di HSL*
Risulta poco utile fornire dati numerici precisi perché continuamente in evoluzione, (per chi volesse approfondire tale aspetto rimandiamo a questa mappa); riteniamo invece più interessante analizzare l’andamento macroscopico della curva epidemica nel meridione e apprezzarne la difformità rispetto al Nord. Pur avendo un andamento ugualmente esponenziale – e non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di un modello matematico epidemiologico – al sud la curva sembra crescere meno velocemente che altrove.
Accantonando per un momento le motivazioni biomediche correlate alla velocità di crescita (età media della popolazione, patrimonio genetico, livello di inquinamento ambientale), può risultare utile analizzare tale fenomeno sotto il profilo socio-economico.
Per questo, proviamo a porre in evidenza gli aspetti più macroscopici e strutturati, per cercare anche di proporre, infine, alcuni interventi che siano calibrati rispetto alle esigenze territoriali.
Distribuzione demografica della Popolazione
Se si escludono Napoli e Palermo, nel sud Italia non sono presenti grosse aggregazioni urbane con densità abitativa elevata. In Abruzzo, Basilicata, Campania e Calabria, le percentuali dei comuni al di sotto dei 5.000 abitanti sul totale di comuni presenti in regione, oscillano tra il 62 e 80 %. I centri abitati sono spesso distanti tra di loro e difficilmente raggiungibili; questo, unito ad una età media molto elevata con reti di connessione sociali più ristrette, sta notevolmente rallentando la velocità di circolazione del virus che, banalmente, deve fare più strada per diffondersi.
Inoltre, una volta presentato un cluster anomalo, risulta più facilmente controllabile in virtù della conformazione geografica: è molto più semplice “chiudere” un piccolo comune di 2000 abitanti magari isolato e con una sola strada di ingresso, piuttosto che un quartiere con gli stessi numeri immerso in una metropoli. Va considerato anche il fatto che, per il ristretto flusso economico che generano, questi piccoli centri sono sprovvisti di grossi store della GDO, che hanno rappresentato, prima dell’introduzione dei meccanismi di distanziamento sociale, un luogo centrale per l’esposizione al contagio.
L’approvvigionamento di derrate alimentari è demandato a piccoli negozi che, anche per via dei rapporti sociali esistenti con gli abitanti, si sono attivati da subito nella distribuzione a domicilio. Anche dove questo fenomeno non si è ancora dato, le reti sociali, amicali o parentali (meno fluide di quelle presentati nella metropoli), provvedono ai rifornimenti di cibo e medicinali, riducendo in questo modo la circolazione dei soggetti più fragili.
Assenza di Grossi comparti manifatturieri
Questa
mappa (figura 2) che da un po’ di tempo sta facendo il giro dei social
network, per quanto imprecisa, ci fornisce un ulteriore elemento per la
nostra analisi. A sinistra, sono presenti i principali cluster di
CoVid-19, mentre a destra si rappresentano le zone con alta incidenza di
industrie manifatturiere. Le 2 mappe risultano sovrapponibili in
maniera preoccupante, denunciando una correlazione tra la diffusione del
virus e gli assembramenti operai.
Come è facile intuire, la scarsità di grossi comparti manifatturieri su gran parte del territorio meridionale e la chiusura degli stabilimenti FCA di Melfi e Pomigliano, hanno contribuito a diminuire la velocità di diffusione del virus. La cronica disoccupazione del sud sembra, più che una sciagura, almeno in questa prima fase, una fortuna inaspettata.
Ma mentre non si sa ancora quanto durerà la serrata di FCA, la partita grossa sulla possibilità di contagio nei luoghi di lavoro a sud si sta giocando su 2 comparti lavorativi tra loro agli antipodi. Il primo è quello dei call-center; aver dichiarato essenziale tale comparto nell’ultimo DPCM, ha permesso anche alle aziende che non fanno assistenza ma semplicemente promozione, di continuare a mandare al lavoro decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, aumentando senza motivo il rischio di diffusione virale. Il secondo settore pesantemente esposto al rischio contagio è quello dei braccianti agricoli, che nella quasi totalità sono migranti, ammassati nelle tendopoli di Calabria, Puglia e Campania in condizioni igienico-sanitarie fortemente precarie e assolutamente inaccettabili. L’assenza di acqua corrente, di fognature e di dispositivi di protezione individuale, sta trasformando anche quelle tendopoli autorizzate e disposte dal governo, in bombe epidemiologiche pronte ad esplodere nel silenzio totale.
Le reti di Trasporto Pubblico
nche la scarsità di trasporti pubblici all’interno del meridione Italiano contribuisce ulteriormente a rallentare la curva di crescita del CoVid-19. La mappa proposta (figura 3) è datata, e risulta essere molto generosa rispetto al reale. Molti dei collegamenti locali evidenziati in blu sono stati soppressi. Anche la mobilità pubblica all’interno della città medie o piccole è al collasso e i comuni in deficit continuano a tagliare sui trasporti. Di base, molta della mobilità per studio e lavoro è privata, con piccoli fenomeni di car sharing lasciati all’iniziativa dei singoli. I pochi trasporti presenti sono stati fortemente ridimensionati o soppressi alle prime avvisaglie epidemiologiche nel nord del paese. L’assenza di grossi flussi pendolari, oltre a ridurre le possibilità di contagio durante i viaggio, ha di fatto ridotto gli assembramenti nei pressi delle stazioni ferroviarie e nelle autostazioni.
In un sistema sanitario già al collasso!
Lo scenario fin qui descritto sembra ridurre, almeno momentaneamente, l’impatto del CoVid-19 nel sud del paese. Dato che, tuttavia, non può essere di nessun conforto per il territorio meridionale, vista la già pregressa situazione di fatiscenza del sistema sanitario. Se il numero di casi dovesse aumentare, imploderebbe il sistema intero. Questo perché il sud vive la tragedia di un sistema già fortemente stressato da anni di tagli e commissariamenti, con chiusure di reparti o di interi ospedali, diminuzione drastica dei servizi, lunghe attese per esami o visite ambulatoriali e un’assenza totale di assistenza domiciliare. Emblematico da questo punto di vista il caso della Calabria: in 10 anni di commissariamento imposto alla regione sono stati soppressi il 30% dei posti letto, sono stati chiusi presidi sanitari territoriali (consultori, CSM, poliambulatori, punti nascita ), ridotte di 1/3 le guardie mediche e si sono perse 3700 unità lavorative per il blocco del turn-over. Tutto questo mentre aumentavano le convenzioni alle (finte) cliniche private con il SSN e la spesa regionale complessiva. Fallito quindi l’obiettivo primario per il quale veniva imposto, quello di ridurre le spese, il commissariamento, in Calabria come altrove, si è rivelato per quello che è: uno straordinario acceleratore del processo di privatizzazione. Adesso che le cliniche private non possono o non vogliono ricoverare i pazienti colpiti dal Coronavirus, tale processo svela definitivamente il suo volto che, più che speculativo, è pericolosamente criminale: un vero e proprio attentato alla salute pubblica del Sud.
Economia sommersa e Insorgenze sociali.
Secondo
l’ultimo rapporto Istat, l’80 per cento dei lavoratori risulta
irregolare (quasi 3,7 milioni in tutta Italia) ed è concentrato
soprattutto nelle regioni del Sud. Con tassi di disoccupazione giovanile
che sfiorano il 70% e una economia sommersa che nel meridione arriva a
rappresentare il 30% del PIL, queste settimane di quarantena forzata
stanno mettendo a dura prova le fasce sociali economicamente più deboli.
Il pericolo di insorgenze sociali è talmente forte che già adesso molti
supermercati nei quartieri popolari sono piantonati dalle forze
dell’ordine e persino la ministra Longanesi ha invitato il governo ad
avviare provvedimenti che mirino ad allentare la tensione sociale in
atto. E anche nel massimo momento della più stucchevole retorica di
unità nazionale, c’è chi non rinuncia a produrre comode narrazioni
neocoloniali sulle spalle del sud; in tale direzione si muove
l’informativa protratta dai servizi segreti, che mette in allerta il
governo sulle possibili sommosse popolari, guidate da una regia mafiosa.
Come dire: “‘sti terroni si muovono solo se sono i boss ad ordinarlo”.
Ipotesi di regia che, oltre ad essere stata smentita dai loro amici e colleghi della DDA, mette la mani avanti nel produrre una narrazione che nasconda completamente il carattere politico e sociale di ribellioni, fino ad ora solo ipotetiche.
Mentre chi quotidianamente vive e lotta nei territori sa benissimo quali siano i nomi e i capitali che si nascondono dietro i centri GDO nel sud, e sa benissimo che le organizzazioni criminali, proprio per tutelare i loro capitali, faranno di tutto per impedire che fenomeni rivoltosi ed espropri si verifichino. Chi vive a sud sa benissimo che se delle rivolte ci saranno, verranno guidate dalla pancia, in un sistema in cui non esistono linee di demarcazione nette tra capitali puliti e sporchi, in cui le cabine di regia occulte hanno come interesse primario il mantenimento dell’ordine sociale.
* articolo scritto per infoaut.org