L’antifascismo ha ottenuto un risultato importante, che farà precedente: Casapound è fuori dal Salone internazionale del libro di Torino. Aprire la contraddizione è servito, eccome se è servito. Dare un segnale chiaro è stato determinante. Grazie a tutte e tutti quelli che, insieme a noi, lo hanno dato.
Eppure nei giorni scorsi il dibattito ha avuto momenti molto tossici e, nel vortice di “voltairismi” d’accatto, pseudo-obiezioni, diversivi, sfondoni e hashtag malissimo concepiti, pochi speravano nel buon esito della lotta.
Abbiamo compilato, come strumento utile per il futuro, un glossario di equivoci e malintesi rimbalzati sui giornali e sui social media, dopo l’annuncio che non avremmo partecipato al Salone per non condividere quello spazio con un editore fascista.
Ne abbiamo individuati otto, che a nostro avviso raccontano qualcosa sull’Italia dei libri, su come oggi viene percepita e percepisce se stessa. E forse anche qualcosa di più.
1. «Libertà di espressione»
Credere nella libertà d’espressione non significa considerare ogni espressione equivalente a qualunque altra. Ci sono idee alle quali non si può concedere la dignità del dibattito, perché rappresentano la negazione di ogni dibattito – e lo hanno dimostrato in mille occasioni. Non si può concedere spazio a chi difende e inneggia al nazifascismo, perché non si tratta di una semplice «idea», della quale discettare belli comodi, seduti sul divano. Nelle strade i fascisti ancora prevaricano, bastonano e uccidono. Per questo vanno tenuti fuori dalla porta e gli va conteso il terreno oltre quella porta.
Non può esserci alcun confronto con chi diffonde odio per una parte della specie umana e fa della violenza sui deboli la cifra del proprio predicare e agire. Questo a prescindere da quanti e quali reati costoro possano avere commesso in nome di certe idee. Lo abbiamo detto e non siamo stati i soli: il problema non è legale, ma politico e culturale. Per affrontarlo non serve un magistrato, ma determinazione e senso di responsabilità.
Forti della vittoria ottenuta a Torino, gli organizzatori di feste del libro, rassegne, kermesse e fiere editoriali vanno messi di fronte alla necessità di scegliere: se vuoi dare spazio a un editore fascista, non avrai autori antifascisti, né sopravvissuti all’Olocausto o vecchi partigiani. La cultura non si può piegare al modello del supermercato, dove puoi trovare tutto, dal biologico all’OGM, dalla frutta esotica al Km Zero. La scelta deve farla chi organizza e non soltanto il consumatore. Perché i libri e la cultura non sono una merce qualsiasi e diffondere certi contenuti comporta delle conseguenze.
2. Lezioni di antifascismo
Il nostro è stato un gesto unilaterale e non abbiamo mai detto o pensato che fosse l’unico efficace nella battaglia antifascista. Il movimento No Tav ci ha insegnato che ogni forma di lotta è legittima, purché non danneggi quella degli altri. Chi vuole pregare, prega. Chi vuole tagliare le reti di un cantiere, le taglia. Se le questioni tattiche monopolizzano la discussione, si finisce per perdere di vista gli obiettivi strategici. Disquisire se sia più «culturalmente efficace» andare o non andare a Torino ha rischiato di far uscire dal mirino i veri bersagli, cioè la presenza di Altaforte al Salone e le responsabilità del comitato d’indirizzo.
Una scrittrice o scrittore va al Salone per fare il proprio lavoro: presentare un libro. Dunque la nostra azione è stata simile a uno sciopero politico, una forma di lotta e di protesta che vanta una consolidata tradizione. Proprio perché con i fascisti non si dialoga, il destinatario della nostra azione non era Altaforte, ma il comitato di indirizzo del Salone, che aveva permesso a costoro di acquistare uno stand, quando avrebbe potuto benissimo escluderli dalla fiera fin dal principio.
Per farlo, non aveva certo bisogno di una sentenza per apologia di reato. Ci sono molte amministrazioni comunali, compresa quella di Torino, che per concedere sale, spazi e suolo pubblico chiedono una dichiarazione scritta di antifascismo, in nome della Costituzione italiana. Non è certo un’arma fine-di-mondo, ed è facile aggirarla, ma quantomeno dimostra che si può evitare di offrire a certi soggetti un comodo palcoscenico.
Ecco perché abbiamo indetto lo sciopero, e accusare chi sciopera di abbandonare il campo di battaglia è una stupidaggine che si commenta da sé. Ma abbiamo dovuto sentire anche questo, e da parte di colleghe e colleghi che evidentemente si sentono in diritto di dare lezioni agli altri. Ci spiace, ma va detto: non è stato grazie a loro che si è vinta questa lotta.
3. «L’Aventino»
Per alcuni la scelta nostra e di chi come noi ha annunciato il proprio ritiro dal Salone equivaleva a una «secessione dell’Aventino», e quindi a un errore, visto che l’abbandono del parlamento da parte di alcuni deputati nel 1924 non indebolì il regime fascista.
Innanzitutto, è bene sottolineare che il problema della secessione aventiniana non fu la secessione stessa, bensì il suo scarso tempismo: Mussolini era già andato al potere con la violenza e i brogli e aveva già svuotato il parlamento di ogni significato. La mossa non poteva che concludersi in un insuccesso.
Detto questo, ci tocca ricordare che il Salone del libro di Torino non è il parlamento della repubblica democratica dei lettori, la quale si riunisce in tanti altri luoghi e circostanze. Il Salone è un evento importante, senza dubbio, ma copre solo cinque giorni all’anno e non è certamente l’unico presidio culturale antifascista – anzi: ci sono fronti ben più attivi e più avanzati. Chi ha chiamato in causa l’Aventino, scambia – o finge di scambiare – il Salone per il mondo intero e il mondo intero per un Aventino.
4. «Dare ai fascisti questa visibilità significa far loro un favore.»
Quanto detto sopra, dimostra che nel combattere il fascismo è necessario, come in tante altre lotte, agire per tempo. Parlare di un fenomeno preoccupante quando è già diffuso, significa farlo quando è troppo tardi. Chi non conosceva Altaforte e la galassia dell’editoria nera dovrebbe ringraziare quanti l’hanno additata all’attenzione degli antifascisti. Anche perché molte realtà dell’estrema destra amano giocare a nascondino: si presentano davanti agli ipermercati per raccogliere cibo per i poveri, salvo poi distribuirlo con criteri razzisti e buttare fuori di casa rom e stranieri. Dare loro visibilità non è affatto fargli un favore.
La situazione a cui siamo giunti in questo paese è il risultato dell’atteggiamento lassista di chi per anni ha guardato con sufficienza all’antifascismo militante, come fosse qualcosa di residuale e superfluo, suggerendo piuttosto di ignorare i fascisti, visti come fenomeno nostalgico e folkloristico. Ed ecco che da qualche anno i fascisti flirtano con chi sta al governo. Altaforte pubblica un libro intervista con il ministro dell’Interno e fa riferimento a una forza politica che si presenta alle elezioni. La regione Veneto, di recente, ha acquistato per le scuole centinaia di copie di un fumetto inguardabile prodotto da Ferro Gallico, un’altra casa editrice neofascista, distribuita da Altaforte.
Anche se non stiamo parlando di grandi numeri, costoro godono di appoggi politici e mettono in atto le loro strategie indipendentemente dalla visibilità – e in certi casi, proprio grazie all’indifferenza generale.
La mappa delle aggressioni di matrice fascista, su e giù per la Penisola, mostra come la violenza di strada faccia parte del repertorio “retorico” di questa gente, pronta a metterla in atto senza troppe remore.
5. «Mentre voi vi occupate di questo, Casapound si prende le periferie!»
Altra fallacia logica. Occuparsi di una cosa non significa ignorarne un’altra. La battaglia antifascista si conduce su più fronti. Cioè su tutti i fronti. E non c’è bisogno di ricordare quali e quanti sono quelli che abbiamo frequentato, in oltre vent’anni di lavoro politico e culturale.
6. Mi si vede di più se vado o se non vado?
Per alcuni particolarmente dediti a scimmiottare le prese di
posizione altrui la questione si riduce al celebre quesito “morettiano”,
non ci sarebbe alcuna sostanza in questa protesta, sarebbe soltanto una
gara tra scrittori a chi si fa notare di più. Sminuire i termini del
dibattito è l’argomento salva-coscienza per qualunque immobilista
paraculo: chi fa, lo fa per farsi vedere. E allora tanto vale non fare
niente, o tutt’al più pontificare e tirare frecciatine dalle pagine di
qualche quotidiano o blog.
Praticamente il secondo sport nazionale.
7. Giammai accodarsi a Wu Ming!
Inutile nasconderselo: per alcuni il malcelato problema è stato chi ha aperto le danze. O anche l’eventualità stessa di accodarsi a chicchessia, guai a passare per gregari. Men che meno gregari di quei “cinesi”… Forse per questo il primo ad “accodarsi” è stato un signore che di queste menate può farsene un baffo, Carlo Ginzburg.
Tuttavia, proprio perché sappiamo di stare sulle balle a molti, non abbiamo promosso azioni collettive, boicottaggi o grandi campagne. Abbiamo voluto soltanto porre una questione, con uno degli strumenti che abbiamo a disposizione.
8. Individualisti & divisivi?
Qualcuno ci ha scritto che avremmo fatto meglio a concordare con altri una linea comune. Quali altri? Non esiste un’assemblea permanente degli scrittori, i quali sono un paradossale branco di cani sciolti, spesso fin troppo intenti a cullare le loro malattie professionali, come il narcisismo e la voglia di distinguersi, per poter condividere una presa di posizione forte. In questo frangente ogni scrittore, editore, addetto ai lavori, ha scelto in coscienza come comportarsi e quali gesti mettere in atto. Ed è giusto così. Ci sono azioni che hanno senso solo se sono collettive e altre che si possono fare anche da soli, specie quando la risposta da dare è urgente e non c’è modo di organizzarsi meglio.
Noi non abbiamo linee di condotta da dettare ai colleghi. Siamo consapevoli che col nostro atto di sottrazione abbiamo spinto altri a scegliere. Li abbiamo costretti a schierarsi, a prendere posizione, ciascuno con le proprie parole e sfumature di discorso. Ben venga. Che gli scrittori si schierino non può far loro che bene.
Di sicuro ha fatto bene alla causa antifascista.
Oggi Casapound ha uno spazio di meno da inquinare.
Lo sdoganamento dei camerati nel mondo culturale ha subito un’importante battuta d’arresto.
E adesso, metro dopo metro, vanno ricacciati indietro.
Vanno cacciati non solo dai festival letterari, ma dalle strade, dai quartieri, dalle città.
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P.S. Per chi vorrà incontrarci al Salone, saremo là domenica 12 maggio, alle ore 11:30, Sala Bronzo, per la presentazione de Il fabbro di Oxford (Eterea Edizioni)