Il concetto di “diritto alla città” trova oggi forti legami con le riflessioni sui beni comuni in ambito urbano. Prima di tutto per quello che riguarda il pensare che tutta la città dovrebbe essere costruita sulla base del collettivo, dell’uso e dell’opera (comuni sia al concetto di beni comuni, sia al concetto di diritto alla città). Tuttavia è possibile individuare alcuni luoghi in cui questi concetti si concretizzano in pratiche sociali. Sono i luoghi della riappropriazione: le occupazioni, permanenti o temporanee, abitative o culturali; i luoghi di autorganizzazione, gli insediamenti autocostruiti, i giardini condivisi, gli spazi gestiti dai cittadini; i luoghi dell’autorappresentazione, tutti quei luoghi autocostruiti, attrezzati, manipolati, dove si concretizza il diritto all’opera. In generale, si tratta di tutti quei contesti che vengono gestiti in maniera collettiva, indipendentemente dalla proprietà, o che nascono collettivamente per reazione all’espropriazione di uno spazio, come
rivendicazione di “diritto all’uso” (comitati contro la costruzione di parcheggi, per la difesa
delle aree verdi e via di seguito).
Come conclusione, per sottolineare ancora meglio il legame tra ‘la città’ e ‘il comune’ è
possibile citare un passo di Marella (2012), che definendo la città come un bene comune
dice: “Predicare come Commons lo spazio urbano – ma il discorso vale anche per ogni
altro ambito – non significa certo invocare un intervento del pubblico potere che limiti o
conformi la proprietà urbanistica in funzione dell’utilità sociale, ma invece contestare in
radice la legittimità di ogni atto di governo del territorio, ovvero di uso dello stesso, che sottrae utilità alla collettività in termini di salute, libertà, socialità, dignità del vivere, felicità.
E ciò può riguardare l’uso che il proprietario privato imprime al proprio bene (il proprietario che trasforma lo storico teatro di quartiere in sala scommesse), ma riguarda tanto più la potestà pubblica di pianificazione e governo del territorio (il piano regolatore del comune che prevede nuova edilizia e ulteriore saccheggio del verde pubblico anziché decidere per il riutilizzo di quella abbandonata). Poiché il modo in cui lo spazio urbano si struttura, per l’interazione di pubblico e privato, determina i modi di vita e le relazioni sociali che in esso si sperimentano.
E dunque non c’è nulla di più comune dello spazio nel quale l’andamento delle nostre vite si definisce” (Marella, 2012, p. 187).
tratto da Chiara Belingardi, Diritto alla città e beni comuni