L’analisi del voto è cosa assai più complessa di un post su facebook. Il momento voto, al netto delle convinzioni individuali sul suo valore intrinseco di scelta autentica e simbolo di democraticità in sé, è comunque un dato rilevante sulla fase e sulla condizione socio-economica di un’area.
Bisogna prima di tutto partire con delle premesse, senza le quali questo scritto avrebbe forse meno senso dei tanti sbotti e rimbrotti che si succedono sui social. Le premesse sono in primis la non omogeneità delle zone in senso socio-economico e culturale, se ciò non fosse il voto esprimerebbe lo stesso significato tanto a L’Aquila quanto a Ficarazzi, tanto a Milano quanto a Napoli; così non è. La seconda si basa sulla possibilità, zona per zona, di orientare il voto o di abbancare un certo numero di voti come tesoretto da vendere al miglior offerente; la storia della DC negli ultimi 15 anni della sua esistenza si reggeva sulle correnti e sulle preferenze che ogni aderente garantiva. La terza è che anche nel nostro assurdo Bel Paese, esiste una composizione sociale divisa per classi, siano esse più o meno evidenti, nella quale per gli strati più disagiati il voto è ancora un momento di scambio, certo uno scambio impari, che spesso si riduce al pagamento di qualche decina di euro o una bolletta scaduta ecc.
Fatte queste precisazioni, possiamo ora operare una sana e doverosa decostruzione delle analisi un tanto al chilo apparse tanto sui social quanto sui giornali. Alla vittoria del centrodestra parecchi sinistrati oppongono l’influenza della ‘ndrangheta, l’incapacità culturale delle masse ignoranti, lo scarso senso civico degli astenuti.
Siamo proprio sicuri che il crimine organizzato voti solo il centrodestra?
La malavita mette a disposizione i sui bacini di voto al miglior offerente, un meccanismo che Sciascia evidenziò già negli anni ’60, quando ancora si riteneva che la parola mafia fosse un’aggettivazione folcloristica o un’invenzione letteraria.
Ricordiamoci che usciamo da un governo regionale targato centrosinistra. Ricordiamoci che Gerardo Mario Oliverio fu eletto con il 61,40% dei suffragi. In questo risultato, ancora più clamoroso di quello attuale, possiamo leggere un sussulto di dignità del popolo calabrese con relativa sconfitta della ‘ndrangheta? Quanto può aver contato il fallimento della gestione Scopelliti nel 2014? Rammentiamo che alle ultime politiche la lega di Salvini ha fatto incetta di voti in Calabria in quanto le cordate che sostenevano Scopelliti si sono “messe a disposizione”.
Ma c’è anche il dato dello scontento che non può non essere preso in considerazione. In quest’ottica quanto ha contato l’immobilismo degli ultimi 5 anni di governo regionale PD che si concludono con una Calabria senza bilancio e con tanti settori fondamentali come la Sanità, Rifiuti e risorse idriche in forte crisi? Il voto a Callipo sarebbe stato per i calabresi più dignitoso del voto alla Santelli? Aiello praticamente abbandonato anche dai suoi amici di partito a Cinque Stelle o Tansi con una lista regionale e due locali potevano, conoscendo il meccanismo elettorale, avere qualche possibilità di vittoria?
A quesiti come questi sarebbe interessante dare delle risposte che siano più precise e ragionate della colpevolizzazione somaresca per gli astenuti o del giubilo altrettanto stolto per l’astensionismo. Un dato letto in maniera diametralmente opposta ma in entrambi i casi suona come una stonatura.
Giudicare chi si astiene come gente incivile che regala la regione alle mafie è uno strale tanto in malafede quanto lo è chi plaude ad un astensionismo consapevole e maturo. Entrambe le letture sono viziate da pregiudizi rugginosi e da miopie strutturali. Chi non va a votare non è né una larva sociale né si è risvegliato militante astensionista. È una parte del corpo sociale semplicemente nauseata e delusa, che forse si è perfino stancata della logica del meno peggio, del voto utile, del turiamoci il naso e votiamo un pesce fetente!
Nei vari discorsi tornano, sempre come colpevoli, i migranti (ovviamente nostrani) che dalle amare Calabrie sono partiti per un altrove, e nonostante ciò vengono sempre tirati per la giacchetta da destroidi e sinistrati di varia risma, da un lato sono delle merdacce incivili perché non tornano a votare, dall’altra (parole della neoeletta governatrice) si vorrebbe chiedere “alle migliori menti calabresi che vivono fuori di restituire (??) almeno un giorno al mese del loro tempo ad aiutare questa terra”.
Quindi la colpa è sempre di chi parte (quando non è sempre di chi arriva), non importa che qui non si riesca a lavorare senza sottostare a ricatti di ogni sorta, ma uno deve sentirsi pur colpevole per non voler sottostare a tutto ciò. Qui siamo alla follia!
Non meno assurda è l’analisi che vede nella bassa affluenza un presunto astensionismo attivo, un moto di coscienza che rifiuta la delega, se così fosse per riempire le piazze non avemmo bisogno delle sardine, ma sarebbero bastate le centinaia di chiamate per protestare contro lo sfacelo dei territori, l’emergenza rifiuti, il dissesto del servizio idrico, la sanità alla rovina ecc. dove albergherebbe questo moto di coscienza, questo attivismo inespresso, quando serve o nel lavoro quotidiano sui territori?
Purtroppo il discorso, come si è appena dimostrato, è molto più vasto dell’analisi della semplice astensione o della capacità della ‘ndrangheta di spostare i voti in quanto o questa capacità c’è sempre o non c’è mai! Non si può urlare ai voti pilotati solo quando vince chi non piace. Passiamo all’incapacità culturale delle masse ignoranti.
La questione è assai più complessa di un dualismo tra astensione e voti pilotati. Altrimenti non si spiegherebbe il fenomeno grillino e questo non per validare la retorica di un Di Maio che afferma che la rivoluzione passa da una matita. È una retorica che non funziona più almeno da quando il popolo italiano ha dato a loro questa possibilità di rivoluzionare tutto.
L’italiano stanco e depresso ci aveva creduto, ha votato il vento grillino, ma, da quando ci sono i 5 stelle al governo nella versione giallo-verde o giallo-arancio, dove è che si è manifestata in tutta la sua potenza questa nuova fase rivoluzionaria?
Ritorniamo alla massa ignorante e pecoreccia. Chi ha mai fatto dei test attitudinali per comprendere la reale capacità delle masse di scegliere bene una volta arrivate alle urne? Ma soprattutto perché – parliamo ai sinistrati – quelle masse che diedero il 61,40% ad Oliverio sarebbero tutto d’un tratto diventate incapaci di intendere e di volere?
Il problema è un altro, molto più multiforme. Non è affatto vero che basta un X per cambiare il mondo. Non è affatto vero che le rivoluzioni si fanno dal divano di casa mettendo un mi piace all’ultimo discorso di Di Maio o all’ultima citofonata di Salvini. Non è affatto vero che sia un buon investimento delegare totalmente la responsabilità del governo a qualcun altro, dare carta bianca al salvatore di turno.
Dove siamo tutti noi tra un’elezione e l’altra? Dopo aver apposto un X su un pezzo di carta la maggioranza dei calabresi si interessa del bene comune? Ci interessiamo del problema della gestione dei rifiuti, dell’utilizzo dei fondi pubblici, dell’edilizia pubblica e sociale, di come vengono stabilite e realizzate le “grandi opere” almeno allo stesso livello di quanto ci interessano le ultime esternazioni della D’Urso, le ultime uscite dalla Casa del Grande Fratello, le ultime indiscrezioni sul Festival di Sanremo, le ultime boutade di Salvini?
Analizzate gente, scrivete post, ma purtroppo la realtà alle nostre latitudini è più complessa di quanto si pensi, anche se la soluzione potrebbe essere più semplice di quanto appaia, basta non affidarsi alle crocette e ai pifferai della provvidenza!
Questa cosa costa lavoro, un lavoro che si chiama partecipazione e che spesso non regala i frutti sperati ma che sempre fa fare piccoli o grandi passi in avanti. Conoscete una via più semplice? Parliamone!
MALANOVA VOSTRA!