I decreti n. 72 e n. 82 emanati dal Commissario alla sanità della Regione Calabria, Massimo Scura, fissano al ribasso un nuovo tetto massimo per la spesa delle strutture private accreditate con il servizio sanitario regionale, senza prevedere un contestuale potenziamento dei servizi pubblici.
Alla misura di Scura, le strutture private hanno risposto con una vera e propria serrata padronale e da lunedì scorso non garantiscono più l’accesso ad ambulatori e cliniche ai pazienti muniti di prescrizione – sia laddove è prevista la totale esenzione della prestazione, sia dove invece è prevista la compartecipazione alla spesa tramite pagamento del ticket – garantendo solo le prestazioni totalmente a pagamento. Al contempo continuano a minacciare tagli del personale, scaricando sui lavoratori la loro necessità di tutelare l’utile di impresa.
Se questo mostra in maniera plastica quanto fasullo sia l’intento filantropico e assistenziale con cui le strutture private si fanno scudo, non si può ignorare il prevedibile effetto a cascata sui pazienti, in particolare i meno abbienti.
Un taglio netto di queste prestazioni andrà dunque a determinare un collasso delle già sovraffollate ed inidonee strutture pubbliche, sature e povere di mezzi e di personale, tanto da non riuscire a garantire neanche i Lea, i livelli minimi di assistenza.
Come Potere al Popolo – Reggio Calabria riteniamo che il disastro della sanità calabrese sia frutto dello smantellamento della sanità pubblica, che si manifesta negli ospedali che cadono a pezzi, nei presidi che vengono chiusi e che privano i territori del diritto alla salute, nella sottrazione sistematica di risorse destinate alla collettività a vantaggio di interessi privati e personali.
Sottolineiamo questo per rimarcare come non abbiamo la minima intenzione di difendere diritti e prerogative degli agenti e delle strutture private, auspicando un sistema sanitario assolutamente pubblico, ma ci preme al contempo denunciare quanto sia da irresponsabili operare tagli su queste prestazioni senza che vi sia un’alternativa valida in ambito pubblico, senza che si torni a investire nel pubblico.
Non è possibile abbandonare i pazienti nel limbo delle liste d’attesa interminabili e nelle lunghe code che purtroppo caratterizzano le strutture pubbliche, oggi del tutto impreparate a reggere l’urto dell’improvvisa dissolvenza delle strutture private convenzionate. In una regione in cui la spesa sanitaria rappresenta circa il 65% del bilancio regionale diventa fondamentale interrompere il flusso di denaro a favore dei privati operando tagli netti, ma contestualmente è necessario investire nel pubblico per supplire ai servizi sottratti al business della sanità privata. Allo stesso tempo, è necessario tutelare i lavoratori, spesso sfruttati senza alcuna tutela all’interno delle strutture private, bandendo in fretta tutti i concorsi necessari per colmare le straordinarie lacune d’organico di cui soffre ogni struttura pubblica di questa regione.
Sempre più urgente si rende poi un serio adeguamento di reparti e piante organiche alle reali necessità del bacino d’utenza cui si rivolgono. Lo smantellamento di innumerevoli strutture pubbliche provinciali ha di fatto concentrato l’utenza su pochi poli sanitari, diventati hub solo sulla carta. Identico è rimasto il numero di medici, infermieri e oss in servizio, identico il numero di posti letto. Si tratta in modo palese di una gestione quanto meno surreale della sanità pubblica, perché parte dal presupposto di poter eliminare non solo reparti e presidi, ma anche i pazienti che a reparti e presidi si rivolgono. Tale approccio è figlio di una gestione sanitaria miope, costruita con l’abaco sui conti e non sulle necessità della comunità che con le proprie tasse sostiene e finanzia il servizio sanitario nazionale.
È necessario quindi restituire alla politica la gestione della sanità, perché scelte di questo tipo non possono essere affidate a un istituto come quello del commissariamento. Prima di tutto perché si tratta di uno strumento che pretende di gestire la sanità da un punto di vista meramente tecnico, come se l’amministrazione di un settore così delicato potesse essere demandata a un soggetto manageriale dai poteri enormi, che può infischiarsene delle necessità della popolazione popolare anteponendo conti e bilanci al soddisfacimento dei bisogni. In secondo luogo, perché deresponsabilizza la stessa politica, consentendo a chi è stato votato per governare e gestire anche la sanità di fare spallucce e ripetere il consueto ritornello del “vorrei ma non posso”.
Potere al Popolo! – Reggio Calabria
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