Continuiamo a non capire lo sviluppo e il progresso che portano
i megaprogetti, il denaro e il consumo
Sin dal 31 dicembre 1993 l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale dà centralità al ruolo delle donne nel processo rivoluzionario di lotta, iscrivendo le loro richieste all’interno di una Legge rivoluzionaria delle donne, di cui riportiamo i dieci commi:
Primo: Le donne, indipendentemente dalla loro razza, credo, colore o appartenenza politica, hanno il diritto di partecipare alla lotta rivoluzionaria nel luogo e nel grado che la loro volontà e capacità determinano.
Secondo: Le donne hanno il diritto di lavorare e ricevere un giusto salario.
Terzo: Le donne hanno il diritto di decidere il numero di figli che possono avere e di cui occuparsi.
Quarto: Le donne hanno il diritto di partecipare agli affari della comunità e di ricoprire cariche se sono elette liberamente e democraticamente.
Quinto: Le donne e i loro bambini hanno diritto alle cure essenziali per la loro salute e alimentazione.
Sesto: Le donne hanno diritto all’istruzione.
Settimo: Le donne hanno il diritto di scegliere il proprio partner e non essere costrette a sposarsi con la forza.
Ottavo: Nessuna donna può essere picchiata o maltrattata fisicamente da parenti o estranei. I crimini di tentato stupro o stupro saranno severamente puniti.
Nono: Le donne possono occupare posizioni di leadership nell’organizzazione e nelle forze armate rivoluzionarie.
Decimo: Le donne avranno tutti i diritti e gli obblighi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti rivoluzionari.
Coerentemente l’8 marzo il Comando Generale del Comitato Indigeno Rivoluzionario Clandestino dell’EZLN celebrerà, talvolta con un comunicato, la Giornata internazionale della donna. Si tratta di importanti documenti dedicati espressamente alla questione femminile. In particolare, la celebrazione fa spesso riferimento alla donna degna, quella che si oppone al potere che la umilia, confinando la dignità «nell’oblio, nel silenzio, in prigione e nella tomba». Le donne indigene messicane sono umiliate come donne e come lavoratrici, tanto da costringerle alla ribellione, pistola alla mano.
Come donne soffrono tre volte di più: una per essere donne, due per essere indigene, tre per essere povere. Per sopravvivere devono lavorare fin dall’infanzia e, quando crescono, aiutano i loro compagni e lavorano per prendersi cura della famiglia, della capanna e dei figli. Sono costrette a farlo perché altrimenti morirebbero di fame: medicine, vestiti, attrezzi sono beni molto costosi.
Seppur praticamente inesistente il matrimonio combinato e comprato, continua però a esistere la violenza intrafamiliare contro le donne, la molestia sessuale, benché non esista questo reato nelle legislazioni delle comunità. Il sub comandante Marcos, in una intervista alla Jornada del 2003, afferma che quel che succede è che non posso parlarne io, saranno le donne a dire quali problemi stanno affrontando. Come Ezln, noi pensiamo che questo movimento di liberazione, di emancipazione della donna, ha molto a che vedere con le condizioni materiali, vale a dire che non può essere indipendente e libera una donna che dipenda economicamente dall’uomo. In questo senso, il passo avanti delle cooperative indigene di donne permette loro di avere un reddito, e l’indipendenza economica permette loro di fare molte cose che prima non potevano fare. E si sta cercando di generalizzare questo fatto, anche se non sempre a livello di cooperativa, si cerca di favorire il fatto che le compagne possano lavorare o ottenere un reddito che dia loro più indipendenza, e questo può propiziare altre cose. Ma siamo ancora molto lontani, perché questo problema ha molto a che vedere con le condizioni economiche delle comunità zapatiste.
Storicamente le donne delle comunità erano più emarginate, ma nel momento in cui alcune giovani indigene salirono in montagna, unendosi ai ribelli, la consapevolezza inizia a prendere il posto della rassegnazione e questo ha avuto delle conseguenze positivi sulle comunità. A quel tempo, le insurgentes erano molto più avanti o in condizioni migliori, rispetto alle donne delle comunità. L’impatto delle donne dentro la rivolta zapatista però inizia a produrre i primi effetti: nei posti di direzione, nei comitati o nei comandi, in posti in cui non c’erano donne, iniziano invece a comparire attraverso l’autorganizzazione e scegliendo in autonomia le proprie responsabili. Questo accade – seppur non in maniera generalizzata – nel momento in cui ha iniziato a diffondersi il sistema educativo zapatista che ha permesso alle donne e alle bambine, che in genere passavano il tempo in cucina o badando ai loro fratellini, di frequentare la scuola.
Nel loro «Basta!» a un sistema di dominio c’è tutto il senso politico che le milizie e gli insorti zapatisti accordano alla parola dignità. Eppure, nonostante la loro forte reazione alla cultura maschilista, neanche le donne zapatiste possono dirsi libere: «hanno ancora molto per cui lottare e molto da guadagnare». La loro lotta non è contro gli uomini, ma a favore della libertà, secondo un principio, di dignità appunto, che può essere esportato ovunque.
Stare bene e in lotta è un imperativo sentito dalle zapatiste e ribadito a più riprese fino ai giorni nostri, anche perché non è mai cessata, ma anzi significativamente aumentata, nel mondo intero la violenza nei loro confronti. La lotta per la vita − trasversale ai problemi di genere − è essenziale per tutta l’umanità e non ha bisogno del permesso o dell’avallo di nessuno, né tantomeno dei maschi: «se qualcuno − chiariscono le indigene zapatiste nel marzo del 2020 − pensa che la lotta per la vita delle donne è golpista o di destra o di governo o di sinistra o antigovernativa o è di un colore, pensiero o religione, allora difende la morte». Saremo anche arretrate, diranno a più riprese, ma continuiamo a non capire lo sviluppo e il progresso che portano i megaprogetti, il denaro e il consumo. Allo stesso modo, svendere la vita delle donne fatte sparire, sequestrate o assassinate non è certamente progresso. A questa idea di progresso viene contrapposta un’idea di vita e di libertà che passa dalla critica, dalla disobbedienza, dal dibattito, dall’analisi, ma anche dalla lotta e dal litigio, se necessari.
Un dato alla fine è certo, la partecipazione delle donne al Comité clandestino revolucionario indigena (il comando dell’Ezln) è cresciuta fino ad arrivare a percentuali quasi paritarie. Oggi esistono comandanti donne di tutte le comunità indigene. E lo stesso Marcos a percepire il cambiamento: partecipano di più, tengono riunioni a parte loro proprie. Io percepisco più rispetto dei comandanti nei confronti delle donne comandante, cosa prima che non succedeva, ma bisogna fare ancora molta strada. Speriamo un giorno di poter raccontare buone cose a questo proposito.
La redazione di Malanova
LE PUNTATE PRECEDENTI
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #1 (1993)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #2 (1994/1)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #3 (1994/2)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #4. IL SOGGETTO DI CAMBIAMENTO
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #5 (1994/3)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #6 (1994/4)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #7. LA POETICA RIVOLUZIONARIA
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #8. FAVOLE PER INTERROGARSI
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #9 (1994/5)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #10 (1994/6)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #11 (1994/7)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #12 (1994/8)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #13. DOMANDE SUL FUTURO