulla da eccepire, se non fosse che se si va un passo oltre la sfera dell’individuo resta assai poco. Da questa considerazione di base si può forse dedurre l’abbozzo di risposta al quesito che ci siamo posti. Ossia ciò che apparentemente ha smosso migliaia di persone in maniera più o meno spontanea in tutta Italia, più che la situazione mal gestita della pandemia, è stata la limitazione di libertà individuali conseguente all’introduzione del Green Pass. Quello che è interessante far notare è che il Green Pass, per quanto limitante era comunque un provvedimento temporaneo, i debiti contratti per il PNRR sono qualcosa di assai più subdolo e duraturo. A conti fatti se proprio ci si deve indebitare, che quei balzelli servano almeno a qualcosa e non ad arricchire i soliti granai. Questo è assai difficile da comprendere rispetto alle reazioni delle persone. Come sia possibile che non si riesca a percepire l’intero PNRR come qualcosa che non solo limiterà qualcosa nella nostra esistenza futura, ma che sarà il grimaldello col quale si propinano nuove purghe di stampo ultra-liberista. Forse c’è da riflettere maggiormente sulla piega che la società ha preso, cercando di comprendere cosa le persone, più o meno comuni, vogliono realmente. Questa scollatura è lo scotto da pagare per aver abbandonato l’agire politico di strada, nei quartieri e nei territori. Quegli stessi territori che franano letteralmente sotto i nostri piedi, sia in senso fisico che politico.
NOTE:
[1]. cfr. https://www.isac.cnr.it/climstor/climate/mean_yr_ita_PCP_met.html
[2]. cfr. http://www.idrologia.polito.it/web2/2019/06/nubifragi-italia-2019/
[3]. cfr. https://www.giovannicarlini.com/piu-industria-rispetto-al-turismo-prof-carlini/