Agli inizi di febbraio la Comandantia dell’EZLN concede un’intervista agli inviati de “La Jornada”, un documento molto interessante che evidenzia le motivazioni e la genesi della rivolta indigena.
Sono sei i comandanti indigeni – Ramona, David, Felipe, Javier, Isaac e Moisés – che raccontano come la rivolta fu decisa con il voto di ciascuno degli abitanti del loro territorio, villaggio per villaggio, luogo per luogo, famiglia per famiglia.
La tradizione marxista ortodossa poneva la classe operaia come la sola destinata a rompere lo schema capitalista, ma spesso molte rivoluzioni socialiste che seguirono la stesura del “Capitale” si sono sviluppate in territori arretrati basati su un’economia prevalentemente agricola. Anche in Chiapas tutto nasce dai campesinos. Sin dal 1974 gli indigeni hanno partecipato alle lotte per la terra per chiedere di gestire terreni fertili, avere case dignitose, ottenere la costruzione di strade, di cliniche rurali.
Ma niente di fatto. L’unica risposta ottenuta è l’inganno, le false promesse, le bugie. Molti dei nostri popoli hanno combattuto in questo modo, ma ciò che abbiamo ottenuto è stato imprigionamento, omicidi, repressioni. Sono i motivi per cui adesso stiamo partecipando a una lotta armata.
Dicono che non abbiamo pazienza, che non abbiamo ragione. Ma ci siamo battuti per chiedere la soluzione dei nostri bisogni in modo pacifico, in modo legale. Ma i governanti statali e nazionali non ci hanno ascoltato. Ecco perché non avevamo altro modo. Siamo ricorsi alle armi per vedere se almeno così ci avessero ascoltato. […] In questi luoghi la gente vive per puro miracolo, perché su un pezzo di terra sono sopravvissute famiglie da sette a dodici persone, su un pezzo di terra si può dire di un ettaro, di mezzo ettaro di terra non fertile, non coltivabile. È così che la nostra gente è sopravvissuta. E così vediamo e sentiamo l’urgenza di avere la terra in mano, come contadini. […] Ci sono persone che non sono agricoltori, ma possiedono migliaia di ettari di terra dove vengono pascolati i bovini. Ciò significa che è ritenuto più importante avere centinaia di bovini che avere centinaia di contadini. Questo significa che valiamo meno degli animali. Per questi motivi, le persone hanno sempre rivendicato la terra, ma il governo non ha mai capito, non ha mai ascoltato.
Ci siamo alzati con le armi in pugno perché nuove leggi vanno fatte dagli stessi contadini; nuove leggi dovrebbero essere fatte per distribuire la terra. Forse diverse da quello che diceva Zapata, che a ogni contadino viene dato un pezzo di terra.
In effetti, la legge agraria rivoluzionaria zapatista prevede una concessione delle terre ai contadini per la coltivazione collettiva, la creazione di cooperative capaci di far lavorare tutta la comunità per il suo stesso sostentamento. Non piccole aziende familiari ma, come si direbbe oggi, cooperative di comunità. Una sorta di collettivismo agrario con una matrice comunitaria. Un sistema che riprende le prime idee sulla collettivizzazione delle terre del comunismo russo post rivoluzione1 (attenuate dalla componente dei socialisti rivoluzionari di sinistra che rappresentavano proprio la classe contadina) o anche le idee gandhiane post liberazione sulla conduzione comunitaria delle terre dei villaggi non attuate dai governi successivi ma riprese dal suo discepolo Vinoba attraverso il movimento del Gramdan (il dono della terra).
Anche Marcos, nell’intervista concessa il giorno successivo, ricostruisce così la genesi della rivolta partita da ambienti campesinos:
E la maggior parte dei combattenti, chi sono, da dove vengono?
Dalla montagna, alla giungla. L’EZLN è passato da una fase all’altra in modo molto ordinato. Diciamo che per i compagni campesini, l’EZLN è nato come gruppo di autodifesa. Esiste, infatti, un gruppo armato molto arrogante che è la guardia bianca de los finqueros (i proprietari delle grosse aziende agricole; ndt) che portano via la loro terra e li maltratta, limitando lo sviluppo sociale e politico degli indigeni.
Allora i compagni videro che il problema non era quello dell’autodifesa di una comunità, o di un ejido, ma piuttosto che era necessario stabilire alleanze con altri ejido, con altre comunità e iniziarono a formare contingenti militari e paramilitari più grandi, ma sempre con l’idea dell’autodifesa. C’è stata una stagnazione fino a quando il governo supremo non ha avuto la brillante idea di riformare l’articolo 27 e questo è stato un potente catalizzatore nelle comunità. Quelle riforme hanno cancellato ogni possibilità legale di possedere terreni, che è stato ciò che alla fine li ha mantenuti come gruppo di autodifesa paramilitare. Poi è arrivata la frode elettorale dell’88 e lì i compagni hanno visto che anche il voto non ha funzionato[…]. Questi due sono stati i fattori scatenanti, ma mi sembra che ciò che più ha radicalizzato i compagni sia stata la riforma dell’articolo 27, ovvero la porta che è stata chiusa agli indigeni per sopravvivere legalmente e pacificamente. Ecco perché hanno preso le armi, per farsi sentire, perché erano già stanchi di pagare una quota di sangue così alta. […] Pensiamo che la questione agraria debba essere nuovamente sollevata, ma un passo importante sarebbe l’annullamento delle riforme saliniste all’articolo 27. Sto parlando di persone che hanno una terra cattiva o che non hanno terra. Quello che dicono i compagni è che la terra è vita, che se non hai la terra sei morto e allora senza terra per cosa vivi? Meglio combattere e morire combattendo.
Ritornando all’intervista del 3 Febbraio 1994, è la comandante Ramona a sottolineare, in una situazione generale già di partenza terribile, la condizione ancora più insostenibile delle donne indigene:
Perché uomini, donne e bambini hanno partecipato all’organizzazione rivoluzionaria?
Tutti gli sguardi sono rivolti a Ramona, la piccola comandante. “Bene, bene …” e comincia con una cascata di parole nella sua lingua Maya. Rapidamente, ad un compagno combattente dello stesso gruppo etnico viene ordinato di avvicinarsi per tradurre:
Perché le donne vivono in una situazione più difficile, perché le donne, le donne sono quelle più sfruttate, ancora sono fortemente oppresse. Perché? Perché le donne da tanti anni, da 500 anni, non hanno il diritto di parlare, di partecipare a un’assemblea. Non hanno il diritto di essere istruite o di parlare davanti al pubblico o di ricoprire alcuna carica nel loro popolo. No. Le donne sono totalmente oppresse e sfruttate. Ci alziamo alle tre del mattino per preparare il mais e non ci riposiamo finché tutti non si sono addormentati. E se manca il cibo, diamo la nostra frittata ai bambini, al marito. Chiediamo di essere veramente rispettate come popolazioni indigene. Abbiamo anche dei diritti. Che tutte le discriminazioni finiscano, che rispettino, quindi, i nostri diritti, che possiamo partecipare come popolo, come stato, come paese, perché molti dei nostri governanti ci hanno lasciato così quando i ricchi ci hanno usato come una scala (ndt per scalare il potere salendo su di noi). Questo è il mio messaggio, le compagne donne sono sfruttate, si sentono come se non fossero prese in considerazione, si sentono molto sfruttate, per questo ora decidono di alzare le armi, come zapatiste.
Un ulteriore passaggio dell’intervista, a nostro avviso molto interessante, è quello che parte da una domanda fatta a Marcos sulle relazioni con gli operai concentrati nelle città. Se la lotta zapatista nasce tra le montagne, con i contadini, diventa importante capire che relazione c’è tra gli insorti e gli operai delle grandi città, degli altri stati.
Quanto ai lavoratori, esiste la possibilità di un’alleanza, per interessare i lavoratori delle aree urbane alla vostra causa?
Ebbene, dovrebbe accadere che l’EZLN includa tra le sue richieste le rivendicazioni del movimento operaio, non alla maniera di Fidel Schwarzenegger, ovviamente. Quello che voglio che tu capisca è che quando si parla di morte e miseria in Chiapas, quando si parla di disperazione, è qualcosa che fa venire i crampi. Ecco perché i compagni dicono che basta basta, non c’è dubbio se ci sia o meno consenso sulla lotta armata: o moriamo così o moriamo comunque. È meglio morire con dignità, come hanno detto molto chiaramente.
Vuoi dire che l’EZLN non può avere punti di accordo con il movimento popolare in altre situazioni?
Dovrebbe essere uno spazio più grande, sotto una bandiera più grande. Non sarebbe all’interno dell’EZLN; quella coincidenza con altri settori dovrebbe essere qualcosa di più grande e più ampio. Ecco perché parliamo di un movimento rivoluzionario nazionale. Quel punto di accordo deve trovarsi in qualcosa di più grande dell’EZLN. Se qualcuno alzerà quella bandiera noi ci saremo.
La redazione di Malanova
NOTE
1 Cfr. Ass. Politico-Culturale MARX XXI, Dopo la rivoluzione: i primi atti del potere sovietico, articolo consultabile al seguente URL: http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/marxismo/28192-dopo-la-rivoluzione-i-primi-atti-del-potere-sovietico
LE PUNTATE PRECEDENTI…
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #1 (1993)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #2 (1994/1)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #3 (1994/2)
PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #4. IL SOGGETTO DI CAMBIAMENTO