di Alberto ZIPARO*
1) Provo sempre qualche disappunto allorché devo trattare ancora argomenti “ad alta probabilità di balle”, ancorché a rilevante impatto mediatico e – secondo gli auspici di qualcuno – tuttora forieri di distribuire agli “amici degli amici” risorse della collettività. La nuova puntata della fiction “Alta Velocità al Sud” è pure dovuta alla concomitanza di due eventi, una volta tanto veri: quasi una novità nel festival di fake news e annunci improbabili che ci allietano quotidianamente; specie sul tema grandi opere. Dapprima si è assistito infatti alla “posa della prima pietra” (nebbia sulla seconda) del rifacimento autostradale della statale 106 jonica calabrese; in cui governo e ANAS si sono guardati bene dall’accogliere istanze e suggerimenti di comitati e associazioni locali, oltre che del Quadro territoriale paesaggistico della Calabria, che proponevano un fattibilissimo progetto di inserimento nel tessuto ecopaesaggistico dell’Alto Jonio Cosentino; per prospettare invece un manufatto che, ove realizzato, avrebbe impatti pressoché disastrosi. Qualche giorno dopo, dapprima il vettore privato Italo, quindi Ferrovie dello Stato, presentavano il programma di una corsa diretta “ad alta velocita” Torino/Milano/ Reggio Calabria. Che non è una grande novità, visto che ci sono già 3 Frecce che ogni giorno collegano Roma e la città dello Stretto. Tanto però è bastato per indurre qualche testata giornalistica a titolare “L’Alta velocità arriva in Calabria!”. E per indurre i “professionisti della politica”, parlamentari, ministri, rappresentanti regionali e locali (che evidentemente leggono, e male, solo i titoli delle notizie e hanno scambiato il collegamento diretto con l’avvio del progetto, inesistente, di realizzazione dell’infrastruttura AV), a lanciarsi in dichiarazioni roboanti, tipo “È un risultato storico, frutto del nostro impegno pluriennale!” (magari di chi fino ad un istante prima ignorava l’esistenza dei treni veloci per la Calabria). Spingendo i “più disinvolti” ad arrischiare addirittura “dopo tale realizzazione epocale, bisogna ripensare all’attraversamento dello Stretto!”.
2) In realtà – al di là del pressappochismo e dei vuoti socioculturali dell’odierna politica istituzionale – è bene tenere sempre a mente i dati consolidati nell’esperienza politica e socioeconomica relativa ai temi citati. L’alta velocità, come il Ponte sullo Stretto, ha assunto di recente rispetto al sud e alle regioni più interessate la funzione di “grande annuncio”, “grande figurina”, immagine della pietra filosofale dello sviluppo economico e territoriale; utile a coprire i fallimenti politici di tutte le stagioni e di tutti i colori. Funzionale soprattutto ad occultare l’autentico depauperamento di risorse essenziali per territorio, ambiente, trasporti, welfare, per non parlare della sanità, che i governi, di centrodestra e centrosinistra, hanno praticato di recente soprattutto rispetto alle due regioni più interessate. Eppure bastava riprendere atti e dati, relativi a vicende già note, legate a tali temi, per evitare nuove clamorose e ridicole fake news. Per quanto riguarda l’alta velocità al Sud, va sempre tenuto conto che studi, stime e valutazioni programmatiche (allora non ancora viziate dal lobbismo di mega interessi economico-finanziari) sull’intera rete AV, vennero effettuati quando, più di trent’anni orsono alla presidenza delle ferrovie c’era un reggino, uno dei massimi sponsor dell’alta velocità in Calabria. Eppure le stesse ferrovie – qualche tempo dopo – dovettero ammettere che “la realizzazione della tratta infrastrutturale AV Napoli- Reggio Calabria è molto, forse troppo critica”. La stima che si fece all’ora chiariva che, “se la tratta Torino-Milano-Napoli costa venticinquemila miliardi di lire” – ovvero 12 mld di euro – (oggi è costata oltre il mille per cento di quella cifra, più di 135 mld di euro e non è ancora completamente terminata), “la tratta Napoli-Reggio Calabria ne costerebbe almeno cinquantamila, di miliardi di lire”; ovvero 25 mld di euro di quelle stime (che se rapportati ai 135 che è ciò costato realmente finora la TO-MI-NA significherebbero centinaia di mld di euro). Tali stime erano consistenti, se si pensa che la vera infrastruttura per l’alta velocità necessita di una sezione libera di molte decine di metri che nei territori che vanno da Salerno a Reggio Calabria, significano rilevantissime opere di contenimento dei rischi sismico-idrogeologici, di risanamento dei versanti impegnati, di mitigazione dell’erosione degli archi di costa tirrenica interessati, del blocco del degrado e dei dissesti in atto nelle asperità plano-altimetriche coinvolte, di riparazione di danni ambientali ingentissimi. Oltre che di ripristino dei luoghi con rimozione di migliaia di manufatti non solo abusivi. Oltre al rischio mafia. Tali circostanze, che portarono alla cancellazione del progetto AV fino a Reggio, sono sempre presenti e cogenti; e vanificano e smascherano i reali intendimenti di copertura dei vuoti programmatici e di sottrazione di risorse economico- finanziarie che si nascondono dietro i ciclici quanto roboanti annunci. Infatti ad oggi non esiste alcun programma concreto, a parte le citate dichiarazioni e il faticosissimo e lentissimo avanzamento del progetto AV Napoli-Bari; pure avviato diversi anni fa. Il Ponte poi ha fatto scuola fra i “padroni” – spesso autentici speculatori finanziari – delle grandi opere. Che oggi infatti privilegiano le operazioni che massimizzano le spese e minimizzano o azzerano i lavori. Certo, non sempre, come nel caso del progetto di attraversamento stabile dello Stretto, le chiacchiere si protraggono per cinquant’anni e costano centinaia di milioni di euro senza fare nulla. Salvo ammettere in sede di cancellazione ufficiale del progetto, proprio da parte dei massimi responsabili della stessa progettazione, che lo stesso manufatto “non ha mai ricevuto la costruibilità”. Quindi non è stato un caso essersi fermati sempre prima del progetto esecutivo.
3) Quando si parla di trasporti e infrastrutture, come di ambiente, territorio e sviluppo del Sud, ma con la volontà di proporre qualcosa di concreto, bisogna dunque innanzitutto “depurare il campo” dagli ingombranti “balloni” del passato. Che invece sono “troppo comodi” e tendono ad essere reiteratamente riproposti – a costo di sfidare la fissazione idiota – per la vulgata politica e mediatica. Bisognerebbe invece riprendere quel poco di consistente che è venuto fuori dalla pure molto limitata, recente programmazione corretta; che dall’alto alcuni livelli istituzionali e dal basso studi scientifici – spesso promossi insieme ad associazioni e movimenti di base – hanno avanzato. Per esempio il programma di “Coesione Territoriale per il Sud” avanzato qualche anno fa dall’allora ministro Fabrizio Barca, che parlava di necessità “nazionale e meridionale” di pianificare nuovamente trasporti e mobilità PRIMA di avanzare nuovi progetti di infrastrutture piccole e grandi. Nonché di adeguare le reti esistenti alla riscoperta dei contesti meridionali, delle caratteristiche dei loro territori, anche in termini di sviluppo ecosostenibile; e quindi di ottimizzare in funzione di questi innanzitutto gli impianti esistenti. In questo quadro si avanzavano programmi credibili di “velocizzazione e consolidamento degli assi infrastrutturali principali”. Nella stessa logica si muoveva l’allegato infrastrutture e trasporti del QTR paesaggistico calabrese che prevedeva operazioni analoghe, ma “assolutamente inquadrate nelle caratteristiche eco-paesaggistiche dei contesti interessati”; e, per le ferrovie, promuoveva credibilmente l’alta velocità “di rete”, ovvero il consolidamento delle maglie regionali e dei collegamenti con i collettori principali.
4) Da questo si può partire, se si intende parlare con una certa coerenza di mobilità e infrastrutture al Sud e in Calabria e Sicilia. Bisognerebbe però innanzitutto andare oltre, imporre una “nuova narrazione”, tale da spingere tutti – specie la peggio vulgata politico-istituzionale e mediatica – a riflettere sui bisogni prioritari del mezzogiorno. Che sono strutturali prima che infrastrutturali (laddove lo slogan preferito del politico incapace e nullapensante è “al Sud le infrastrutture!”). La cura da proporre subito quindi, sono gli investimenti nelle potenzialità di sostenibilità socioeconomica del patrimonio eco-paesaggistico. Rispetto a cui rifinalizzare le reti esistenti, ove necessario ammodernate, manutenute e migliorate.
* Professore di TECNICA E PIANIFICAZIONE URBANISTICA, Università di Firenze