“Teppisti”, “provocatori”, “assoldati”, “fascisti”, “pregiudicati” e poi ancora “giovinastri”, “meridionali”, “disoccupati”: queste sono le categorie più usate dalla stampa e dalle organizzazioni del movimento operaio per descrivere i rivoltosi di piazza Statuto.
In questo terzo appuntamento con il testo di Dario Lanzardo, La rivolta di piazza Statuto (Feltrinelli, 1979), in occasione dei 60 anni della rivolta, proponiamo un primo estratto del capitolo Le interpretazione (pp. 36-71) dove si evince chiaramente come nelle realtà politiche e sindacali del tempo, a destra come a sinistra, inizia a farsi strada la tesi secondo la quale la manifestazione si è sviluppato in “tre tempi”, nell’ultimo dei quali – il terzo tempo appunto – agli scioperanti operai (quelli “ordinati” e “rispettosi” delle istituzioni democratiche) si sono sostituiti i “teppisti”. Il principale obiettivo della tesi: “quelli di piazza Statuto sono gente manovrata”, perché “essi non se la prendono con i fanali, con le aiuole, con le paline segnaletiche, con le pensiline tranviarie o con altro bene pubblico, giacché essi sono gelosi della proprietà collettiva, cioè di quello che pagano con il loro lavoro”.
Ancora una volta non viene neanche lontanamente considerata l’ipotesi che il soggetto protagonista della rivolta torinese possa essere qualcosa di profondamente diverso dai partiti e che fra questi e le classi che dicono di rappresentare possa esserci un rapporto diverso da quello di semplice identità.
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La posizione della destra
È apertamente anticomunista. Mira però a colpire il centro-sinistra e il generale spostamento a sinistra, considerato responsabile, per la sua permissività, del recupero di spazio politico da parte del Pci con il conseguente scatenamento di scioperi, manifestazioni di piazza, sovversione. A Torino il Msi, proprio nella giornata di sabato 7 luglio, affigge un manifesto dominato da uno slogan: ”centrosinistra=caos”. Ci sono interpellanze in Parlamento al ministro degli interni per sapere cosa abbia fatto per garantire nelle fabbriche la libertà di lavoro. Scrive l’agenzia di destra Ari:
Il fatto che gli agenti e i carabinieri non siano intervenuti o siano intervenuti solo sporadicamente per tutelare la libertà di lavoro, ha probabilmente convinto gli agitatori che l’attacco alla Uil poteva svolgersi senza troppo disturbo da parte della polizia[1].
All’interno della Dc, la destra, soprattutto il gruppo che fa capo a Scelba, critica duramente il governo nelle riunioni del gruppo parlamentare che si susseguono per tre giorni. Stessa linea, mirante a far cadere il governo Fanfani, quella liberale che, forte dell’appoggio di alti e potenti dirigenti della Edison, come De Biasi, mira a rimettere in discussione, partendo da Piazza Statuto, la nazionalizzazione dell’energia elettrica e le idee governative sulla industrializzazione del mezzogiorno. Emblematica di questa posizione da “maggioranza silenziosa”, la prima pagina del settimanale liberale Il Genovese[2] che scrive:
Dai “fatti di Genova” (giugno-luglio 1960) ai “fatti di Torino” dei giorni scorsi, sembra esserci un preciso e preordinato filo conduttore: la volontà determinata di ribellione contro lo Stato e i suoi rappresentanti. Da che la Dc è uscita dallo schieramento di centro… la sua originaria missione interclassista si è bruscamente trasformata in una intensiva e sistematica iniezione di odio di classe nelle masse operaie. Si sta così verificando un fenomeno il cui aspetto più evidente e grave si è manifestato nei giorni scorsi, dando il via nella civilissima città di Torino ad episodi di violenza e di insurrezione, che dovrebbero destare serie preoccupazioni in coloro cui spetta di far rispettare l’autorità dello Stato e la sua legge. Vediamo un’organizzazione sindacale, la Cisl… farsi succube delta socialcomunista Cgil e battersi, per tema di concorrenza sullo stesso terreno del disordine sociale, non solo eccitando gli operai contro la cosiddetta classe padronale… ma anche (inaudito!) contro un sindacato indubbiamente democratico come la Uil… questo governo di centro-sinistra spinge il paese a marce forzate verso il caos. Non si è mai dato nella storia della violenza di piazza che essa durasse ben dodici ore consecutive…
La destra, comunque, si limita ad analisi generali e non scende sul terreno dei fatti specifici per dimostrare la propria tesi sull’esistenza di una sorta di “strategia della sovversione”.
La Fiat
La posizione della Fiat è espressa dal giornale La Stampa di Torino che la “costruisce” con l’esposizione dettagliata e l’interpretazione articolata dei fatti, secondo le possibilità del grande quotidiano di informazione.
È una interpretazione “primaria” poiché accettandone tutti o parte degli elementi, su di essa si fondano quasi tutte quelle elaborate nell’ambito del centro-sinistra. Anche questa posizione vuole fare pressione sulla nuova formula governativa, ma non per ritornare al centrismo[3], ma per qualificarlo in senso anticomunista e funzionale ai bisogni di pace sociale della grande industria.
La “base” dell’interpretazione è quella della destra: la violenza di Piazza Statuto non è che il prolungamento della violenza dei picchetti durante lo sciopero del 7, resa possibile dal lassismo della polizia, ma dietro tale violenza c’è il Pci che in questo modo scredita il centro-sinistra con l’obiettivo di farlo cadere a favore di un governo centrista che rinsalderebbe l’unità delle opposizioni (con il Psi) in vista di una svolta a sinistra, con un governo cioè comprendente il Pci[4].
È necessario precisare, però, che questa linea non sostiene che in Piazza Statuto c’erano gli operai della Fiat, ma solo “popolino” manovrato dal Pci, cosi come erano attivisti del Pci quelli che avevano impedito con la forza ai lavoratori, di entrare in fabbrica il giorno dello sciopero.
Scrive stampa sera:
Lo sciopero senza libertà dei metalmeccanici […] è degenerato in piazza Statuto in un triste epilogo […] Chi sono, da dove vengono, quale colore politico hanno i fermati o gli arrestati? […] Accanto a qualche operaio figurano decoratori, falegnami, muratori, tessili. Che cosa c’entrassero con i metalmeccanici in sciopero, francamente non lo sappiamo. Vi sono anche dei disoccupati…[5].
Infatti,
un particolare avvalora l’ipotesi che la dimostrazione non fosse spontanea ma organizzata e preordinata: buona parte erano privi di qualsiasi documento. Forse gli ingaggiatori li avevano invitati a lasciare a casa i documenti d’identità per ostacolare le indagini in caso di cattura.
Questo a livello di cronaca, per il pubblico locale, soprattutto per i ceti borghesi impauriti e bisognosi d’ordine. Negli editoriali di prima pagina, Vittorio Gorresio sostiene questa posizione con argomenti più politici[6]. Facendo propria la tesi del ministro degli interni Taviani elaborata sul rapporto del vicecapo della polizia che aveva seguito direttamente gli avvenimenti, e con riferimento al telegramma di Togliatti alla federazione torinese del Pci, in cui non si fa il minimo accenno alle provocazioni padronali e della destra, egli scrive non solo che l’unico responsabile effettivo è il Pci, ma che questi avrebbe deciso di assumersi tutta la responsabilità dei fatti (a scapito dell’altra posizione esistente nel partito che faceva risalire le responsabilità alla destra) perché “dichiarare che le masse possono sfuggire al controllo del partito avrebbe significato sminuire l’efficacia rivoluzionaria del partito”. Questa interpretazione, però era tendenziosa perché il Pci quella paternità non se l’era assunta anche se effettivamente la posizione di Togliatti era assai lontana da quella ufficiale diffusa dai mass media del partito.
Uil e Psdi
Anche la posizione del sindacato socialdemocratico torinese è simile a quella della Fiat. La Uil in un lungo comunicato emesso subito dopo la prima giornata di scontri, tenta di giustificare la propria condotta sindacale affermando che l’accordo con la Fiat avrebbe rotto il fronte padronale; critica l’intransigenza della Confindustria e sostiene che
gli atti di violenza compiuti davanti agli stabilimenti, le manifestazioni di vero teppismo e caccia all’uomo davanti alla sede della Uil, capeggiati dal Pci, trovano logica spiegazione nell’intendimento di voler minare alla base l’orientamento politico in atto nel Paese[7].
Scendendo più nei dettagli, un dirigente della Uil[8], contestando la tesi di sinistra del “ricambio” che ci sarebbe stato in piazza Statuto – dopo una prima fase di semplice protesta da parte di lavoratori sindacalizzati, una seconda fase, quella degli scontri, con teppisti e provocatori – dichiara:
… le squadre che hanno dato il cambio alle prime ci sono state: le prime erano venute ad urlare e a minacciare. Le altre dovevano fare il pestaggio. Ma sempre squadre comuniste erano. Perché è stato preso a sassate Pajetta, perché è stato in pericolo Garavini? È semplice: le squadre di ricambio erano di Mantova, che so, di Carmagnola e non conoscevano i loro superiori di Torino.
È evidente che la frustrazione per lo smacco subito è tanto forte, come il livore anticomunista, che il sindacalista non può nemmeno prendere in considerazione altre ipotesi su quegli episodi di aggressioni a dirigenti del Movimento operaio: militanti di base in disaccordo con i propri dirigenti; operai non militanti con una propria posizione autonoma, ecc. Così, comunque ci si può difendere e passare anche all’attacco. La Stampa[9] riporla che
negli ambienti socialdemocratici ci si lamenta che siano stati riferiti episodi non rispondenti al vero: tessere stracciate, dimissioni di aderenti, rifiuto da parte di dirigenti sindacali a ricevere i loro attivisti: tutto ciò è falso, come pure le descrizioni delle fughe dalla sede della Uil di dirigenti camuffati da agenti “Ce ne siamo andati dall’Ufficio come facciamo di solito e non come gente braccata”… mentre è vero che le manifestazioni hanno avuto inizio ad opera di quegli attivisti i quali rimproverano ora ai loro dirigenti di averli classificati “teppaglia”.
Lo stesso giornale[10] infine, riporta la notizia che la Uil avrebbe chiesto agli organismi dirigenti nazionali, di rompere con Cisl e Cgil se queste due organizzazioni non si impegnano a mantenere la lotta sindacale nell’ambito della legalità democratica.
Al “centro”, il tono è meno volgare, ma non per questo meno esplicito nell’accusare il Pci. Secondo il sottosegretario agli interni Ariosto[11] “chiaro è apparso il proposito sovvertitore di chi inseritosi o messosi a capo dell’azione violenta, ha tentato di ripristinare sistemi che sembravano ormai definitivamente abbandonati, dando un evidente colore politico alla agitazione dei metalmeccanici torinesi”. Poi la tesi della perdita di controllo della situazione da parte del Pci che è sostenuta anche da altri: “In quale momento preciso i dirigenti comunisti, cui spetta la responsabilità di aver ispirato e dato il via ai tumulti, si sono resi conto dì essersi spinti troppo oltre e che l’azione poteva sfuggire al loro controllo, è ancora difficile stabilire…”; e infine l’avvertimento a non nutrire alcuna illusione “(se per caso qualcuno, sindacalista o no ne coltivasse) sulla possibilità di esautorare il governo attraverso movimenti di massa”. Più abile la posizione di Saragat. In un editoriale della Giustizia[12] difende l’accordo separato della Uil perché avrebbe rotto il fronte padronale, ma ne critica l’indicazione ai lavoratori di non aderire ad uno sciopero proclamato nazionalmente. Ma su questo “errore di prospettiva si sono inseriti con violenza i comunisti e (con riferimento alle correnti Dc che si esprimono attraverso la Gazzetta del Popolo di Torino) gli integralisti clericali” la cui spregiudicatezza, nel difendere le loro posizioni di potere, soprattutto quando sono minacciate dai socialdemocratici, “non conosce limiti e va dall’alleanza coi fascisti come è avvenuto recentemente in Parlamento, a quella coi comunisti, come è avvenuto ieri a Torino”. Polemizzando poi con il segretario della Cisl Storti, che aveva definito le sue dichiarazioni “infondate e superficiali” e lo aveva accusato di ignorare i “principi che regolano rigidamente la logica sindacale” e che avrebbero giustificato le posizioni assunte dalla Cisl nella vertenza Fiat, gli chiede: “Che direbbe l’on. Storti se i dirigenti di altre organizzazioni facessero altrettanto, per creare un’atmosfera propizia ad un assalto alla Cisl a seguito dell’accordo, da molti giudicato disastroso, per i braccianti?”[13].
È interessante notare la considerazione de La Gazzetta del Popolo nel riportare l’intervento del leader socialdemocratico: “Siccome l’on. Saragat nel suo articolo ha indicato il nostro giornale come portavoce degli integralisti clericali, possiamo comunque riferire che questa sera stessa la sede della GdP è stata oggetto di un violento attacco da parte dei teppisti.” Che vuol dire – coerentemente alla tesi del giornale, della Cisl e del gruppo Dc che faceva capo a Donat Cattin -: essendo i teppisti di destra noi non siamo integralisti clericali; ma anche (in un altro contesto, si veda il paragrafo sulla interpretazione della Cisl): non essendo noi integralisti clericali, i teppisti, gli assalitori, sono di destra (cioè non di sinistra, oppure operai, ecc.).
Meno dura nei confronti della Cgil, anzi abbastanza vicina alle sue tesi e a quelle della Cisl, la posizione che fa capo all’onorevole Orlandi che interpretando in chiave moderata l’intervento di Taviani in Parlamento afferma che “ai tumulti di Torino non hanno partecipato i lavoratori, ma forze estranee al movimento sindacale ed elementi di estrema destra”.
La polizia, il governo, la Dc
La polizia fornisce il materiale di informazione diretta per la tesi governativa. In una prima fase tenta di coinvolgere anche nominalmente i dirigenti torinesi del Pci ma poi ritratta o smentisce di averlo fatto mantenendo però accuse e “prove” più generali. Secondo la polizia[14] – come risulta anche da deposizioni testimoniali di suoi funzionari nel corso del processi – gli scontri di piazza Statuto sono stati preventivamente organizzati; infatti “i dimostranti obbedivano ad uno ‘schema tattico’”:
Il piano dei dimostranti era di sfibrare, sabato pomeriggio, i reparti schierati a difesa della sede della Uil con continue rinnovate provocazioni. Per oltre sette ore gruppi di giovinastri opportunamente dislocati nei vari punti della piazza hanno cercato di mettere a dura prova la resistenza degli agenti. Appena un reparto concludeva una carica, da altre zone si scatenava un altro attacco. I manifestanti speravano di stancare a poco a poco gli avversari, per lanciare più tardi un assalto massiccio agli uffici della Uil[15].
Il ministro degli Interni Taviani, dal canto suo, nella risposta alle interpellanze parlamentari sugli avvenimenti torinesi, pur non stabilendo un diretto legame di responsabilità fra la durezza dello sciopero e gli scontri di piazza, riassume gli avvenimenti dei tre giorni, sottolineando la violenza dei picchetti davanti alle fabbriche e il fatto che tanto sabato, quanto lunedì, i manifestanti avevano l’intenzione di invadere i locali della Uil. Respinge le accuse delle destre per il presunto comportamento blando della polizia che con il suo “intervento responsabile ma fermo, ha impedito il verificarsi di incidenti più grossi” e rivolgendosi poi alla sinistra ed evitando di chiamare in causa i socialisti e la Cgil dichiara:
Da ogni parte si cerca adesso di respingere le responsabilità dei gravi incidenti occorsi durante le ripetute azioni sediziose dinnanzi alla sede della Uil in Piazza Statuto… viene ripetutamente affermato che, ad un certo momento della sera o della notte elementi più accesi abbiano preso la mano e siano sfuggiti al controllo dei dirigenti. Peraltro molte circostanze nel corso della giornata di lunedì, stanno a dimostrare una continuità organizzativa alla base delle ripetute aggressioni di Piazza Statuto. Dalle risultanze sin’ora acquisite dal Ministero degli Interni, circa i gravi fatti di Piazza Statuto, emerge chiara la responsabilità di elementi comunisti, non risulta una partecipazione di altre organizzazioni[16].
Nell’ambito della Dc le sfumature sono molte in base alla “corrente” di appartenenza, al ruolo nelle istituzioni, alla collocazione geografica (centro o periferia). L’on. Rapelli, ad esempio, sindacalista, interessato in quanto fondatore e massimo responsabile del sindacato aziendale Lld (oggi Sida), chiede un’inchiesta da parte dell’Internazionale dei Sindacati Cristiani, tramite il Bit, per denunciare la “sopraffazione posta in atto a Torino dalle due grandi centrali sindacali italiane, tese a perseguire il loro programma di monopolio delle forze del lavoro”[17]; denuncia la mancata applicazione dell’art. 39 della Costituzione e la “conseguente legittimazione di situazioni inammissibili”. “Sarebbe interessante sapere… in base a quale norma di legge il ministro degli Interni potrebbe considerare legittima la pratica di picchettaggio specie quando diventa ‘picchiettaggio’ “.
Un po’ più impegnativa un’analisi dell’on. Sullo (ministro dei Lavori pubblici) al Consiglio nazionale della Dc riunito in quei giorni, sulla situazione sindacale complessiva ritenuta pesante a causa di fattori come il calo della disoccupazione, la scarsa disponibilità della Confindustria ad accettare il “sindacato in fabbrica” e, dulcis in fundo, “una certa euforia equivoca che può essersi determinata nelle masse per la speranza di ottenere dal centro-sinistra più di quanto questo può dare”[18].
Presa di posizione secca ma precisa, nel collegare lo sciopero a Piazza Statuto e ai comunisti, da parte della corrente maggioritaria della Dc locale riassunta dal segretario provinciale a La Stampa che la pubblica con titolo su sei colonne: “È evidente che nella vertenza si è inserito il Pci provocando disordini intesi a indebolire il governo di centro-sinistra… manifestiamo la più dura condanna per gli episodi di violenza e di teppismo che hanno trovato il culmine nei fatti di Piazza Statuto”. Più paradossale l’intervento di un autorevole Dc di destra che rivolto ai comunisti del consiglio comunale sbatte loro in faccia un “abbiamo combattuto nella Resistenza perché non accadessero più episodi del genere”. Ma la “storia di Piazza Statuto” a Torino, non è gestita da queste forze Dc: la regia è delle correnti di sinistra e della Cisl che diffondono in città la “loro” verità attraverso il mass-media a loro disposizione, la Gazzetta del Popolo.
Cisl e “La Gazzetta del Popolo”
In questo caso è il centro che è “sintetico”. L’on. Storti segretario della Cisl si dichiara soddisfatto del discorso di Taviani in Parlamento “per quanto riguarda l’estraneità dì essa agli episodi di violenza i cui responsabili sono stati chiaramente individuati” e rivendica “alla sua organizzazione il merito di essersi battuta per la conservazione dell’ordine durante lo sciopero”[19].
In periferia, a Torino, l’interpretazione si articola diversamente anche perché i “colpevoli” non sono proprio gli stessi cui allude Storti, anzi; e qui la tesi è costruita sul campo dei fatti dove analisi dei comportamenti, sociologia dei tipi e deduzioni logiche possono intrecciarsi, completarsi a vicenda, garantirne la “scientificità”.
C’è subito, sabato 7, un autorevole testimone[20], il segretario della Fim-Cisl, le cui dichiarazioni “a caldo” verranno riprese in tutta la sinistra su giornali e riviste “impegnate” (dall’Espresso all’Europeo). Sulla prima fase (ore 15-17) nulla di nuovo rispetto alle descrizioni fatte dai quotidiani: manifestazione davanti alla Uil di suoi iscritti e di iscritti ad altri sindacati. Poi i caroselli, i tentativi dei sindacati Cisl e Cgil per portare via i manifestanti. Cosi
a poco a poco gli operai se ne andavano, ma arrivavano facce nuove che con le maestranze in sciopero o con la Fiat o con la Uil non avevano nulla a che fare. Ho assistito, nel giro di alcune ore, ad un ricambio preoccupante della qualità dei dimostranti in Piazza Statuto: agli operai Fiat, persone di una certa età, che deploravano il tradimento della Uil, ma che non avrebbero mai lanciato un sasso, sono succeduti dei giovinastri, che macchine di lusso scaricavano a getto continuo in Piazza Statuto, giovinastri che forse non sapevano nemmeno perché gli operai Fiat si erano ammassati in quel posto.
Fa eco il quotidiano: “infatti dalle 18 circa in poi, la sede Uil era dimenticata: ormai sulla piazza cominciava a prevalere la teppaglia…” Poi le lunghe ore di scontri e infine alle 4 di mattina del giorno dopo la retata finale ma solo dei “manovrati”, non dei veri provocatori, perché questi – come testimoniano altri due dirigenti Cisl[21] –
sono fuggiti in maggior parte, su giuliette sprint, spider e T.I. e molli li abbiamo riconosciuti: sono gli stessi gruppi di teppaglia che già avevano cercato di creare incidenti durante gli scioperi della Lancia e della Michelin. Un noto esponente della Cisnal circolava con un grosso anello recante la testa del duce, altri appartengono notoriamente a gruppi organizzati di estrema destra e dì estrema sinistra: Ordine Nuovo, Quaderni Rossi di Morandi, Pace e Libertà[22], gruppo Panzieri, ecc. Fra la teppaglia non mancavano i delinquenti comuni che erano lì soltanto per lanciare qualche sasso alla polizia. Ne abbiamo sentiti che dicevano: mi hanno messo dentro, ma ora gliela faccio pagare.
Domenica mattina, in una conferenza stampa i dirigenti della Cisl locale con la presenza di un segretario nazionale, cominciano a fare ipotesi sui mandanti:
la Cisl esprime la sua convinzione che tali gruppi di teppisti erano prevalentemente formati da elementi estranei alle organizzazioni sindacali, assoldati da chi ha oggi particolari interessi a determinare nella opinione pubblica il discredito sui sindacati e sui motivi per cui i lavoratori metalmeccanici sono in sciopero.
Poi un plauso con riserva alla Cgil:
Diamo atto ai dirigenti della Cgil di un’azione di contenimento da essi svolta e non vorremmo che a qualcuno di loro la fede politica prendesse, in queste occasioni, il sopravvento sulla fede o le funzioni sindacali.
Poi una minaccia:
Rileviamo che per noi l’unità di azione sindacale è sempre condizionata al rispetto di metodi e di principi fondamentali: fra questi, primo di tutto, il rispetto della democrazia[23].
Ma lunedì ci sono gli scontri più violenti e l’assalto a La Gazzetta del Popolo che nel resoconto di martedì 10 va ben oltre le posizioni della Cisl, ponendo con insistenza, rivolta al Pci, il problema dei mandanti. Sotto il titolo, Chi tiene nell’ombra le file dei teppisti? Scrive:
I cronisti e gli inviati dei quotidiani che hanno vissuto la giornata in piazza tra le sassaiole e gli insulti della teppaglia… possono usare un solo termine per definire gli incidenti di Piazza Statuto: guerriglia organizzata contro le forze dell’ordine con l’intento di provocare ad ogni costo incidenti… Ma chi può aver organizzato tale guerriglia? Da dove venivano tutti i giovinastri dai 14 ai 20 anni che sono stati fermati? Negli ambienti sindacali ieri si confermava che nella piazza a provocare la polizia erano presenti tanto gruppi di estrema destra quanto gruppi di estrema sinistra. Negli ambienti della polizia si manteneva anche ieri la versione che la stragrande maggioranza appartiene a movimenti di estrema sinistra; la polizia è, comunque, la prima ad affermare che tutto ciò non ha nulla a che fare con gli operai in sciopero… Tra i teppisti vi erano delinquenti comuni, “protettori” e gente d’ogni specie che in questa gazzarra non ha nulla da perdere. La maggior parte dei fermati sono risultati senza fissa dimora o disoccupati o provenienti da altre città. Quasi tutti avevano in tasca da 1500 a 2000 lire: come un acconto sul prezzo promesso da chi li aveva ingaggiati e organizzati.
Poi una deduzione non troppo logica anche perché l’edizione del giorno precedente aveva fatto un quadro assai tendenzioso dei partecipanti e qualcuno risentitosi poteva nutrire desideri di vendetta:
E che si trattasse di una accozzaglia di gente buona a tutti gli usi, pronta per le manovre di piazza e che lo scopo di tutte le violenze fosse soltanto quella di seminare caos e panico contro chiunque, lo prova ancora l’assalto che alle 22 qualche centinaio di scalmanati ha scatenato contro la sede del nostro giornale fracassando ogni cosa con il lancio di ciottoli e di cubi di porfido: i vetri dell’ingresso della redazione e degli uffici sono andati in frantumi, grosse pietre sono arrivate sulle scrivanie dei colleghi che stavano lavorando… L’assalto è stato premeditato e ordinato perché i facinorosi sono giunti davanti a “la Gazzetta del Popolo” da ogni lato, improvvisamente, tutti assieme, armati già dei cubi di porfido tolti dal selciato di Piazza Statuto.
Poi di nuovo: chi sono i mandanti?
In Comune i consiglieri comunisti ieri sera, hanno dichiarato che il loro partito è del tutto estraneo agli episodi di piazza Statuto. Le dichiarazioni ufficiali non ci sembrano tuttavia sufficienti a scagionare il Pci e in particolare la Cgil da ogni responsabilità. Del resto l’organizzazione di masse e le dimostrazioni di piazza sono note ben caratteristiche di questo partito…
Poi un’intuizione seguita dall’incredulità:
… l’unica ipotesi che possiamo avanzare per credere alle dichiarazioni ufficiali dei dirigenti del Pc, sarebbe che ad un certo punto l’accozzaglia nella quale s’erano infiltrati elementi d’ogni genere, abbia preso la mano e i dirigenti comunisti non abbiano più potuto contenerne le manifestazioni. È lecito tuttavia chiederci, a questo punto, se possa esistere in una città dalle tradizioni operaie e sindacali come Torino, una forza “di massa” superiore e tale da scavalcare l’autorità e il potere di chi in questi anni ha sempre dimostrato di saper manovrare, per ogni scopo, proprio le masse che al Pci fanno capo… [per cui]… occorre che il Pci dimostri con i fatti che tutta la città attende, di essere “estraneo” ai tumulti: che dia cioè a tutti la prova di una “assenza” alla quale è difficile credere del tutto[24].
note
[1] La Stampa, 10 luglio 1962.
[2] “Il Genovese”, 14 luglio 1962.
[3] Valletta si era pronunciato pochi giorni prima a favore . Cfr. l’intervista al “Messaggero” del giugno 1962.
[4] La tesi che il Pci tatticamente preferirebbe un governo di centro o addirittura centro-destra ad uno di centro-sinistra è sostenuta anche dall’Espresso del 14 luglio 1962.
[5]“Stampa sera”, 12-13 luglio 1962.
[6] “La Stampa”, 13 luglio 1962.
[7] Cit . da “La Gazzetta del Popolo”, 9 luglio 1962.
[8] Per l’intervista di Giuseppe Roffo, vedi l’articolo di V. NOTARNICOLA, I fantasmi in Piazza, in “L’Europeo” del 14 luglio 1962.
[9] “La Stampa”, 10 luglio 1962.
[10] “La Stampa”, 9 luglio 1962.
[11] Cfr . “La Stampa”, 10 luglio 1962.
[12] “La Gazzetta del Popolo”, 11 luglio 1962.
[13] Cfr . “Il Giorno”, 13 luglio 1962.
[14] Cfr . “La Stampa”, 18 luglio 1962.
[15] Cfr . “l’Unità”, 13 luglio 1962.
[16] “La Stampa”, 13 luglio 1962.
[17] Ibid.
[18] “Il Giorno”, 10 luglio 1962.
[19] “La Gazzetta del Popolo”, 13 luglio 1962.
[20] Si tratta di A. Tridente, vedi “La Gazzetta del Popolo”, 9 luglio 1962.
[21] Ibid.
[22] Sezione italiana — aperta nel 1953 a Milano da Luigi Cavallo e Edgardo Sogno — di un gruppo di provocatori con sede a Parigi denominato “Movimento anticomunista Pace e Libertà” . Finanziato da industriali (soprattutto la Fiat) e legato ai servizi segreti italiani e stranieri, ha svolto, negli anni Cinquanta una intensa attività anticomunista attraverso libelli, manifesti e volantini.
[23] Cit . “La Gazzetta del Popolo”, 13 luglio 1962.
[24] “La Gazzetta del Popolo”, 10 luglio 1962.
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