I giornali specialistici e non sono pieni di immagini che corredano l’allarme lanciato da molti scienziati relativo all’accumulo nei nostri mari di sostanze plastiche non biodegradabili. Si moltiplicano le foto di balene spiaggiate con all’interno dello stomaco teloni ed altro materiale, di tartarughe o foche impigliate in reti e di altri pesci catturati nelle buste di plastica usa e getta. Altri studi mettono in dubbio persino la biodegradabilità di alcune plastiche di origine vegetale.
Tutti condividono ormai l’assoluta necessità di mettere al bando non tanto la plastica come materiale ma della cultura “usa e getta” che si è diffusa a macchia d’olio fin dentro le nostre case.
Pardon! Non proprio tutti. Il giornale degli industriali, il SOLE 24 ORE, in un articolo del 5 Maggio, fa una sorta di agiografia della plastica. Partendo dal dato economico/produttivo che fa dell’industria italiana un leader mondiale nel comparto della plastica con particolare riferimento a quella biodegradabile.
“Secondo l’Istituto di promozione del riciclo della plastica (Ippr), nel 2018 sono stati prodotti in Italia beni di plastica per 5,8 milioni di tonnellate alle quali si aggiungono circa un milione di tonnellate di plastiche riciclate. Il censimento della Federazione Gomma Plastica Unionplast dice che l’industria italiana di lavorazione delle plastiche è formata da 11mila imprese per un fatturato di oltre 30 miliardi di euro: di queste, 5mila sono le imprese attive nel primo stadio della lavorazione delle plastiche.
Secondo uno studio dell’Assoambiente, nel suo complesso l’industria della gestione dei rifiuti vale 28 miliardi di euro, di cui 11,2 miliardi per i rifiuti urbani (dato Ispra), 16,9 miliardi per i rifiuti speciali (stima Assoambiente); per tutti i tipi di materiali, ci sono circa 7200 impianti di riciclo che occupano circa 135 mila addetti.”
Così il giornale dalle pagine oro non può che provare a smontare alcune di quelle che ritiene delle favolette sulla plastica. Prima favoletta. La plastica è igienica, infrangibile e leggerissima, conserva in modo sterile e duraturo gli alimenti, a differenza di materiali spesso pesanti, degradabili, contaminanti e fragili usati da chi aborre la plastica o da chi predilige il vuoto a rendere. Quindi la plastica sarebbe sicura, molto più sicura ed igienica della ceramica, del vetro o dell’acciaio, e non importa a nessuno che le bottiglie di plastica esposte al sole rilascino elementi dannosi per l’organismo (come si evince da tutte le etichette) o che ingurgitiamo microparticelle plastiche ad ogni pasto con effetti nefasti.
Seconda favoletta che gli industriali provano a smontare. E’ vero che gli oceani siano pieni di plastica ma questo è a causa di quei popoli che non hanno raggiunto il nostro grado di civiltà e non hanno un sistema di raccolta differenziata adeguato. Lo stesso articolo però riporta un’esperienza fatta sul fiume Po dove hanno sperimentato una diga ferma plastica. In quattro mesi, da luglio a novembre scorsi, la barriera di Pontelagoscuro ha fermato tre quintali di rifiuti che sul filo della corrente scivolavano verso l’Adriatico, di cui 92,6 chili (il 41%) di plastica. L’articolista si consola dicendo che percentualmente è un bottino sicuramente inferiore a quello che trandita nei fiumi di altri continenti dimenticando anche che però il Mediterraneo è un mare chiuso rispetto alla grandezza dell’Oceano ed anche piccole quantità di rifiuti diventano micidiali. Basta ricordare la ricerca fatta qualche mese fa nello stretto di Messina.
L’ultima favoletta che trattiamo è quella definitiva per comprendere la cattiva coscienza del quotidiano. Quarto. “L’uso della plastica impiegata come combustibile non è la risposta ai problemi ma è indispensabile come strumento — quanto più limitato possibile — per ridurre gli scompensi di mercato. Se viene bruciata in modo appropriato per produrre energia in sostituzione di combustibili fossili, la plastica ha un destino migliore rispetto a quella gettata oppure accumulata in depositi abusivi facile preda di ben altre fiamme”.
Questa è una vera e propria apologia del mercato e degli inceneritori. Non servono a nulla le pile enormi di studi che attestano la pericolosità di questi impianti per la salute umana e per l’ambiente. Meglio “termovalorizzare” la plastica che assistere a scenari tipo la terra di fuochi, sostiene il SOLE. Nessun dubbio sul fatto che in realtà il meglio passa dal non produrre affatto materiali non compatibili con il naturale circolo che porta tutte le cose a trasformarsi agevolmente per portare utile all’intero sistema. La mucca mangia l’erba, la rumina, poi la defeca rendendo i pascoli nuovamente produttivi per la crescita di nuova erba.
Dai diamanti non nasce niente…dalla plastica l’inceneritor!
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