Il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale della Fondazione GIMBE effettua una ricognizione dei tre elementi fondamentali oggetto delle analisi del Rapporto: le tutele offerte dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con i livelli essenziali di assistenza (LEA); le modalità di erogazione dei LEA e le relative criticità; le componenti della spesa per la salute: spesa sanitaria, spesa sociale di interesse sanitario e spesa fiscale relativa alle agevolazioni fiscali per spese mediche e fondi sanitari. La spesa per la salute in Italia nel 2017, complessivamente, ammonta a € 204.034 milioni, di cui € 154.920 milioni di spesa sanitaria, € 41.888,5 milioni di spesa sociale di interesse sanitario e € 7.225,5 milioni di spesa fiscale. La spesa sanitaria include € 113.131 milioni di spesa pubblica e € 41.789 milioni di spesa privata, di cui € 35.989 milioni a carico delle famiglie (out-of-pocket) e € 5.800 milioni di spesa intermediata. In termini percentuali, nel 2017 il 27% della spesa sanitaria è privata e di questa l’86,1% è sostenuta dalle famiglie. In particolare, per i trend 2000-2017 sono stati utilizzati i dati della Ragioneria Generale dello Stato che documentano la progressiva riduzione della spesa sanitaria: a fronte di un tasso di crescita medio annuo del 7,4% nel 2001-2005, il tasso nel 2006-2010 scende al 3,1%, quindi allo 0,1% nel periodo 2011-2017. L’imponente riduzione della spesa sanitaria, che ha portato negli ultimi anni ad un sostanziale pareggio di bilancio, non riflette trend omogenei tra i differenti aggregati di spesa, determinando una loro significativa ricomposizione rispetto al totale della spesa pubblica. In particolare, oltre che sulla farmaceutica convenzionata, il contenimento della spesa ha gravato sul personale: infatti, per i redditi da lavoro dipendente l’incidenza è scesa dal 39,8% del 2000 al 30,7% del 2017, mentre per l’assistenza convenzionata il peso percentuale del 2017 (5,9%) è identico al 2000.
Spesa sanitaria privata. La spesa out-of-pocket secondo ISTAT-SHA ammonta a € 35.989 milioni, comprensivi di € 2.884,6 milioni di ticket, di cui € 1.548 milioni per farmaci e € 1.336,6 milioni per prestazioni specialistiche. Tuttavia, a fronte dell’entità della spesa delle famiglie, di fatto “alleggerita” da € 3.864,3 milioni di rimborsi IRPEF, il Rapporto dimostra che circa il 40% non compensa minori tutele conseguenti al ridotto finanziamento pubblico, ma è frutto di scelte individuali o di consumismo sanitario. Ancora più complessa l’analisi della spesa intermediata sia per variabili e criticità che condizionano la tracciabilità dei flussi economici, sia per l’assenza di rendicontazione pubblica. Tenendo conto dei limiti relativi ad affidabilità di fonti e dati e alla possibile sovrapposizione di alcune cifre, per l’anno 2017 si stima una spesa intermediata di € 5.800 milioni (13,9% della spesa privata), sostenuta da varie tipologie di “terzi paganti”: € 3.912 milioni da fondi sanitari/polizze collettive, € 711 milioni da polizze assicurative individuali, € 1.117 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e imprese. La spesa sociale di interesse sanitario, in larga parte riconducibile al grande contenitore della long term care, per il 2017 è stimata in € 41.888,5 milioni, di cui: € 949,1 milioni relativi al fondo nazionale per la non autosufficienza (€ 513,6 milioni) e al fondo regionale dell’Emilia Romagna (€435,45 milioni); € 27.853,4 milioni erogati dall’INPS per pensioni di invalidità previdenziale, prestazioni assistenziali (indennità di accompagnamento e pensioni agli invalidi civili) e permessi retribuiti; € 3.977 milioni per prestazioni in denaro e natura da parte dei Comuni; la stima della spesa diretta delle famiglie ammonta a € 9.109 milioni per servizi di badantato regolari (€ 5.009 milioni) e per i costi indiretti per mancato reddito dei caregiver (€ 4.100). Le stime della spesa per le badanti irregolari (compresa tra € 6.185,9 e € 9.776,4 milioni) non sono state incluse nel computo totale.
La spesa fiscale ammonta a € 7.225,5 milioni ed è relativa a deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie (€ 3.864,3 milioni) e a contributi versati a fondi sanitari integrativi e società di mutuo soccorso (€ 3.361,2), cifra ampiamente sottostimata per l’indisponibilità dei dati delle imprese e del welfare aziendale. Utilizzando l’innovativo approccio della value-based healthcare, il Rapporto documenta che la spesa sanitaria nelle sue tre componenti (pubblica, out-of-pocket e intermediata) ha un ritorno molto variabile in termini di salute (value for money) in ragione di risorse erose da sprechi e inefficienze che non si traducono in servizi (no value expenditure) o che sono utilizzate per servizi e prestazioni dal value basso o negativo (low/negative value expenditure), in quanto rispetto al costo determinano benefici nulli o marginali e possono anche generare rischi maggiori dei benefici. Le stime effettuate dimostrano che il 19% della spesa pubblica viene eroso dalla sommatoria di no value expenditure e low/negative value expenditure; per la spesa out-ofpocket la percentuale high value è intorno al 60%, mentre il rimanente 40% è utilizzato per l’acquisto di beni (prodotti farmaceutici e medicali) irrilevanti per la salute e di servizi inappropriati (specialistica e diagnostica ambulatoriale), oppure per prestazioni esigibili dal cittadino secondo modalità e tempi del SSN senza conseguenze in termini di salute. Della spesa intermediata da fondi e assicurazioni almeno il 40% non si traduce in servizi per costi amministrativi; il resto si distribuisce equamente tra prestazioni extra-LEA e servizi di specialistica e diagnostica ambulatoriale (di cui una metà dal low/negative value). Considerato che sulla spesa sanitaria totale si stima un 9% di no value expenditure (€ 14.142 milioni) e un 16% di low/negative value expenditure (€ 24.560) è indispensabile avviare riforme sanitarie e fiscali, oltre che azioni di governance a tutti i livelli per ridurre al minimo i fenomeni di overuse e underuse, che determinano gravi conseguenze cliniche, sociali ed economiche, e aumentare il value for money di tutte le forme di spesa sanitaria.
Le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze ed espansione incontrollata del “secondo pilastro”, a cui si aggiungono due “fattori ambientali” che rendono insalubre l’habitat del SSN: la non sempre leale collaborazione di Governo e Regioni, oggi ulteriormente perturbata dalle istanze di regionalismo differenziato, e le irrealistiche aspettative di cittadini e pazienti.
Definanziamento pubblico. Nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al SSN poco più di € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per la sommatoria di varie manovre finanziarie e € 12,11 miliardi nel 2015-2019 per la continua rideterminazione al ribasso dei livelli programmati di finanziamento. L’aumento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è di € 8,8 miliardi, in media dello 0,9% per anno, percentuale inferiore all’inflazione media annua (+1,07%). Guardando al futuro la Legge di Bilancio 2019 ha confermato il miliardo già assegnato dalla precedente legislatura per il 2019 a cui si aggiungono € 2 miliardi nel 2020 e ulteriori € 1,5 miliardi nel 2021, per un incremento complessivo di € 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021. Ma tali risorse, oltre che ad ardite previsioni di crescita economica, sono subordinate alla stipula di una Intesa Stato-Regioni sul Patto per la Salute 2019-2021 tutta in salita, visto che la situazione economica del Paese non permette di escludere il rischio di nuovi tagli alla sanità. Il DEF 2019 mantiene il trend dei precedenti con ottimistiche previsioni sulla spesa sanitaria nel medio termine che si ridimensionano bruscamente a breve termine: il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce infatti dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022, rendendo illusorio un aumento della spesa sanitaria di oltre € 7,6 miliardi nel periodo 2018- 2022 (+6,6%). A seguito di questo imponente e progressivo definanziamento, la spesa sanitaria in Italia è ormai vicina a quella dei paesi dell’Europa Orientale: la percentuale del PIL destinato alla spesa sanitaria totale nel 2017 è di poco superiore alla media OCSE (8,9% vs 8,8%) e vede l’Italia fanalino di coda insieme a Spagna e Irlanda tra i paesi dell’Europa occidentale. Ma soprattutto, la spesa pro-capite totale è inferiore alla media OCSE ($ 3.542 vs $ 3.807), posizionando il nostro Paese in prima posizione tra i paesi più poveri dell’Europa.
Nuovi LEA. Il Rapporto GIMBE analizza le criticità relative a definizione, aggiornamento e monitoraggio dei LEA e quelle che condizionano l’erogazione e l’esigibilità dei nuovi LEA in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. In particolare, a 30 mesi dalla pubblicazione del DPCM sui nuovi LEA, gran parte delle nuove prestazioni ambulatoriali e protesiche non è ancora esigibile per mancata pubblicazione del “decreto tariffe” in ostaggio del MEF per mancata copertura finanziaria. Il Rapporto sottolinea l’inderogabile necessità di rivalutare tutte le prestazioni inserite nei LEA, facendo esplicito riferimento a un metodo rigoroso basato sulle evidenze e sul value al fine di effettuare un consistente “sfoltimento” e mettere fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il “paniere LEA” più ricco (almeno sulla carta) ed un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa. Relativamente al monitoraggio, la griglia LEA, strumento ormai appiattito e poco efficace per identificare gli inadempimenti, sarà finalmente sostituita dal 2020 dal nuovo sistema di garanzia, la cui prima sperimentazione documenta che solo 9/21 Regioni sono adempienti ai LEA.
Sprechi e inefficienze. Mentre in Italia si disquisisce sull’esistenza degli sprechi, sulla loro reale entità e sull’impossibilità del disinvestimento, un recente report dell’OCSE, confermando che la riduzione di sprechi e inefficienze è una delle strategie per rendere i sistemi sanitari più efficaci e resilienti, riporta le stime del precedente Rapporto GIMBE. Per l’anno 2017 sul consuntivo di € 113.131 milioni di spesa sanitaria pubblica la stima ammonta a € 21.495 milioni (±20%: range € 17.196-25.794 milioni). Per ciascuna categoria di sprechi una “carta di identità” riporta definizione, determinanti, tassonomia, esempi, normative e iniziative nazionali ed internazionali, oltre che le stime delle risorse erose: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,45 miliardi), frodi e abusi (€ 4,73 miliardi), acquisti a costi eccessivi (€ 2,15 miliardi), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,22 miliardi), inefficienze amministrative (€ 2,36 miliardi), inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,58 miliardi).
Espansione del secondo pilastro. Il Ministero della Salute per il 2017 attesta l’esistenza di 322 fondi sanitari per un totale di 10.616.847 iscritti che includono anche pensionati e familiari. Se per usufruire dei vantaggi fiscali i fondi sanitari dovrebbero destinare almeno il 20% del totale delle risorse a prestazioni vincolate (extra-LEA), nel 2017 tale percentuale si attesta al 32,4% di € 2.230 milioni di risorse impegnate. Due i dati di particolare rilevanza: secondo gli operatori del settore, l’85% dei fondi sono gestiti da compagnie assicurative e la spesa fiscale, largamente sottostimata, ammonta a € 3.361,2 milioni. Il Rapporto analizza poi il complicato intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale che popolano l’ecosistema dei “terzi paganti” e valuta gli “effetti collaterali” del secondo pilastro. Infatti, grazie ad un impianto normativo frammentato e incompleto i fondi sanitari integrativi sono diventati prevalentemente sostitutivi, aumentano le diseguaglianze e medicalizzano la società con prestazioni inappropriate che possono danneggiare la salute delle persone. Considerato che i fondi sanitari sono garantiti da una quota consistente di denaro pubblico sotto forma di spesa fiscale, e che buona parte di questa alimenta business privati, il Rapporto conferma che il “secondo pilastro”, a normativa vigente, non sostiene affatto il SSN bensì spiana la strada alla privatizzazione.
La prognosi del SSN: al 2025, rivalutando il fabbisogno di spesa sanitaria a € 230 miliardi per una spesa pro-capite di circa € 3.800, cifra al di sotto della media 2017 dei paesi del G7. L’incremento della spesa sanitaria totale entro il 2025 è stato stimato in € 28 miliardi, di cui € 12 miliardi di spesa pubblica e € 16 miliardi di spesa privata, che permetterebbero di raggiungere nel 2025 una cifra di € 183 miliardi. Il potenziale recupero di risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze entro il 2025 è stato rivalutato in circa € 36 miliardi, potenzialmente recuperabili attraverso interventi strutturali e organizzativi e, soprattutto, disegnando e attuando un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi. Considerato che per raggiungere il fabbisogno stimato nel 2025 mancherebbero comunque € 37,6 miliardi, servono scelte politiche ben precise per un potenziamento del SSN: accanto ad un consistente rilancio del finanziamento pubblico, è necessario ridefinire il perimetro dei LEA, rivalutare le agevolazioni fiscali per le spese mediche e soprattutto per i fondi sanitari e welfare aziendale e ripensare, nell’ottica di un fondo socio-sanitario nazionale, alle modalità con le quali viene oggi erogata la spesa sociale di interesse sanitario.
Il “piano di salvataggio” del SSN in 12 punti elaborato e aggiornato dalla Fondazione GIMBE:
• Mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali
• Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità e evitare continue revisioni al ribasso
• Aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle loro autonomie
• Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali condizionano la salute e il benessere delle persone
• Ridisegnare il perimetro dei livelli essenziali di assistenza secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia
• Ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria ed eliminare il superticket
• Lanciare un piano nazionale per ridurre sprechi e inefficienze e reinvestire le risorse recuperate in servizi essenziali e innovazioni
• Avviare un riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione
• Regolamentare l’integrazione pubblico-privato e la libera professione secondo i reali bisogni di salute
• Rilanciare politiche e investimenti per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari
• Finanziare ricerca clinica e organizzativa con almeno l’1% del fabbisogno sanitario nazionale
• Promuovere l’informazione istituzionale per contrastare le fake news, ridurre il consumismo sanitario e favorire decisioni informate Per l’attuazione del Piano di Salvataggio il Rapporto avanza proposte di riforme di rottura per l’attuale sistema di finanziamento, pianificazione, organizzazione ed erogazione dei servizi sanitari, auspicando possano informare sia la stesura del Patto per la Salute 2019-2021, sia le prossime decisioni dell’Esecutivo.