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L’ECONOMIA ASIMMETRICA DELL’UE TRA FALCHI E BATTERI

Margrethe Vestager, la commissaria alla Concorrenza della Commissione Europea, sta procedendo alacremente all’autorizzazione dei pagamenti relativi ai fondi per il sostegno che ogni singolo Stato membro chiede per le proprie aziende in sofferenza a causa del lockdown. A fine aprile si è arrivati alla cifra di circa 1900 miliardi di euro.

Tutto ciò è possibile all’interno dell’azione che consente agli Stati membri di utilizzare la piena flessibilità prevista dalle norme sugli aiuti di Stato per sostenere l’economia nel contesto dell’epidemia di coronavirus. Il Temporary Framework, modificato il 3 aprile 2020, prevede sostanzialmente la concessione di finanziamenti o la copertura finanziaria per la richiesta di finanziamenti alle banche. Tutto ciò senza pesare sui limiti di bilancio.

Ovviamente, quindi, gli aiuti concessi stanno seguendo proporzionalmente le diverse disponibilità finanziarie dei bilanci dei singoli Stati.

Per questo motivo, ad oggi,  il 52% degli aiuti approvati riguarda la sola Germania, quasi mille miliardi di euro su 1.900 erogati. Più in giù nella classifica ci sono Italia e Francia appaiate al 17% e poi via via gli altri Stati.

Il campanello d’allarme è suonato per la commissaria che paventa un risultato asimmetrico dello strumento nella già fortemente sperequata classifica europea dei ricchi e dei poveri. Stati più forti economicamente possono infatti elargire contributi maggiori alle proprie aziende che ne avrebbero un vantaggio non indifferente sulle concorrenti con sede in altri Stati con detrimento alla concorrenza nell’ambito del mercato Europeo.

Ma l’enorme mole di liquidità che Ue e stati membri stanno immettendo nel circuito economico cosa andrà ad alimentare e soprattutto cosa rivendicano le associazioni industriali e di categorie sul piano nazionale?

Proprio ieri Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha tenuto a sottolineare che “lo Stato chiede all’Europa trasferimenti a fondo perduto, mentre a noi (industriali, n.d.r.) chiede di continuare a indebitarci per pagare le tasse allo Stato” che in soldoni significa trasferite, a fondo perduto, i soldi alle imprese.

Dopo aver attaccato frontalmente il governo sulla possibilità di un intervento statale diretto in economia afferma, senza troppi giri di parole, che “la tentazione di una nuova stagione di nazionalizzazioni è errata nei presupposti e assai rischiosa nelle conseguenze, sottraendo risorse preziose alle aziende per soli fini elettorali” e coglie l’occasione per affondare un ulteriore colpo alle già precarie garanzie sindacali: “Il Governo agevoli quel confronto …. necessario in ogni impresa per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero e giorni di lavoro … in questo 2020, da definire in ogni impresa, settore per settore, al di là delle norme contrattuali” Anche qui il messaggio ci sembra abbastanza chiaro: sospendere l’efficacia e le (scarse) tutele che garantiscono i contratti collettivi nazionali procedendo ad una rinegoziazione su base aziendale e territoriale.

L’informazione mainstream ha definito Bonomi un falco per la sua determinazione a perseguire gli interessi padronali ma di fondo fa il suo (sporco)mestiere. Accettare questa definizione però ci pone in condizioni di perenne sconfitta e subalternità. Il falco non ha molti nemici all’interno della catena alimentare e quando muore, viene mangiato da piccoli animali e decomposto da batteri che sono esseri molto più piccoli di lui. Qui allora si apre una biforcazione: essere batteri o piccoli animaletti ed aspettare che il falco muoia per poterlo decomporre oppure cercare con intelligenza le linee di tendenza per costruire le soggettività necessarie per risalire la catena alimentare e incrinare gli attuali rapporti di forza?

Malanova Vostra!

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