Analizzando i dati delle ultime elezioni si evidenzia la vittoria di due forze politiche, la Lega al Nord e il Movimento 5 Stelle al Sud. Due partiti/movimento definiti dagli avversari populisti ed antisistema ma che hanno differenze importanti tra di loro. Il partito grillino, relativamente nuovo e comunque alla sua prima esperienza governativa, è un movimento politico poco strutturato e poco radicato nei territori. Al contrario la Lega ha una lunga esperienza “romana” anche se sempre come alleato di “minoranza” mentre oggi è a pieno titolo componente del governo. Al contrario del Movimento 5 Stelle gode di un forte radicamento nei territori del nord Italia. Questa analisi è suffragata dalla sproporzione tra il dato elettorale delle amministrative da quello delle politiche. Infatti, mentre alle ultime politiche il Movimento 5 Stelle è risultato essere il partito più votato, nei territori non esprime nessun governatore regionale ed è alla guida di poche città anche se alcune di esse sono molto importanti e strategiche come la capitale, Torino e Livorno. Alle ultime elezioni Regionali il M5S risulta essere quasi ovunque la terza forza dopo centrodestra e centrosinistra mentre la Lega ha avuto importanti affermazioni e conferme.
Entrambe le forze, come già il PD di Renzi, possono contare su una buona parlantina dei propri leader – Grillo e Di Maio/Di Battista da un lato e Salvini dall’altro. Il movimento pentastellato ha basato il suo marketing elettorale sul termine onestà e la contrapposizione alla casta politica del centrodestra e del centrosinistra (rinominato PDmenoL) puntando il dito sui privilegi dei politici (vitalizi, stipendi, concessioni) e facendo leva sull’ondata di sfuducia ed anti-politica onnipresente tra le masse popolari. Nell’altro campo, Salvini abbandonando in parte l’imperativo federalista si è lanciato in un allargamento su base nazionale del partito, anche attraverso la cancellazione della parola Nord dalla sigla, puntando su un sovranismo antieuropeo e su una retorica anti-immigrati che, al grido di prima gli italiani, è stata capace di trovare sponda nelle paure più radicate in grosse fasce della popolazione. I penultimi contro gli ultimi.
Inutile dire che queste tematiche unite alla bravura oratoria dei loro proponenti sono riuscite a fare breccia nelle intenzioni di voto degli italiani che hanno voluto esprimere anche un vero e proprio voto di sfiducia ai partiti “tradizionali”. I reali sconfitti delle ultime politiche non possono che essere individuati che nel PD renziano e nella berlusconiana Forza Italia. Poco significativi ad oggi gli schieramenti alla sinistra del PD.
I primi vagiti del neonato governo giallo-verde si sono scontrati contro la governance istituzionale nazionale ed europea che non ha digerito alcuni punti programmatici del sodalizio ed in particolar modo il “piano B” dell’uscita dall’euro come soluzione ultima nel caso non fossero state recepite in Europa importanti riforme dei trattati con in testa la questione immigrazione e il deficit pubblico. Intorno a questo è maturata la prima bocciatura della lista dei ministri con Savona all’economia considerato come principale propugnatore di una possibile Italexit.
Il duo Di Maio-Salvini si è trovato quindi in una situazione molto simile a quella vissuta da un’altra forza anti-sistema come Syryza in Grecia. La storia dell’accettazione delle ricette della Troika e le divergenze insanabili tra Varoufakis e Tsipras sono ormai storia.
L’espediente tecnico di passare Savona dall’Economia agli Affari Europei (ma non era un euroscettico?) ha dato la possibilità a Mattarella di formulare il tanto agoniato placet al governo gialloverde.
Cosa succederà adesso? Avranno i 5 Stelle e la Lega la forza di attuare quella trasformazione del contenitore europeo che gli consenta anche solo di pensare all’attuazione delle politiche scritte all’interno del contratto del governo del cambiamento? Come si conciliano il reddito e la pensione di cittadinanza, la flat tax, la cancellazione della riforma Fornero, gli investimenti riguardanti la scuola, l’università, la sicurezza, con i rigidi paletti di bilancio imposti dalle istituzioni internazionali?
Basterà il taglio ai vitalizi e agli stipendi parlamentari uniti ai tagli alle risorse per l’accoglienza dei migranti per coprire il costo delle nuove manovre sociali e fiscali?
Aspettiamo le prime mosse del nuovo governo. Nel frattempo registriamo il primo affondo del neo Ministro dell’Interno contro quelli che lui chiama “clandestini” e contro il Modello Riace del calabresissimo Mimmo Lucano. Di Maio dal canto suo esterna contro il Jobs act e a favore della misura pensionistica ribattezzata “quota 100” per superare la Fornero. Aspettiamo sviluppi.
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