Il Contratto di Governo siglato tra la Lega ed il M5S sacrifica in tutta evidenza il no al Terzo Valico della TAV sull’altare del Governo e del compromesso istituzionale.
Ci troviamo davanti alla classica retorica con cui in tutti questi anni i costruttori della mega opera ed il Partito Democratico hanno giustificato la realizzazione di una infrastruttura che più volte abbiamo definita inutile e dannosa per l’ambiente e per la salute delle comunità territoriali.
A ben guardare però ad essere stato sacrificato non è soltanto il no al Terzo Valico ma più complessivamente tutto il sistema delle grandi opere. Nel contratto di governo non si scorge nessuna critica a un sistema criminogeno utilizzato senza soluzione di continuità dai partiti e dai costruttori per attingere risorse infinite, produrre profitti da capogiro e ripulire – come una grande lavanderia – i soldi della criminalità organizzata, unico soggetto, è giusto ricordarlo, che in fase di crisi possiede le liquidità necessarie.
Questo meccanismo messo a punto diversi decenni fa nel Mezzogiorno è stato poi “esportato” e perfezionato per poter essere utilizzato nel sistema dei grandi appalti del nord Italia e in quelli europei.
A questo meccanismo criminogeno, al Sud si aggiunge anche la pessima qualità delle (poche) infrastrutture realizzate negli ultimi 60 anni e delle tante ancora incompiute. Solo per citare quelle più blasonate ricordiamo: la SA-RC, la SS106, le cosiddette “trasversali” (ad esempio quella delle Serre), il sistema portuale regionale, gli aeroporti di Reggio e Crotone e le tantissime opere cosiddette minori che per esigenze redazionali chiaramente non riportiamo.
La pessima qualità dei manufatti è diventata il “marchio di qualità” dei lavori in Calabria: cemento depotenziato utilizzato in diverse opere come ponti, cavalcavia, gallerie, o scorie cancerogene contenute nei materiali utilizzati per costruire case popolari, scuole e ospedali come nel caso di Crotone.
Addirittura abbiamo dieci chilometri della SA-RC, tra Mileto e Rosarno, sotto sequestro (ma aperti al traffico) perché a rischio smottamento; pare che in fase di progettazione e costruzione non furono presi in considerazione una serie di importanti fattori idrogeologici.
L’elenco di queste opere incompiute o mal realizzate è interminabile ma quello che a noi interessa mettere a nudo è il complesso sistema che lega nomi importantissimi dell’imprenditoria italiana ed internazionale (Asfalti Sintex, Astaldi, Condotte, Impregilo, Baldassini&Tognozzi, Toto, ecc.) al sistema dei partiti (e spesso dei sindacati); un meccanismo controllato e diretto dalle consorterie di ‘ndrangheta che decidono tempi e modi di esecuzione delle opere.
Se la trafila dei dividenti è così articolata, perché intricata è la rete dei soggetti interessati, è chiaro che il costo delle opere deve essere necessariamente alto per poter lasciare “soddisfatti” tutti coloro che producono grandi profitti nel “sistema grandi opere”.
Così, ad esempio, accade che il 3° macrolotto della SS106 (tratto Sibari – Roseto Capo Spulico) nei 38 km della nuova sede stradale attraverserà, devastandoli, ben 500 ettari di terreno – in buona parte già coltivati e quindi produttivi – con una grande colata di cemento e asfalto il cui costo complessivo si aggira su 1miliardo e 400milioni di euro. Circa 37milioni di euro per ogni km realizzato!
Non esiste al mondo nessuna opera infrastrutturale che abbia un costo unitario così elevato!
Esempio non dissimile, la metro leggera di Cosenza dove, per pochi chilometri di linea ferrata da realizzare nell’area metropolitana, si bruciano circa 160 milioni di euro per poi vedersi restituita un’opera completamente inutile sotto qualsiasi profilo la si provi ad analizzare.
Da un punto di vista infrastrutturale, al di là delle comunicazioni altisonanti che hanno seguito l’approvazione del Piano Regionale dei Trasporti, l’intero entroterra calabrese versa in una condizione di completo isolamento, mancando o essendo insufficienti le infrastrutture ed i mezzi di trasporto pubblico in grado di garantire l’interconnessione tra “periferie” e “centro”.
Anche questa, evidentemente, è una precisa strategia politica come lo è spostare l’asse degli interventi sul privato con finanziamenti a pioggia, sopprimere e depotenziare i servizi di trasporto pubblico (come ad esempio le linee a scartamento ridotto della Ferrovia della Calabria), implementare le autolinee in sostituzione dei treni per i pendolari, eliminare i finanziamenti ai comuni per il trasporto locale o, ancora, promettere la costruzione di nuovi ed inutili aeroporti (come quello di Scalea e Cassano) e l’incremento dei posti barca perché – secondo l’assessore Russo – bisogna dare delle risposte ad “un’emergenza tutta calabrese”.
Sono tutte precise strategie politiche che potenziano gli interessi delle multiutility regionali dei trasporti che da sempre privilegiano un sistema di mobilità – quello su gomma e a diesel – altamente impattante sia in termini ambientali che in termini di salute e di qualità della vita dei cittadini e delle intere comunità locali.
Un recente studio pubblicato in Francia dall’Agenzia Nazionale di Salute Pubblica mette in risalto alcuni dati sconvolgenti circa le morti per cancro.
Fra i deversi determinanti socio-sanitari analizzati anche il luogo di residenza conta molto; vivere ad esempio in prossimità di strade altamente trafficate o luoghi inquinati sono altrettanti fattori di rischio che possono avere effetti devastanti sulla salute dei cittadini. Un recente studio di Lancet, che ha avuto una larga eco sulla stampa italiana e internazionale, ha messo in evidenza che vivere vicino alle strade principali aumenta significativamente il rischio di malattie neurologiche. E non sono certo i ricchi a vivere costantemente esposti a smog e clacson. Inoltre, più i soldi mancano e meno si fanno visite mediche, e anche qualora si facciano spesso non ci sono le risorse per curarsi o, come nel caso calabrese, mancano proprio le strutture sanitarie adeguate ed una buona mobilità che permetta di spostarsi dalle periferie verso i centri sanitari.
Continua quindi a crescere tra la popolazione il disagio legato all’impossibilità di vedersi garantito il diritto alla mobilità che, inevitabilmente ed in forma indiretta, colpisce anche il diritto allo studio, allo svago ed al tempo libero e, come abbiamo visto, colpisce fortemente il diritto alle cure ed alla prevenzione.
A risentire di questo sono sostanzialmente tutti quei soggetti che si trovano in basso nella piramide sociale e che quindi tra le tante privazioni c’è anche quella di non potersi permettere un mezzo individuale di trasporto. Quest’ultimo aspetto colpisce con particolare brutalità gli anziani e fra loro quelli con problemi di deambulazione.
Interrogarsi oggi su una forma di mobilità che sia al contempo ecologicamente orientata e socialmente efficiente, è necessario e non più rinviabile.
Ma occorre, come primo atto, rifiutare radicalmente i piani nazionali e regionali dei trasporti che hanno alla radice una logica fondativa imposta dal Capitale delle grandi opere e che hanno, se ancora non fosse del tutto chiaro, come orizzonte unico il profitto e come contropartita servizi pubblici inefficienti ed ecologicamente e socialmente impattanti.
Questo rifiuto deve avere come orizzonte possibile la capacità di intaccare i meccanismi di accumulazione capitalistica che spesso nel Mezzogiorno si riproducono sotto forma di politiche neocoloniali di devastazione e saccheggio dei territori attraverso vere e proprie forme di accumulazione per esproprio.
Se i trasporti devono essere al servizio delle comunità è da lì che bisogna (ri)partire costruendo collettivamente scenari che promuovano un nuovo governo autonomo dei territori e che abbiano come elemento strategico le reali istanze, i concreti bisogni e i tanti desideri delle comunità territoriali spesso in conflitto con le istituzioni per vedersi riconosciuta la propria capacità di autodeterminarsi.
Questa è l’unica pratica che ci sembra oggi percorribile perché non esiste nessun intervento statale o regionale che possa dare risposte adeguate alle richieste di mobilità provenienti dai vari territori e dalle tante periferie regionali. Gli strumenti della pianificazione istituzionali non hanno, per loro natura e fine, una visione complessiva dei meccanismi e dei mutamenti sociali in atto perché la propria mission è quella di tutelare e dare risposte esclusivamente alle lobby economico-imprenditoriali.
Abbiamo invece visto che nessun intervento può essere plausibile se non ha la capacità di dare risposte concrete alle esigenze di mobilità delle comunità locali i cui interessi sono diametralmente opposti a quelli del capitale.
Gennaro MONTUORO
Art. pubblicato su COTRONEInforma n.135 (aprile-maggio-giugno 2018)