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LA POSSIBILITA’ CONCRETA DI INIZIATIVA POLITICA COMUNE

Pubblichiamo in questa rubrica le parti più interessanti dei diversi interventi fatti durante l’assemblea dell’area urbana sul No Sociale ed i contributi successivi. Chiunque voglia partecipare alla discussione collettiva può inviare il suo contributo all’e-mail: dicia@malanova.info

LA POSSIBILITA’ CONCRETA DI INIZIATIVA POLITICA COMUNE DOPO L’ASSEMBLEA DELLO SCORSO 23 SETTEMBRE A VILLAGGIO EUROPA. SPERANZE E PROSPETTIVE.

Come soggettività politiche  esistenti nel nostro territorio quello che non possiamo in nessun caso assumere è una mancanza di speranza di fronte ad una onnipotenza della realtà data. Quest’ultima nella sua durezza  può creare disperazione, ma la situazione che noi tutti ci troviamo di fronte, possiamo insieme a provare a descriverla meglio, senza dubbi e senza preoccupazioni.

In una città, in un territorio come il nostro che si dissolve in migliaia di pulsioni individuali e in un’incontrollabile deflagrazione degli aggregati sociali, la possibilità di costruire “un’altra politica”, fatta di agire comune, di pratiche da inventare e di spazi da costruire, la gioia del fare comune dovrà essere la sua giusta colonna sonora.

L’esperienza elettorale amministrativa a Cosenza da pochi mesi consumate alle nostre spalle è stata solo una delle possibili rappresentazioni della realtà e non la esaurisce. Le elezioni infatti sono uno strumento tecnico che con le proprie regole, cerca di misurare la volontà degli elettori. Esse restituiscono una rappresentazione impoverita della realtà, questo vale anche per i migliori sistemi elettorali e quello italiano non è certo tra questi.

Di fatti ogni cittadino è lui stesso un’ingarbugliata matassa di interessi individuali, anche in contrasto fra di loro, e di desideri spesso altrettanto incoerenti. Ci sarà, per esempio, un ragazzo sfruttato nei call center che non sopporta i marocchini e vota Occhiuto.

Ognuno, forzato a scegliere, darà un peso alla sua speranza e giudicherà secondo i suoi interessi, i suoi valori, secondo le relazioni che intrattiene. Sarà una scelta inevitabilmente approssimata, indirizzata verso lo schieramento che grosso modo gli appare prossimo. Insomma: un apparato di misure imperfetto viene applicato a una moltitudine di persone tra di loro diverse e ognuna di loro dotata di multiple dimensioni.

La fotografia venuta fuori dall’esito delle ultime amministrative a Cosenza è quella di una città confusa e non convincente come sono state le proposte dei candidati vincitori e vinti. Tutto ciò appare drammatico, tranne ai Partiti e al personale politico che hanno come preoccupazione principale la loro sopravvivenza.

La città reale, attraverso la somma di  migliaia di microscelte individuali e ognuna provvisoria e persino aleatoria, ha generato un triste macrorisultato che dice alla “politica”: noi siamo fermi, fate ancora voi.

Non si tratta solo di unire i divisi, come semplicisticamente si va dicendo, ma piuttosto di disarticolare per problemi e riunificare per soluzioni le confuse mete.

Bisogna sicuramente leggere la composizione sociale della popolazione per capire: ceto medio impoverito, lavoro autonomo, commercianti, ricchi che non vogliono perdere le loro ricchezze, poveri che sognano improbabili arricchimenti individuali, gonfi di rate e  mutui. Ceti che avvertono la precarietà della loro ricchezza e la paura di perderla o di non poterla arraffare li spinge a soluzioni individuali.

La loro cultura politica, il peso del lavoro dipendete, la loro consapevolezza della crisi e della sua natura, l’uscita con un percorso comune.

Se dobbiamo iniziare a costruire un percorso politico di lotte, ci sembra importante, dunque, chiarire subito, a scanso di equivoci, che viviamo in una fase, accentrata dalla crisi in cui pratica e teoria rischiano sempre più di separarsi e autonomizzarsi. Alle nostre spalle stanno mutamenti storici e decisioni che hanno reso assai più arduo il nostro compito di trasformare la realtà.

Solo dopo avere assunto nuovamente la fatica di comprendere ciò che è accaduto senza più nascondersi dietro a alcuni alibi potremmo cercare di comprendere la realtà in cui siamo nella sua durezza. Dobbiamo, dunque, recuperare la profondità della teoria, dell’analisi per dare spessore, forza e durata all’azione politica che vogliamo intraprendere. Questo vuol dire anche interrogarsi su noi stessi, recuperare un rapporto con la nostra storia e ripensarla con una continua contaminazione e sperimentazione. Il militante politico, scriveva un grande vecchio dell’operaismo italiano, ha come oggetto della propria analisi il Capitalismo, cioè la realtà che deve combattere. Bisogna dunque studiare ciò che si deve distruggere.

La pratica politica, dunque, è pregna di teoria, oppure non è. Bisogna studiare per agire, bisogna agire per studiare. E fare le due cose insieme. Ora più che mai, per quel che ci riguarda, questo è il compito politico.

Prima  dunque di  iniziare ad entrare in merito ai contenuti, alcuni anche emersi durante l’assemblea dello scorso mese a Villaggio Europa, dobbiamo affrontare alcuni problemi insieme. Questo significa insieme disporli sul tappeto, ripercorrerne la genealogia, tentare di metterli in fila, costruire un ordine, fare una gerarchia.

A noi pare che ci sia un problema che contiene tutti gli altri: la difficoltà  di essere coscienti delle proprie condizioni materiali.   E’ vero che noi viviamo in un limbo di continua sussunzione vitale. I processi di sgretolamento, sussunzione di una vita sono sempre più pervasivi. Serve quindi un’operazione preliminare per sgomberare il campo e disporre i problemi su un terreno liberato da lenti che annebbiano la vista e da schemi che non servono più a leggere la realtà nella quale siamo immersi.

Per fare ripartire una vera ondata di opposizione sociale e politica dobbiamo quindi, a nostro parere, cercare insieme di chiarirci quali siano oggi gli elementi che ostacolano la crescita dei nostri processi di soggettivazione.

Diciamolo in modo netto: la soggettività non è qualcosa che si può cercare, semplicemente scavando. Non è una essenza, una sostanza che esiste a prescindere da quelli che sono i processi all’interno dei quali noi siamo calati. La soggettività non è qualcosa che và trovata come si trova in natura il filone aureo.  La soggettività è per definizione qualcosa che è profondamente intrecciata con la realtà sociale, storica, all’interno della quale essa si determina. La soggettività è una produzione, un qualcosa che si produce nella storia e nel rapporto dinamico, mai dato una volta per tutte, che c’è tra individualità e socialità, tra individualità e società. La soggettività, anche nell’etimologia del termine è qualcosa che indica l’elemento eterogeneo rispetto all’individuo. Essere soggetti a qualcosa, soggettività vuol dire: c’è qualcosa da cui noi dipendiamo, con cui noi dobbiamo fare i conti.  Prima cosa dunque, la soggettività che si costruisce nelle dinamiche sociali. In questo senso è un esito che non è rintracciabile al di fuori di quelli che sono gli accadimenti, di quelle che sono le situazioni, di quelli che sono i poteri e i contropoteri che nelle situazioni si determinano.

La crisi non è un preludio al crollo, come dovremmo avere capito da tempo. Se non c’è un soggetto collettivo in grado di rompere quel rapporto sociale capitalistico, esso non si romperà da solo.  Il Capitale può governare e riprodursi nella crisi a tempo indeterminato se non incontra una forza sociale antagonista in grado di interrompere e distruggere quella riproduzione. Anzi la crisi attuale assume nuove caratteristiche rispetto al passato: diventa forma permanente di accumulazione e comando politico.    Nell’autoreferenzialità del Capitale, rischia di specchiarsi la nostra autoreferenzialità. Questo è buono per il nemico, male per noi. I nostri discorsi, i discorsi di militanti, fuggono spesso nelle isole marginali dei propri simili alla ricerca di conferme delle proprie certezze.

La misura del discorso cessa di essere la materialità dei processi di lotta, di organizzazione e dei rapporti di forza per diventare la “comunità militante”. Alla sostanza della classe si sostituisce l’inconsistenza del discorso ideologico in un’operazione di rappresentanza immaginaria dagli esiti spesso grotteschi o disastrosi.

Quel “mondo popolato di movimenti” nella nostra città e nei nostri territori, a cui fa riferimento Bornino nella sua introduzione ai lavori  dell’Assemblea, a nostro parere e per nostra conoscenza, tranne alcune rare e significative eccezioni, è un mondo popolato dalla potenza e solitudine dei militanti cosentini e non solo. Questo lo diciamo con tutto il rispetto che possiamo avere per compagni che ambiscono a cambiare realmente, nelle loro intenzioni, una realtà di merda nella quale siamo immersi. Quel mondo popolato di movimenti, comitati, associazioni, realtà autogestite, nella nostra città o se vi pare nell’area urbana, nella gran parte dei casi sono comunità di militanti che stanno nella realtà sociale, che di essa fanno parte.

La domanda centrale è: dobbiamo far ripartire questo “mondo di militanti” o  iniziare a sviluppare l’azione politica verso la città, l’area urbana, il territorio, dove viviamo? Dobbiamo parlare all’interno di quel segmento sociale e politico che “non si arrende”, magari motivandolo di più sul proprio ruolo e la sua funzione o il nostro sguardo si allunga sull’area urbana e nei territori ,e all’interno della  nostra stessa città dove una realtà sociale più composita verso la quale la nostra capacità di incidere politicamente  non si misura certamente dalla sola crescita all’interno degli ambiti militanti, o dalla loro sola mera algebrica unificazione.

Se il nostro sguardo si sarà decisamente allungato sulle determinazioni della vita all’interno della nostra città e fuori di essa, tra precarizzazione, austerity e subalternità, dove i processi di sgretolamento/sussunzione di una vita autodeterminata sono sempre più pervasivi sino a costruire un’aurea di morte, è necessario sicuramente costruire un percorso politico, non tramite l’illusione che si possa in qualche modo modificare i gangli del potere (finanziario, tecnologico, burocratico ect ect) tramite una lunga marcia, in grado di creare consenso e azione politica, istituzionalmente riconosciuta. Neanche tramite l’illusione che si possa abbattere il palazzo d’inverno che oggi si è fatto immateriale,nomade e imprendibile.

E’ necessario costruire un percorso politico, a partire  da se, non individualmente, ma in comune, con una continua contaminazione e sperimentazione. Se oggi vogliamo parlare di costruire un processo di questo tipo è necessario, come si è argomentato succintamente sin qui, compiere quei passaggi.

Per noi costruire processi costituenti significa creare autonomia costituente per produrre alterità qui ed ora.  Lo sfruttamento è ancora oggi, per quel che ci riguarda, la chiave imprescindibile per comprendere i rapporti sociali e politici capitalisti e le loro contraddizioni. Tuttavia con la crisi del modello di sviluppo industriale e fordista, il rapporto salariale perde progressivamente la sua centralità sociale, come sostiene S.Lucarelli, esplodendo, fino quasi a dissolvere. Conseguentemente, i modi del comando capitalistico mutano drasticamente. Le logiche dello sfruttamento si organizzano e funzionano in questo nuovo scenario, a partire dalla convinzione che sia necessario rivisitare l’armamentario concettuale della tradizione marxiana.

Il nostro tentativo è quello di ridare centralità a una categoria che resta fondamentale per un agire politico e per un agire contro lo sfruttamento. Una categoria che ad oggi è ridotta a parola generica, a pretesto morale ,a stato di fatto dinanzi al quale si resta muti, innanzitutto perché si moltiplicano le circostanze in cui il riconoscersi come sfruttati conduce a riconsiderare criticamente la propria soggettività, a rileggere la propria esistenza, a riconoscersi diverso.

Dinanzi  e dentro queste difficoltà dell’esistere, emerge l’esigenza di comprendere non già la logica dello sfruttamento,ma le logiche dello sfruttamento. E’ a questa pluralità che ci consente di riconoscere una prima dimensione comune, quella appunto di essere all’interno di una situazione in cui le nostre differenze corrispondono a forme diverse di sfruttamento, rompendo in questo modo l’isolamento forzoso al quale li condanna la consapevolezza della nostra diversità dall’altro: lui si che è sfruttato,ma io no, per me è diverso.

Seguendo questo percorso diviene necessario ridefinire alcuni concetti cardine su cui l’analisi del capitale in quanto rapporto sociale conflittuale è stata sinora  costruita. Le lotte operaie nel corso del tempo hanno costretto il capitale a riorganizzarsi e, in particolare, a riorganizzare la forma del processo di estrazione del plusvalore,assoluto e relativo. Negli esiti di questo scontro, in questo enorme processo di trasformazione sociale all’interno del quale sono coinvolte anche le nostre esistenze, si subisce, senza probabilmente percepirle sino in fondo, una riqualificazione del comando capitalistico all’interno del processo di valorizzazione. E’ a questo livello del problema che restiamo senza parole, fermi dinanzi ad alcune certezze: se esiste un luogo dove viene costantemente realizzata la separazione della forza-lavoro dal capitale, questa è la sfera della circolazione e della riproduzione della forza-lavoro stessa.  Sono i movimenti dell’esistenza che apparentemente restano al di fuori dell’attività produttiva, i momenti in cui il tempo è impiegato a consumare, a costruire delle relazioni umane, a coltivare i propri interessi, a realizzare la propria soggettività; momenti che tuttavia portano i soggetti a sperimentare il proprio stato di necessità,una necessità che li conduce a vendersi come forza-lavoro.

Tuttavia è proprio qui, sulla soglia del modo più classico di concepire lo sfruttamento, che si pone il problema della produzione di soggettività.

Abbiamo, dunque fin qui, cercato di mostrare, per sommi capi e veloci passaggi, cosa vogliamo e cosa non vogliamo e a chi ci rivolgiamo, se dobbiamo quindi ripartire insieme, speriamo che alcune nostre questioni centrali, acquisite in questi duri anni di crisi sociale, economica e politica, siano messe a valore, in questo tentativo di vero confronto comune per avviare materialmente il nostro compito di trasformare la realtà.

Carlo Cuccomarino – Presidente dell’Associazione SudComune

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