Nelle interviste del 3 e 4 febbraio rilasciate agli inviati de “La Jornada” dai comandanti e dal sub, individuiamo un altro elemento centrale nella storia zapatista: quello legato all’organizzazione interna e ai rapporti tra la parte civile e quella militare dell’EZLN. Parlando con i comandanti gli intervistatori chiedono:
Voi seguite il subcomandante Marcos? Siete voi la massima autorità?
La massima autorità è il Comitato Clandestino.
E Marcos li segue?
Beh, Marcos è come un subcomandante. Marcos ha la disinvoltura del castigliano. Noi ancora non riusciamo per niente. Ecco perché abbiamo bisogno che faccia molte cose per noi.
Chi è il capo dell’esercito?
La questione militare, prima di tutto, il Subcomandante Marcos … Noi, beh, seguiamo la questione politica, organizzativa, etc…
In effetti, gran parte dell’intervista a Marcos tratta di questioni tattico-militari, delle esercitazioni nella Selva, dell’ispirazione tratta da rivoluzionari come Villa e Zapata, ma anche di manuali recuperati e scritti per l’esercito regolare. Affronta poi le difficoltà di mantenere la clandestinità nonostante il numero importante di partecipanti e il modo migliore per spostare le truppe senza destare sospetti nelle autorità militari e poliziesche istituzionali. La rivolta dunque è stata una insurrezione armata con tanto di truppe e armamenti.
Ma ritorniamo al tema organizzativo. Esordisce Javier:
Vado a spiegarvi. Come compagni siamo stati incaricati di essere membri del CCRI. La storia del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno (CCRI) inizia, dal momento che ci siamo organizzati da molto tempo, […] dalla nostra gente che ha combattuto pacificamente contro il governo per tanti anni, proprio così, come molti altri popoli che hanno combattuto su questioni di terra, alloggi e tutto ciò di cui ogni popolo ha bisogno. Ma la risposta che il governo ci ha dato, invece di risolvere i problemi, è che riceviamo repressione, percosse, omicidi, sfratti e incarcerazioni dei nostri dirigenti. Così, abbiamo deciso che non c’era altro modo che organizzarci e sollevarci attraverso la lotta armata. Iniziammo a organizzarci in questo modo, clandestinamente, in un’organizzazione rivoluzionaria. Bene, avanzando nel percorso ogni villaggio ha eletto i propri rappresentanti, i propri dirigenti. Così, prendendo la decisione (di organizzarsi), gli stessi popoli hanno proposto chi guiderà quelle organizzazioni. Gli stessi popoli ci hanno nominato. In effetti, in primo luogo è stato nominato il responsabile di ogni città. Andando di villaggio in villaggio, di città in città, c’è stato un tempo in cui sono stati nominati i delegati. Così siamo diventati il CCRI.
Un’altra voce, quella di Isacco, il più giovane:
Vorrei aggiungere qualcosa sul CCRI. Si è già detto che è stato eletto democraticamente. Se le persone dicono che un membro del CCRI non sta facendo nulla, che non sta rispettando le persone o non sta rispettando ciò che dice la gente, allora la gente dice che lo vuole fuori… Perché no? Come si può rimanere ad occupare un posto in cui non si fa nulla … Quello che ha detto il popolo è ciò che noi cerchiamo di realizzare. Il piano si conforma a ciò che la gente vuole. Quindi se un membro del CCRI non fa il suo lavoro, se non rispetta le persone, non può stare li; allora scusaci ma dobbiamo metterne un altro al tuo posto. Così è costituito il comitato, in modo democratico.
Non sembrano emergere grosse differenze metodologiche rispetto alle forme organizzative tradizionali. Vengono eletti i membri del CCRI individuandoli in ogni comunità. La differenza sostanziale, sottolineata dagli zapatisti, sta nel vincolo di mandato: stai lì, ci rappresenti, fino a quando rispetti le scelte che ti impone la base. Se non fai quello che dice la comunità, puoi venire sostituito in qualsiasi momento. Questo implica un’organizzazione del basso verso l’alto e questa è, sostanzialmente, l’essenza del comandare obbedendo. Nulla a che vedere con i parlamenti della democrazia borghese che non impongono nessun vincolo di mandato: i parlamentari – compresi quelli italiani − non devono “obbedire” a nessuna volontà popolare e non possono essere rimossi se non al termine del mandato.
Per questo motivo, proseguendo nell’intervista, la comandantia dell’EZLN spiega perché la loro tempistica, relativamente al dialogo istituzionale, non può coincidere con quella del Commissario per la pace. Moisés commenta:
Non possiamo dialogare o negoziare proprio così, ma prima dobbiamo chiedere alla gente. A livello statale, dove ci sono compagni, dobbiamo consultare se negozieremo o meno. Perché? Perché stiamo servendo le persone. […] Sono le stesse persone che hanno detto: ‘Cominciamo’. Non vogliamo più resistere perché stiamo già morendo di fame. I dirigenti, sia il CCRI, sia l’Esercito Zapatista e il Comando Generale, se la gente dice, beh adesso, cominciamo, devono rispettare e realizzare ciò che le persone chiedono. Le persone in generale. Inizia così la lotta.
Come si sono svolte le assemblee?
Sono state fatte in ogni regione, in ogni area; quindi viene chiesto il parere della gente. Poi quell’opinione viene raccolta, da diverse comunità. Certo, dove ci sono gli zapatisti. Di zapatisti ce ne sono ovunque nello stato del Chiapas. La tua opinione è richiesta per dire quello che vuoi, per decidere se abbiamo già iniziato la guerra o no. […] Il Camacho pensa che tutti andremo a negoziare senza consultare. Ma noi dobbiamo consultare le persone. Ci hanno scelto per portare avanti il lavoro della rivoluzione. […] Perché? Perché stiamo avanzando in questo modo in una parte del nostro stato. Ma abbiamo una grande speranza che porteremo la lotta in questo modo a livello statale e nazionale.
Tutta qui sta la differenza. Il Commissario per la pace viene delegato dal governo federale a trattare e può farlo senza sentire ogni volta i suoi elettori. Per gli zapatisti non funziona così, è il popolo che decide collettivamente e ogni decisione può essere presa dai delegati solo se conforme al mandato popolare. Per questo i calendari zapatisti non coincidono con i calendari istituzionali. Ogni volta che si prende una decisione si devono attivare le assemblee nelle varie città per poter formulare un mandato. Un meccanismo complesso, certo, che nulla concede alla velocità del tempo capitalista, alle agende governative, alla fretta dei capitani d’industria. Il tempo in Chiapas non è denaro, è democrazia, è vita.
La Redazione di Malanova
LE PUNTATE PRECEDENTI…
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #1 (1993)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #2 (1994/1)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #3 (1994/2)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #4. IL SOGGETTO DI CAMBIAMENTO