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DOSSIER LEGNOCHIMICA (4): Crisi o strategia aziendale?

del Coordinamento Territoriale #DecidiamoNoi

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Crisi di mercato o strategia aziendale?

Come descritto nell’interrogazione, già dagli anni ‘80, quindi, nonostante i cospicui contributi statali, la Legnochimica entra in “crisi”. Il mercato del tannino è da tempo in picchiata a causa di nuovi ritrovati chimici alternativi e più economici ed anche quello dei pannelli vive una grossa flessione.
Ciò che non convince, però, è il fatto che ogni volta che si chiude qualche stabilimento o si concentra la produzione a causa della “crisi”, il gruppo, contemporaneamente, rilancia con nuovi investimenti, apre nuovi stabilimenti in tante parti del globo e vola nel fatturato. In realtà, a nostro avviso, al netto delle crisi di mercato, il meccanismo del dichiararsi in crisi, dello spezzettare i rami d’azienda, dell’aprire fasi di ristrutturazione trasformando gli stabilimenti, fondendoli o semplicemente chiudendoli per riaprirli con una nuova ragione sociale, non rappresenti altro che una metodologia amministrativa, uno stratagemma gestionale finalizzato alla possibilità di usufruire di alcuni istituti come quello della mobilità e della cassa integrazione, utili a scaricare un po’ di costi sulla collettività ed incamerare maggiori profitti.
Uno di questi tentativi, ad esempio, è del 1988, documentato nella delibera del CIPI (Comitato Interministeriale per il Coordinamento della Politica Industriale) della seduta dell’11 febbraio dello stesso anno, da cui si evince il mancato riconoscimento della condizione di crisi aziendale alla Legnochimica S.p.a., con sede in Pamparato (Cuneo) e stabilimento di Rende (Cosenza), richiesta nel settembre 1986. Nell’anno 1992 viene dismessa la produzione della prima linea relativa alla produzione di pannelli legnosi ed il gioco della crisi, con la relativa ristrutturazione aziendale, continua e diventa efficace tanto che riesce a passare l’esame come testimoniato nel decreto ministeriale datato 24 luglio 1998. Questo significa per l’azienda l’approvazione della corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti a partire dal 1997 e che andrà avanti alcuni anni.

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La situazioni degli operai in questo periodo è ben delineata da un’intervista fatta nel 2002 al sig. Tonino Occhiuto, coordinatore della Filcea-Cgil Legnochimica, che tra l’altro spiega altri trucchetti capaci di ridurre i costi aziendali e favorire la massimizzazione del profitto:

  • Ad oggi (02/10/2002), come procede la vertenza “Legnochimica”?

T. Occhiuto: È una situazione drammatica per i lavoratori. È stata gia avviata la procedura di mobilità. Naturalmente quest’ultima è finalizzata al licenziamento. Da parte dell’azienda non c’è nemmeno la volontà di arrivare ad un accordo. Il piano di ristrutturazione dell’azienda verte su sette punti, i cui elementi cardine sono rappresentati: 1) dal cambio di contratto – si passa dal contratto dei chimici a quello del legno – , 2) riduzione del salario del 30%, 3) esubero di 30 unità lavorative.

  • Quali sono state le motivazioni dell’azienda per questo piano di ristrutturazione?

T.O.: L’eccessivo aumento del costo del lavoro. La concorrenza infatti riesce a ridurlo in quanto applica il contratto del legno. Con questo contratto l’orario lavorativo passa da 37,45 ore settimanali con il contratto dei chimici a 40 ore settimanali con il contratto del legno, diminuisce il premio di produttività così come il salario, ci sono condizioni più svantaggiose per il trattamento pensionistico. Tutta una serie di fattori che vanno a ledere gli interessi dei lavoratori. In realtà il vero obiettivo dell’azienda è quello di chiudere e licenziare, per poi riaprire concedendo condizioni di lavoro peggiori.

  • Ritorniamo indietro nel tempo, da quando sono iniziati i problemi di esubero del personale?

T.O.: La società è stata divisa in tre tronconi: Ledorex per la produzioni dei pannelli, Legnochimica per il tannino e Legnoservice per la gestione e l’acquisto delle materie prime. Nel 1997 la Legnochimica presenta un corposo progetto per la realizzazione della centrale a biomassa per la produzione di energia. Fu concesso dallo stato e dall’Ue un finanziamento di 40 miliardi di vecchie lire. Nonostante la costruzione della centrale, che sarebbe dovuta servire ad abbattere i costi di produzione, la situazione secondo l’azienda non migliora. Il gruppo Battaglia vende la centrale all’azienda EVA, controllata dal gruppo Falck. Si arriva ad un accordo dove 61 lavoratori vengono posti in mobilità fino a un massimo di quattro anni, per poi essere accompagnati alla pensione. Non paghi di questi enormi sacrifici da parte dei lavoratori, l’azienda dopo sei mesi chiede ancora di abbassare il costo del lavoro con la procedura di mobilità che scadrà il prossimo 12 ottobre con il licenziamento.

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  • Qual è la posizione dei sindacati, cosa proponete?

T.O.: Dal 1992 abbiamo rinunciato ai contratti integrativi, Nel 1997 il premio di produzione è stato trasformato in 14° mensilità per futuri investimenti, oggi non siamo più disponibili a rinunciare a una parte di salario, né a nuovi licenziamenti. Abbiamo cercato di coinvolgere le istituzioni. Il Comune oltre ad esprimere la propria solidarietà, vorrebbe che la trattativa si spostasse al ministero dell’Industria. La mediazione della regione fino ad oggi non è andata a buon fine, per una serie di malintesi, ma anche per il rifiuto netto della proprietà aziendale di incontrare i sindacati e i rappresentanti dei lavoratori. Addirittura siamo stati denunciati dal gruppo EVA perché non facevamo entrare mezzi privati all’interno della fabbrica in assemblea permanente, ma le forze dell’ordine non sono intervenute. Noi siamo sempre disponibili ad incontrarci con l’azienda per cercare di arrivare ad una soluzione positiva della vertenza.

  • Si potrebbe proporre la riduzione dell’orario a parità di salario per evitare gli esuberi?

T.O.: Una proposta del genere sarebbe molto positiva per noi lavoratori, ma sicuramente sarebbe avversata dalla proprietà aziendale, non l’accetterebbero.

  • La Legnochimica impiega 110 lavoratori, con un indotto di quasi 800 posti, avete cercato di coinvolgerli nella lotta?

T.O.: In parte sono stati coinvolti.

  • La Legnochimica è l’azienda più importante dell’intera provincia di Cosenza, si potrebbe cercare di allargare la mobilitazione con lo sciopero generale di tutto il comprensorio?

T.O.: Non so se i lavoratori accetterebbero di fare un altro sciopero oltre a quello del 18 proclamato dalla Cgil. Le forze politiche, in particolare della sinistra, non hanno dato un grosso aiuto, oltre alla solidarietà formale. Per arrivare a una mobilitazione di questa portata è necessario prima sensibilizzare e creare una coscienza finalizzata alla solidarietà tra i lavoratori. Anche perché se chiude la nostra azienda questo rappresenterebbe un campanello d’allarme per tutti gli altri lavoratori del territorio, con una diminuzione dei diritti di tutti. Viviamo con lo spettro della disoccupazione e della povertà. Se non riusciremo a risolvere positivamente la vertenza entro il 12 ottobre, saremo tutti licenziati (4).


Crisi ed investimenti: la centrale a biomasse

Nostante la “crisi”, nel 2000 l’azienda ha la forza di realizzare una centrale a biomasse che occupa una parte dei terreni dell’ex stabilimento. La centrale è entrata in esercizio nel gennaio del 2001 al termine di un programma triennale di investimenti. Ha usufruito delle incentivazioni derivanti dalla produzione di energia elettrica, utilizzando fonti rinnovabili, CIP6. Dopo soli due anni dall’idea di investire nelle fonti di energia “rinnovabili”, lo stesso management del gruppo Jemina & Battaglia decide di rifocalizzare le proprie attività nella produzione di prodotti di origine vegeta- le. Assistiamo in realtà ad una giravolta che sa di speculazione finanziaria e che vede la cessione della centrale a biomasse, come leggiamo nel comunicato stampa congiunto dell’epoca, alla “Actelios S.p.A., società del Gruppo Falck, costituitasi a seguito della scissione parziale di CMI SpA, è quotata al Mercato Telematico Azionario della Borsa Italiana. La società è attiva in tre settori: produzione di energia da fonti rinnovabili, sia rifiuti che biomasse (termovalorizzazione) – che rappresenta il core business della società -, gestione e manutenzione di impianti sia per il Gruppo che per conto di terzi e, infine, servizi ambientali. Con la cessione della centrale di Rende il gruppo Jemina & Battaglia di S.Michele Mondovì (Cuneo), all’interno del quale opera Legnochimica S.p.A., prosegue nel progetto di rifocalizzazione delle proprie attività nella produzione di prodotti di origine vegetale, fra cui quelli per il settore conciario, ambito in cui il gruppo è leader a livello mondiale”.

 

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Contestualmente, con atto notarile del 23 Agosto 2000, un ramo d’azienda viene ceduto alla Ledorex Sud S.r.l., atto che verrà perfezionato in data 21 Giugno 2002. Altra scatola cinese. La Ledorex Sud eredita anche lo stile di gestione delle attività visto che già a dicembre del 2000 presenta un’istanza per ricorrere al trattamento straordinario di integrazione salariale che gli viene concesso: La citata “contrazione o sospensione dell’attività produttiva determinata da situazioni temporanee di mercato” dura ormai da tanti anni, è ormai stabile, strutturale e non ha nulla di transitorio. In realtà il cambio di società diventa necessario perché, molto probabilmente, utilizzando la vecchia ragione sociale sarebbe terminata la possibilità di beneficiare del trattamento straordinario di integrazione salariale per gli operai del gruppo che avrebbero già sforato i 36 mesi in un quinquennio prescritto dalla norma come termine massimo. Proprio per questo, supponiamo, necessita che la Ledorex Sud S.r.l. subentri alla società Legnichimica. Insomma, come riportato nell’intervista al coordinatore della Filcea-Cgil, “in realtà il vero obiettivo dell’azienda è quello di chiudere e licenziare, per poi riaprire concedendo condizioni di lavoro peggiori”.

Ma non è l’unico caso in cui questo meccanismo salva azienda funziona bene. Negli atti di un procedimento per risarcimento danni biologici intentato da un operaio della Legnochimica S.p.a. scopriamo almeno un altro utilizzo dello stesso dispositivo. L’operaio in questione ha lavorato presso la Legnochimica dal 1970 al 1986 in qualità di addetto alla manutenzione ed alla pulizia macchi- na. Nella denuncia ha affermato di essere venuto a contatto, all’interno dello stabilimento, con le fibre d’amianto contenute in alcuni materiali presenti nell’ambiente lavorativo e di aver sviluppato nel 2011 un tumore ai polmoni. Il procedimento vede quale controparte la Ledorex Sud srl che però si difendeva provando di aver rilevato l’attività della Legnochimica solo nel 2000 e quindi in un periodo successivo alla data della fine del rapporto di lavoro del ricorrente. Per tale motivo il ricorso è stato rigettato dal Giudice del Lavoro con l’esito che nessuno potrà accertare la veridicità di quanto denunciato e nessuno ripagherà mai il povero operaio visto che nel 2011 anche la Legnochimica era da tempo stata messa in liquidazione. Quindi, morale della storia, se la società cessa di esistere, cessa anche la sua responsabilità nei confronti dei danni eventualmente arrecati a cose o persone. Alla fine è quello che sta succedendo anche per il laghi lasciati in eredità alla comunità rendese. La società è in liquidazione? Non ci sono soldi in cassa? Nessuno è responsabile dell’inquinamento.

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