Rocco Scotellaro volle fortemente e si batté per la costruzione a Tricarico, in Basilicata, di una strada consorziale: essa collega il centro abitato del paese, dove il poeta nacque nel 1923 e fu eletto sindaco alla fine degli anni Quaranta, e la piana delle Matine. La via interpoderale, come la manutenzione delle altre e la costruzione di molte opere stabili, rientrava in una politica volta a una sensibile gestione della cosa pubblica e, concretamente, alla difesa delle classi più disagiate. La strada, che era ed è ancora oggi dritta e semplice, diventa, proprio se la si considera alla luce della pratica politica perseguita da Scotellaro, spazio di maturazione e possibilità di liberazione; di fatto, si fa metafora della possibilità di un cammino che, passando anche da un momento di protesta, sia in grado di superare quelle tare che da sempre rendono inerte il Meridione. Questo simbolo della politica e della poetica di Scotellaro ritrova una sua stringente attualità in considerazione delle vicende che, per così dire, si dipanano lungo tre arterie calabresi, negli ultimi mesi attorcigliatesi l’una all’altra.
La prima di queste collega Albidona ad Alessandria del Carretto, piccoli centri situati nel nord della Calabria. La strada provinciale 153, carrozzabile soltanto dagli anni Sessanta, è franata in diversi punti e a più riprese nel corso della sua storia; l’ultima volta in seguito alle intense precipitazioni cadute sulla zona nei primi mesi del 2014: alle disastrose conseguenze di quegli eventi, a tutt’oggi, non è stato posto rimedio efficace e duraturo. Si tratta di una strada extraurbana secondaria: nella definizione che fornisce l’Automobile Club d’Italia, è un’arteria a unica carreggiata con una corsia per senso di marcia e banchine; vista la funzionalità che mantiene, collegando Trebisacce e altri centri dell’Alto Jonio cosentino ai paesi dell’entroterra, non può essere declassificata a strada di minore importanza. Tuttavia, le sue caratteristiche costruttive e tecniche non sono mai state adeguate all’importanza della strada.
C’è, poi, la vecchia statale jonica, una direttrice longitudinale di fondamentale importanza sulla quale, è bene ricordarlo, si hanno il 42% di morti per incidente in più rispetto alla media nazionale e il 45% di feriti in più. Da anni, si discute riguardo alla pericolosità di questa arteria (dalla quale si origina la S.P. 153 per Alessandria del Carretto), già da tempo affiancata a poche centinaia di metri dalla E90 che, in alcuni punti, si sovrappone alla S.S. 106. Di fatto, la E90 (dove E sta per strada europea), come quasi tutti sanno, è una S.S. 106 bis, per lunghi tratti parallela alla strada originaria.
Adesso tanto sono stati appaltati i lavori per la nuova S.S. 106 (ter, per così dire) che, in base al progetto ministeriale in via d’attuazione (i lavori sono stati appaltati, ma non cantierizzati), triplicherà, lungo il territorio che va da Roseto Capo Spulico a Sibari, il tracciato della S.S. 106. Come è possibile verificare sul sito dell’Anas, l’appalto dell’opera se l’è aggiudicato l’azienda denominata ATI “Astaldi S.p.A. − Impregilo S.p.A.”, sigla che riunisce due colossi mondiali del settore delle costruzioni e dell’ingegneria, riconducibili all’imprenditore romano Paolo Astaldi, il primo, e a Claudio Costamagna (banchiere di Goldman Sachs, membro del Consiglio di Amministrazione di Luxottica, FTI Consulting Inc., Virgin Ltd. e dell’International Advisory Council dell’Università Bocconi) e Pietro Salini (membro del consiglio direttivo dell’Associazione Imprese Generali e rappresentante generale di giunta di UNI−Unindustria, tra le altre cariche), il secondo.
Sulla pagina web del gruppo Salini-Impregilo (prima della fusione con Impregilo, tanto per dire, il Gruppo Salini era stato general contractor per la realizzazione del ponte sullo Stretto e del sistema Mose di Venezia) è possibile ricavare le caratteristiche peculiari dei lavori previsti per il terzo maxi-lotto della statale jonica, nel tratto qui considerato (per i 12 megalotti è stimato un investimento di 17 miliardi di euro): «Il progetto − spiegano sul sito della Salini-Impregilo − si sviluppa per una lunghezza complessiva di 38 km, dall’innesto con la strada statale 534 fino a Roseto Capo Spulico. Tra le opere principali che caratterizzano il progetto: 13 km di gallerie, 5 km di viadotti e 20 km di rilevati. La durata complessiva per la realizzazione del progetto è di circa 7 anni e 8 mesi, di cui quindici mesi per lo sviluppo della progettazione (definitiva ed esecutiva) e per le attività propedeutiche all’avvio dei lavori, ed i restanti 6 anni e 5 mesi per la fase di costruzione». All’interno della sezione del sito dedicata ai lavori in corso è possibile prendere visione di alcuni altri importanti dati tecnici (quali l’ampiezza degli scavi e dei rilevati stradali − 6.844.400 m3 e 6.100.300 m3 −, la quantità di calcestruzzo − 1.900.000 m3 −, il ferro per l’armatura e per la carpenteria − rispettivamente, 130.500 t e 41.000 t −, ecc.), essenziali per capire la ricaduta dell’opera sul territorio.
Al di là delle cifre, dei dati e dei piccoli conti, che è pur sempre utile conoscere, è importante notare come tutta la questione sia rimbalzata ben oltre lo storico confine di Eboli per arrivare là dove si decidono le grandi linee di sviluppo dell’economia, secondo un modello che non può non dirsi capitalistico. Capitalistico è il modo in cui i poteri economici premono sulle nostre istituzioni e finiscono per distorcerle: sono da leggersi in tal senso le ricompense milionarie promesse dall’Anas ai comuni coinvolti dal progetto per lo scempio ambientale che si prospetterà con la S.S. 106 ter. L’errore consiste nel lasciar passare per vera un’idea di territorio come entità meramente geografica ed economica (o anche solo ecologica), che non si capisce come possa corrispondere al modo in cui quel territorio sarebbe stato pensato, agito e considerato da ciascun singolo contadino o dai più illuminati e onesti tra i nostri padri.
Dovrebbe essere ormai noto che il vero sviluppo parte dal basso e − come diceva Paolo Volponi, grande letterato e senatore della repubblica tra il 1984 e il 1992, ispirandosi proprio al magistero di Scotellaro − non è solo questione di risorse economiche, ma di cultura, di organizzazione politica e civile. Non serve a nulla, spiegava Volponi in un suo intervento in Senato, tagliare i rami secchi nella speranza di guarire la pianta, deplorando l’economicismo spicciolo cui ci si è attenuti dal secondo dopoguerra in avanti per cercare di porre rimedio alla cosiddetta questione meridionale; che poi è lo stesso cui si è attinto nel gestire gran parte delle discussioni intorno al 3° maxi-lotto. Perché, ad esempio, ci si lamenta dello spopolamento progressivo che si sta verificando nelle zone più appartate del Parco Nazionale del Pollino se, di fatto, il sistema pubblico di trasporto dell’intero Paese è rimasto suddito delle grandi aziende di Stato e dei finanziamenti pubblici messi a loro disposizione? Non è forse in questa direzione che bisogna dirigersi per comprendere la deriva del trasporto ferroviario lungo la dorsale jonica?
Il tessuto vivo della cultura e del lavoro dei centri interni, e non soltanto di quelli calabresi, il loro diritto di cittadinanza − così diceva Volponi già alla fine degli anni Ottanta − è stato inaridito da una programmazione sbagliata e, spesso, del tutto mancata; ciò ha persino impedito di comprendere che un’attenzione diversa al paesaggio, che non può essere semplicisticamente risolta col ripristino di zone naturali, poteva portare alla realizzazione di una idea diversa di Meridione e consentire di trovare persino una soluzione all’attuale crisi economica, percorrendo la strada che si distende davanti a noi nel momento in cui ad allargarsi sono, prima di ogni altra cosa, le nostre intenzioni.
Alessandro Gaudio
(«Il Ponte», a. LXXI, n. 1, gennaio 2015, pp. 15-18)