Dopo la mobilitazione nazionale voluta dalla Rete Rider x i diritti qualcosa si muove nel comparto dei fattorini.
È la prima volta che una multinazionale del food delivery riconosce la natura del rapporto lavorativo con i rider come rapporto di dipendenza. Just Eat, dopo una lunga contrattazione con le parti sindacali, ha inserito i fattorini nel contratto nazionale della logistica. Non più partite iva e lavoro autonomo ma uno stipendio regolare e qualche diritto in più.
Secondo la Rete Rider per i diritti i lavoratori “si vedono riconosciuti una paga oraria, un monte ore garantito in fasce a tempo indeterminato per chi già lavorava con l’azienda (esercitando il diritto di prelazione e potendo indicare le proprie preferenze e disponibilità, senza sottoporsi a un periodo di prova), ferie, malattia, mensilità aggiuntive, trattamento di fine rapporto, congedo parentale, assegni familiari, maggiorazioni, premi di produzione, rimborsi per i mezzi, permessi, assicurazioni e diritti sindacali. Il gruppo Just Eat Take Away attraverso questo contratto riconosce anche lo status di lavoratori a tutti gli effetti per i suoi corrieri, cambiando assetto organizzativo (passaggio non banale) impegnandosi in questo modo a favorire la riqualificazione della natura del rapporto di lavoro riportando la figura del fattorino delle consegne a domicilio nell’alveo del lavoro garantito. Aspettiamo notizie anche da Assodelivery a questo punto, perché non dimentichiamo che c’è un tavolo di negoziazione in sospeso con Glovo, Deliveroo, Uber Eats e Social Food sul tema della salute e la sicurezza sanitaria dei lavoratori e una contrattazione da affrontare su tutele e diritti. E noi non ci tireremo certo indietro, aspettando anche notizie dal Ministero e dal Parlamento Europeo”.
Le parti hanno convenuto di applicare, come dicevamo, il contratto nazionale del comparto logistica adattato con un accordo aziendale. Si passa dunque dalla disciplina del Jobs Act che inquadrava i fattorini nell’alveo dei contratti di collaborazione coordinata e con tutele simili ai lavoratori dipendenti – e dopo il tentativo pirata di Assodelivery e UGL di firmare un contratto capestro che faceva retrocedere i rider a lavoratori autonomi e con partita iva – alla situazione attuale dove gli operatori del settore (almeno quelli di Just Eat) diventeranno lavoratori subordinati in senso pieno.
Ma il percorso in controtendenza di Just Eat è iniziato da diversi anni a livello mondiale ed anche in Italia a novembre 2020 il gruppo dichiarava l’uscita da AssoDelivery:
Il CCNL rider, firmato da Assodelivery e UGL, – dichiara Daniele Contini Country Manager di Just Eat in Italia – ha permesso di aggiungere nuove tutele e protezioni ai rider che consegnano come lavoratori autonomi e per questo abbiamo partecipato al lavoro fatto. Oggi, coerentemente alla nuova strategia del gruppo Just Eat Takeaway.com che punterà ad inquadrare i rider come lavoratori dipendenti, abbiamo deciso di procedere in autonomia uscendo dall’associazione di settore AssoDelivery.
Il modello di contratto applicato a livello internazionale da Just Eat è quello denominato “Scoober” che inquadra i rider come lavoratori dipendenti, consentendo loro di avere più vantaggi e tutele, conservando però la flessibilità e la possibilità di operare combinando studio e altre attività. Tutti i rider “Scoober” avranno diverse tutele e assicurazioni e saranno inquadrati in un contratto basato sulle linee guida di un accordo aziendale internazionale, adattato alla normativa italiana. L’accordo aziendale tra le parti di cui parlavamo sopra.
Sarà possibile scegliere tra full time o part-time, 10, 20 o 30 ore settimanali e verrà introdotta una paga oraria, corrispondente all’intero turno coperto dal rider e non in relazione alle singole consegne, sulle quali invece si valuterà un ulteriore bonus. L’accordo pare preveda un minimo di 8,50€ orarie più un bonus di 0,25 cent a consegna.
Quindi alla base dell’accordo c’è la trasformazione della natura del rapporto lavorativo da autonomo a subordinato e a tempo indeterminato. L’azienda si riserva di stabilire insieme all’operatore l’orario settimanale ma, in caso di necessità, può obbligare alla prestazione lavorativa, mentre oggi – come sappiamo – a governare la prestazione è sostanzialmente l’applicazione informatica le cui richieste il rider, in linea teorica, può ignorare. Libera scelta in teoria, dunque, perché poi l’algoritmo sceglierà e favorirà i riders più obbedienti. Il nuovo contratto non prevede pause, si lavora 365 giorni all’anno con un giorno di pausa settimanale. Non è conteggiato nel monte orario il tempo per lasciare o raggiungere il luogo di attesa dove si prendono le comande.
Questo il quadro dell’innovazione portata avanti solo da Just Eat mentre le altre sigle continuano ad usare il contratto capestro siglato con il sindacato UGL.
“Questo accordo ha caratteristiche straordinarie nel nostro Paese ma travalica i confini dell’Italia – commenta Danilo Morini, segretario della Filt Cgil -. Per la prima volta a 4mila riders saranno riconosciuti diritti e tutele finora impensabili per questo settore”. Adesso quindi tocca alle altre piattaforme.
I sindacati sono convinti che l’accordo possa fare da apripista e aiutare a indicare una via di regolazione del settore. Sperano che le altre piattaforme seguano questo modello di subordinazione, per creare una situazione di parità di condizioni. “D’altra parte non c’è bisogno di inventarsi nulla: le regole e i contratti nazionali esistono già – sostengono i sindacati unitariamente -. È importante continuare a lavorare insieme per perseguire un’idea di crescita e di sviluppo che sappia tenere insieme produzione, qualità e buona occupazione, profitto e sicurezza, tutto ciò rimettendo al centro il valore della persona, in un contesto di relazioni sindacali partecipativo, improntato al dialogo”.
Ci sembra però, anche in questo caso, che al di là delle sacrosante rivendicazioni a maggior tutela, il sindacato insegua con affanno il fronte padronale perché il piano di sviluppo del nuovo modello, per come affermato da Just Eat Takeaway.com, ha l’obiettivo di aprire una nuova frontiera ed essere un esempio virtuoso a sostegno dell’evoluzione del settore del food delivery, della creazione di posti di lavoro in Italia e dello sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Il piano di implementazione continua a crescere, oggi sono già oltre 139 le città dove il modello è attivo, in Italia è stato avviato già nella città di Monza a metà di marzo con l’inserimento dei primi 40 lavoratori, e sono previste altre 22 città italiane per un totale di oltre 4.000 rider assunti.
Bene, dunque, questa prima e importante vittoria ma ora è necessario non fermarsi qui per non essere raggiunti dalla ristrutturazione permanente del capitale che normalizza e sussume ogni conquista di classe.
La Redazione di Malanova