di Enrico Voccia*
Siamo arrivati, quando questo articolo uscirà, al terzo mese italiano del mondo del COVID-19. In tutto il mondo i numeri dell’epidemia vanno avanti: quando scrivo quest’articolo – 29 Marzo 2020 – i numeri delle persone risultate positive ai test per l’individuazione del virus risultano essere 92.472, i deceduti 10.023 ed i guariti 12.384 nella sola Italia;[1] nel resto del mondo rispettivamente 681.706, 31.734 e per i guariti non trovo fonti certe.[2] Numeri apparentemente enormi, che però vanno parametrati e confrontati con quelli di altre malattie infettive: ad esempio, solo in Italia, la polmonite nel 2017 ha fatto 13.471 morti; contando le malattie delle basse vie respiratorie in generale le cifre, sempre per il 2017, salgono a 25.823.[3] Anche l’influenza standard non scherza: tra il 2013 ed il 2017, sempre solo in Italia, si è portata via direttamente alcune centinaia di persone ma, come si fa con il coronavirus, aggiungendo le complicanze cardio-respiratorie sopraggiunte il numero sale a poco meno di 14.000 persone.[4]
A scanso di equivoci, qui non sto dicendo che la malattia da coronavirus sia da prendere sottogamba, dato il numero di casi sopracitato e che al momento in cui questo numero andrà in stampa sarà, purtroppo, sicuramente aumentato. Il problema è che tutte queste malattie non sono certo scomparse, se non dalla scena mediatica tutta occupata dal COVID-19; nella realtà continuano a esistere e, anzi, possono spiegare in una certa misura i termini esatti del problema sanitario che stiamo vivendo. Innanzitutto, all’atto della nascita del Sistema Sanitario Nazionale, la malattia da COVID-19 sarebbe certo esistita, con gli stessi livelli di letalità, ma non avremmo avuto per nulla il rischio dell’intasamento dei posti letto e, in particolare, dei posti destinati all’emergenza cardio-respiratoria. Facciamo allora un po’ la storia di quello che è accaduto in questi quarant’anni della cosiddetta “rivoluzione capitalista” seguita ai “trent’anni gloriosi” del “compromesso socialdemocratico” seguito alla Resistenza antifascista.
Prima del Sistema Sanitario Nazionale esistevano numerosi “enti mutualistici” (detti volgarmente “casse mutue”), tra cui spiccava l’INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie), ognuno competente per una specifica categoria di lavoratori, i quali, con i familiari a carico, erano coperti da un’assicurazione sanitaria per le cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi di lavoratori e datori di lavoro. Ciò comportava, da un lato, la mancata copertura di chi era disoccupato, dall’altro, una disomogeneità di prestazioni tra i diversi enti.[5]
Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) nacque nel 1978, come effetto delle rivendicazioni portate avanti dalle lotte degli anni Settanta del secolo scorso. Di conseguenza, fu pensato basandosi su principi di equità, solidarietà sociale e universalità: intendeva garantire prestazioni sanitarie uguali per tutti e, addirittura, si definiva “solidale”, rifacendosi a un elementare principio di giustizia sociale: tutti gli italiani vi dovevano contribuire con le tasse proporzionalmente al reddito.[5] Questi princìpi vennero però messi in discussione pressoché da subito: non a caso il 1978 coincideva anche con il “riflusso” delle lotte degli anni Sessanta/Settanta.
L’anno chiave dell’inizio della distruzione del Sistema Sanitario Nazionale, come era stato concepito, è il 1991, quando il Governo Amato, invocando “la lotta agli sprechi e al disavanzo pubblico”, attuò una prima controriforma che vedeva l’“aziendalizzazione” della sanità: il Sistema Sanitario Nazionale doveva operare come un’azienda che vendeva il suo prodotto – la salute – in concorrenza tra le varie aziende e, soprattutto, con quelle della sanità privata. I poteri decisionali furono trasferiti alle Regioni, abbandonando le Unità Sanitarie Locali (USL) e, soprattutto, istituendo convenzioni con la sanità privata, pagando – profumatamente – prestazioni sanitarie che precedentemente organizzava in proprio. La distruzione del Servizio Sanitario Nazionale è poi proseguita nel tempo: nel 1989 (decreto legge 382) abbiamo visto l’introduzione in sanità pubblica dei “ticket”, aumentati successivamente nel 2011: in pratica, un attacco graduale ma deciso al principio di progressività – una storia che si è ripetuta, con modalità diverse, a livello mondiale.
L’aspetto ideologico di tutte queste trasformazioni è stata la litania della “impossibilità di far fronte alla domanda”, i costi “insopportabili” della spesa per il Servizio Sanitario Nazionale. Tutto ciò di cui prima, perciò, è stato accompagnato da un taglio sempre maggiore del denaro destinato alla sanità pubblica: nel periodo 2010-2019 il finanziamento alla sanità si è visto sottrarre oltre 37 miliardi di euro, nello stesso momento in cui l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale sarebbe dovuto essere di quasi nove miliardi.[6] Nel 2018 il rapporto tra la spesa sanitaria e il PIL è sceso a quota 6,5 per cento, nel 2019 al 6,4 per cento, nel 2020 si presume ancora di più: ora il 6,5 per cento è la soglia limite indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al di sotto della quale non è più possibile garantire un’assistenza di qualità e neppure l’accesso alle cure, con una conseguente riduzione dell’aspettativa di vita. Infatti, l’aspettativa media di vita degli italiani (ma anche qui il fenomeno è mondiale) sta iniziando, dopo decenni, a calare.[7]
Il calo dei finanziamenti, tra l’altro, impedisce al Servizio Sanitario Nazionale di procurarsi gran parte delle innovazioni farmacologiche e tecno-medicali che sarebbero state diversamente accessibili. A parte questo, però, dalle 695 Unità Sanitarie Locali del 1978 siamo passati alle 101 Aziende Sanitarie Locali attuali; soprattutto, dai circa 530.000 posti letto dei primi anni Ottanta ai circa 200.000 di oggi – in particolare, all’inizio dell’emergenza, eravamo ridotti dai 18.000 posti letto per le emergenze cardio-respiratorie a meno di 5.000, portati attualmente a 8.000.[8]
Anche i giorni medi di degenza sono passati da tredici a sette, per non parlare del numero delle decine di migliaia di medici e infermieri in meno, non sostituiti all’atto del loro pensionamento e che ora la Protezione Civile sta cercando di recuperare, molto parzialmente, tramite i suoi “appelli alla solidarietà”.[9] Il tutto in un contesto dove la popolazione anziana e non autosufficiente cresce sempre più, il che ingolfa ancora di più gli ospedali, le cui liste di attesa sono sempre più lunghe. Inoltre, se ciò non bastasse, l’impoverimento crescente della popolazione dovuto alla distruzione dello stato sociale, alla disoccupazione e al crollo dei salari reali, indebolisce sempre più il fisico della popolazioni e, di conseguenza, il loro sistema immunitario, il che porta a maggiori richieste di accesso al Sistema Sanitario Nazionale e, parallelamente, grazie ai ticket, una rinuncia ad essi, che aggrava la situazione e rende alla fine necessario un maggior numero di ricoveri.
Ovviamente, i “commissariamenti” di questi anni, basati sulla ricetta “più tagli e più ticket”, non hanno fatto che peggiorare la situazione. In compenso – si fa per dire – la sanità privata, la cui qualità scadente è divenuta evidente proprio con l’attuale emergenza, sta facendo affari d’oro: a livello nazionale il rapporto tra posti letto privati e pubblici è ormai di uno a quattro contro l’uno a sei di 40 anni fa, evidenziando una progressiva privatizzazione dell’assistenza sanitaria in Italia.[10]
I sindacati – esclusi quelli di base – sono entrati in pieno in questa logica, permettendo a un numero sempre crescente di lavoratori di usufruire di prestazioni sanitarie in centri convenzionati attraverso i contratti di lavoro. In alcuni contratti nazionali e in tutti i contratti aziendali gli aumenti di salario sono almeno in parte sostituiti da fondi per asili, scuole e assistenza sanitaria, ovviamente presso enti privati prescelti dal datore di lavoro, che vengono in ciò favoriti da detrazioni di imposte, grazie alla modifica sulla tassazione d’impresa del Jobs act renziano. Ora, poiché i lavoratori già pagano l’assistenza sanitaria pubblica, con le loro tasse e con i tickets su farmaci e prestazioni, lo Stato non incassa oltre settecento milioni di tasse che potrebbero servire a sostenere la sanità pubblica, il che crea un circolo vizioso: il Servizio Sanitario Nazionale peggiora, le liste d’attesa si ingolfano e, chi può, ricorre sempre più alla sanità privata.
Torniamo ora alla questione emergenza: come dicevamo, la malattia da COVID-19 non è certo uno scherzo ma non ha fatto sicuramente scomparire tutte le altre malattie, di entità paragonabile, cui deve far fronte tutti i giorni il Sistema Sanitario Nazionale. Questo quarant’anni fa avrebbe “retto la botta” senza particolari difficoltà: ridotto al lumicino, è bastata una malattia in più che richiedeva l’uso intensivo delle terapie di emergenza a metterlo in crisi. In pratica, gli “sprechi” da tagliare erano le nostre vite: la distruzione del Servizio Sanitario Nazionale è avvenuto in un contesto in cui gli epidemiologi avvertivano di continuo del concretissimo rischio di epidemie.[11] In pratica, i vari posti letto e il numero di addetti sanitari di un tempo non erano altro che l’equivalente, in campo edilizio, della “ridondanza strutturale” – un edificio va sempre progettato per reggere un peso maggiore di quello che ordinariamente sosterrà proprio perché possono sempre verificarsi casi eccezionali e non è il caso di farlo crollare con tutti gli abitanti all’interno… a meno che il costruttore anteponga a qualunque considerazione il profitto. Che è quello che hanno fatto tutti gli Stati in questi decennio.
Ora siamo rinchiusi, un po’ tutti, nelle nostre case, ma prima o poi la cosa finirà. È il caso di prepararsi, fin da adesso, a far pagare il conto a chi ci ha ridotti in questa condizione: occorre una battaglia di massa per recuperare – e non solo nella Sanità – tutto quello che ci hanno tolto – in tutti i campi e non solo con la sanità – e con gli interessi. Ognuno deve prepararsi a fare la sua parte.
* Umanità Nova | n. 11 – anno 100
note:
[1] https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_marzo_28/coronavirus-italia-92472-casi-positivi-10023-morti-bollettino-28-marzo-17b0cf96-7110-11ea-a7a2-3889c819a91b.shtml
[2] https://www.corriere.it/speciale/esteri/2020/mappa-coronavirus/
[3] https://it.sputniknews.com/italia/202002048610231-polmonite-in-italia-ogni-mese-fa-3-volte-il-numero-di-morti-di-coronavirus-in-cina/
[4] https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/cardiologia/influenza-decessi-in-aumento-soprattutto-tra-gli-anziani
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Servizio_sanitario_nazionale_(Italia)
[6] https://www.rapportogimbe.it/
[7] https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=75689
[8 ]https://www.agensir.it/italia/2018/10/01/sanita-il-ssn-compie-40-anni-fra-tagli-ai-posti-letto-insufficienza-di-personale-invecchiamento-della-popolazione-e-avanza-il-privato/
[9] http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=82885 | https://infermieripercovid.protezionecivile.it/index.php?r=survey/index&sid=755547&lang=it
[10] https://www.focusicilia.it/2019/12/10/sanita-privata-aumento-italia-somiglia-sicilia/
[11] Giusto per citare il più recente: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/03/06/news/coronavirus-studio-oms-1.345336?preview=true