Stazione di Paola ore 17.00. Una ventina di ragazzi africani, per lo più da Senegal, Costa d’Avorio, Mali e Guinea con bagagli di fortuna (buste e valigie rotte), sono in attesa per il treno che da Paola li porterà a Rosarno.
Mi incuriosisco perché avevano volti più provati dei ragazzi che ogni giorno incontro nelle stazioni calabresi che salgono e scendono alla ricerca di un lavoretto di fortuna o di un territorio meno ostile. Mi avvicino, inizio a parlare in inglese ma non sono anglofoni sono francofoni.
Chiedo da dove vengono e mi dicono da Roma, sono alcuni dei disperati del Baobab. Chiedo dove andranno e mi dicono che vanno in una città qui vicino che si chiama Rosarno, “li c’è una tendopoli dove vivono molti nostri connazionali, li però c’è anche tanto lavoro con le arance non è come Roma. Ci sono le campagne, tanto lavoro e pochi soldi, ma almeno c’è lavoro”.
Molti di loro saranno titolari di protezione internazionale, altri sans papier o come piace dire agli italiani “clandestini” ma più di una una cosa li accomuna tutti, sono gli sfruttati della terra, senza casa e senza speranza, sono coloro che allargheranno le file dei raccoglitori di arance della piana e saranno fautori dell’allargamento del ghetto di Rosarno.
Con le ruspe non si cancellano le vite umane, con le ruspe non si cancella il degrado urbano ma si spostano i ghetti in quei territori dove convengono a tutti, dai consumatori delle buonissime arance calabresi ai caporali.
Elma Battaglia
Casa dei Diritti Sociali – FOCUS