Nelle scorse settimane l’Istat ha pubblicato il report statistico sui Conti economici territoriali relativi al periodo 2016-2018. Il quadro, in termini di crescita e sviluppo per il Mezzogiorno, è a dir poco allarmante.
I dati statistici e soprattutto i valori medi si sa vanno presi con le pinze; sono necessarie le dovute cautele perché un dato sintetico difficilmente può tracciare compiutamente un quadro sociale. Parlare ad esempio di redditi medi vuol dire mettere sulla stessa bilancia tutte le fasce sociali di un determinato contesto territoriale.
Sicuramente però questi dati possono ritornarci utili per tracciare delle tendenze seppur grossolane e di massima.
Un primo dato sul quale riflettere è la oramai conclamata difficoltà del Nord e del Nord-Est a continuare ad essere definita la locomotiva dell’economia italiana che, nella narrazione dominante, la si vuole frenata dal carrozzone meridionale.
In un contesto di crisi permanente infatti, nel 2018 il Pil in volume è aumentato “soltanto” dell’1,4% nel Nord-est e dello 0,7% nel Nord-ovest. Sono oramai da tempo finiti i dati a due cifre comunicati in pompa magna ed usati come grimaldello per secessioni e regionalismi differenziati vari.
Resta comunque confermato il dato storico sulle tendenze economiche nel Paese: il Pil procapite vede in cima alla graduatoria l’area del Nord-ovest con un valore in termini nominali di oltre 36mila euro, quasi il doppio di quello del Mezzogiorno (pari a circa 19mila euro annui), con la Calabria fanalino di coda con circa 17mila euro. Bolzano invece risulta la città con il Pil procapite più elevato: circa 47mila euro. In media, occorre il reddito di cui dispongono 3 cittadini calabresi per eguagliare quello di un solo cittadino di Bolzano!
Le famiglie residenti nel Nord-ovest dispongono del livello di reddito per abitante più elevato (oltre 22mila euro), quasi il 60% in più di quelle del Mezzogiorno (14mila euro). In generale la Calabria risulta fanalino di coda con una diminuzione del Pil in volume pari al – 0,8%.
Il Pil più dinamico quindi nel Nord-Est del Paese con un unico dato positivo (per nulla) sorprendente nel Mezzogiorno riguardante l’espansione del settore costruzioni con un +4,9% nel 2018.
Questi parametri influiscono chiaramente sulla capacità di spesa dei cittadini: nel 2018 in Italia la spesa per consumi finali delle famiglie per abitante, valutata a prezzi correnti, è stata di 17,8mila euro. I valori più elevati di spesa pro capite si registrano nel Nord-ovest (20,6mila euro) e nel Nord-est (20,4mila euro); il Mezzogiorno si conferma, invece, l’area in cui il livello di spesa è più basso (13,7mila euro).
Nel Mezzogiorno l’incidenza più elevata di lavoro irregolare.
Nel 2017, ultimo anno per cui sono disponibili le informazioni, l’economia non osservata (somma della componente sommersa e di quella illegale) rappresenta in Italia il 13,5% del valore aggiunto totale (l’incidenza sul Pil è pari al 12,1%): le componenti più rilevanti in termini di peso sono la rivalutazione della sotto-dichiarazione dei risultati economici delle imprese (6,2%) e l’impiego di lavoro irregolare (5,1%).
L’economia illegale e le altre componenti minori (mance, fitti in nero e integrazione domanda-offerta) incidono per il restante 2,2%.
L’incidenza dell’economia non osservata è molto alta nel Mezzogiorno, dove rappresenta il 19,4% del complesso del valore aggiunto, seguita dal Centro (14,1%). Sensibilmente più contenute, e inferiori alla media nazionale, sono le quote raggiunte nel Nord-ovest e nel Nord-est, pari rispettivamente a 10,6% e 11,4%.
L’incidenza relativa delle tre componenti dell’economia non osservata viene confermata anche a livello ripartizionale; a pesare di più è la rivalutazione da sotto-dichiarazione che raggiunge un picco nel Mezzogiorno (pari all’8,6% del valore aggiunto) mentre nel Nord-ovest si registra il livello più contenuto (4,9%).
La quota di valore aggiunto generato da impiego di lavoro irregolare è significativa nel Mezzogiorno, dove si attesta al 7,7%. In linea con la media nazionale (pari al 5,1%) risulta il Centro, mentre le altre due ripartizioni si collocano al di sotto di tale livello (3,9% il Nord-ovest e 4,1% il Nord-est).
La Calabria è la regione in cui il peso dell’economia sommersa e illegale è massimo, con il 21,8% del valore aggiunto complessivo; l’incidenza più bassa si registra invece nella Provincia Autonoma di Bolzano-Bozen (8,9%).
Puglia e Molise presentano la quota più alta di rivalutazione del valore aggiunto sotto-dichiarato (rispettivamente 9,7% e 8,8%) mentre le quote più basse si registrano nella Provincia autonoma di Bolzano-Bozen (3%) e nella Provincia Autonoma di Trento (3,7%).
Il peso del sommerso dovuto all’impiego di input di lavoro irregolare è particolarmente elevato in Calabria (9,4% del valore aggiunto) e Campania (8,5%), le quote più contenute sono quelle osservate in Lombardia (3,7%) e Veneto (3,9%).
L’analisi Istat si sofferma poi sull’analisi del cosiddetto “valore aggiunto” inteso come l’aggregato che consente di apprezzare la crescita del sistema economico in termini di nuovi beni e servizi messi a disposizione della comunità per impieghi finali. È la risultante della differenza tra il valore della produzione di beni e servizi conseguita dalle singole branche produttive ed il valore dei beni e servizi intermedi dalle stesse consumati (materie prime e ausiliarie impiegate e servizi forniti da altre unità produttive). Corrisponde alla somma delle retribuzioni dei fattori produttivi e degli ammortamenti. Può essere calcolato al costo dei fattori e ai prezzi di base.
Nel 2017 Milano è la provincia con il più elevato valore aggiunto per abitante, pari a 48,7mila euro, quasi il doppio della media nazionale (25,7mila euro). Seguono la Provincia Autonoma di Bolzano-Bozen con 41mila euro e Bologna con 36,3mila.
Con 12,9mila euro Sud Sardegna ha il valore aggiunto per abitante più basso; in posizione solo leggermente migliore si trovano Agrigento e Caltanissetta, con circa 13,5mila euro.
Dal punto di vista dell’importanza dei segmenti produttivi, il contributo maggiore in termini assoluti è fornito quasi ovunque dai Servizi alle imprese, finanziari e immobiliari (che a livello nazionale pesano per il 28,3%), con circa 18mila euro per abitante a Milano e circa 11mila a Roma; il valore aggiunto per abitante del settore è invece il più basso a Vibo Valentia e nel Sud della Sardegna (3,2mila euro).
Anche l’apporto dei Servizi del commercio, di ristorazione e dei trasporti e telecomunicazioni è il più elevato nella provincia di Milano (15,6mila euro per abitante); seguono Bolzano con 11,6mila euro e Roma e Genova con circa 10mila euro. Il valore più basso si registra a Enna con 2,7mila euro.
I Servizi pubblici e gli altri Servizi privati alle famiglie forniscono il maggiore contributo nelle province di Aosta (9,7mila euro), Bolzano (9mila), Roma (8,6mila), e Cagliari (8,3mila). Di nuovo nel Sud Sardegna si riscontra il valore più basso (3,4mila euro).
Il peso dell’Industria è particolarmente rilevante in molte province del Nord-est, in particolare in quelle di Modena (12,9mila), Vicenza (11,9mila euro) e Reggio nell’Emilia (11,2mila). Il valore aggiunto pro capite dell’Industria è, invece, pari a poco più di 700 euro a Caltanissetta e Reggio Calabria.
Il valore aggiunto pro capite del settore delle Costruzioni supera i 2mila euro solo a Bolzano.
Infine, l’Agricoltura fornisce il contributo più significativo nelle province di Bolzano e Pistoia (con circa 2mila euro di valore aggiunto per abitante) e, nel Mezzogiorno, in quelle di Crotone e Oristano (circa 1,6mila euro).
Tra le 10 provincie con il valore aggiunto più distante dalla media nazionale troviamo Cosenza e Vibo.