Contributo di Domenico Bilotti al dibattito per la costruzione di un movimento antipenale e abolizionista (da osservatoriorepressione.info)
Negli ultimi vent’anni due temi sono stati violentemente e brutalmente incorporati dalla vita politica italiana, che li attua e declina come sistematica ricerca del consenso (un consenso poggiato su promesse irrealizzabili e su ovvietà, ma questo e’ un altro discorso).
Al centro dell’agenda elettorale stanno continuamente e, anzi, ormai organicamente, il diritto dell’economia e il diritto penale. Sembrano due piani radicalmente diversi, invece e’ proprio questa stessa dinamica di potere che vuole tenerli uniti soltanto a proprio utile. La politicizzazione elettorale del diritto dell’economia si salda alla crisi sociale del Paese. Crisi sociale, non solo economica, perche’ non e’ solo questione di indici, trend e percentuali.
E’ una crisi sociale perché non si usano ne’ si vedono strumenti per creare il lavoro che manca e per raggiungere quello che serve. E’ crisi sociale perché chi e’ sbattuto fuori dal mercato del lavoro dopo i 45 anni non ha alcuna concreta chance di riqualificazione. E’ crisi sociale perché arretrano le prestazioni sanitarie (nonostante la scienza medica italiana non sia mai stata così internazionalmente legittimata) e perché almeno due generazioni di Italiani, tra i 25 e i 40 anni, rischiano di morire (si) senza avere mai conosciuto lavoro stabile e pensione.
Crisi sociale, ancora, perché mai come in questo periodo il senso delle cose e’ prodotto da una propaganda sconclusionata, che fa credere un problema epocale e una vittoria politica potere o dovere respingere in alto mare poche decine di disperati.
Il diritto dell’economia che va creandosi e’ un diritto “falciato”: l’alto credito speculativo si salva in corner anche quando affoga il risparmio. E questi salvataggi in frode sono pagati da sacrifici sociali: più che una cintura che si stringe, sembra un cappio che si annoda. E il boia ha da sempre il volto coperto. Speculare a questo processo e’ l’identica strumentalizzazione (lo stesso abuso!) del diritto penale. Una società insicura sollecita provvedimenti immediati, atti che servono a placare il tradimento dei bisogni essenziali.
Lo dimostra l’enfasi con cui e’ stato proposto l’allargamento della legittima difesa: che tu abbia qualcosa o non abbia nulla, armati e difendilo. Lo comprova la crescente e conseguente criminalizzazione del disagio sociale: più si e’ esclusi dai meccanismi legali di produzione e consumo, più si viene avvicinati all’illecito, alla criminalizzazione e chissà un domani (o un oggi, tra qualche ora) persino allo svuotamento della capacità giuridica e della dignità umana.
Il pugno di ferro, la pena statale che si fa universo della vendetta privata e la supremazia della ricchezza immateriale e speculativa sono lati dello stesso triangolo. Il nuovo capitalismo cognitivo utilizza gli strumenti di controllo come forme del diritto penale e del diritto dell’economia. Tracciare i gusti personali, le appartenenze, gli stili e le forme di vita rende molto più scoperte e indifese le persone: trasforma fattori occasionali in identità e catene.
La combinazione tra neoliberismo e mezzi di sorveglianza mette in stato d’assedio le stesse libertà individuali che promette. La redistribuzione delle ricchezze e’ uno degli indici che orienta la codificazione dei reati e delle pene. La direzione imboccata non e’ un mare aperto e nemmeno un porto franco: e’ un tifone scatenato dentro un recinto chiuso.
Sicché, andando avanti così, resteranno in piedi solo le pareti delle galere.
Domenico Bilotti