di Francesco Cirillo
In Calabria si parla di tutto e si può parlare di tutto. Senza problemi. Ma se si tocca il tasto dei veleni sotterrati o affondati allora scatta una specie di frenesia o ballo del tarantolato per dimostrare che è roba vecchia, roba oramai superata e soprattutto roba dal punto di vista giudiziario oramai risolta. E’ l’unica cosa vera questa. Non c’è una sola persona in galera, non c’è una sola persona con anni di condanna, ogni processo è finito con la prescrizione o con l’assoluzione, o con una condanna assolutamente lieve. I partiti, gli amministratori regionali, ogni presidenza di qualsiasi ente, è autorizzato minimizzare e soprattutto rassicurare. Anche se scoppiasse una bomba atomica in Calabria lanciata da Kim Jun o dall’Isis, si direbbe che in effetti non è fatto grave, che i morti sono pochi e che comunque “bisogna andare avanti”. Eppure la storia dei veleni in Calabria attraversa a vari livelli, la ‘ndrangheta, associazioni delinquenziali territoriali, amministratori locali e regionali e a livelli più bassi ha avuto l’acquiescenza di organi di controllo , magistratura in prima fila, che tutto hanno fatto, meno che il loro dovere.
Vediamo di ricostruire, a futura memoria, quanto è avvenuto in Calabria .
1989.
La madre di tutti i veleni in Calabria nasce in quest’anno. La Calabria diventa terra di conquista per sotterrare rifiuti provenienti da tutta Italia. Il primo occultamento del quale si è a conoscenza avviene in contrada Sant’Angelo a Santa Domenica Talao a confine con il comune di Scalea. Solo per un fortuito caso, un camion fermato per caso ad un posto di blocco da una semplice pattuglia di polizia stradale, si scoprì il traffico di rifiuti ospedalieri che da diverse regioni d’Italia trasportava i rifiuti per essere bruciati in una fornace di proprietà di un mafioso locale. Il piano era stato ben congegnato e sicuramente i rifiuti venivano trasportati da diversi mesi in quella fornace. Il trasporto e lo scarico avveniva sempre di notte e gli abitanti del luogo pur avendo sentito i rumori nella notte , essendo il proprietario della fornace una persona legata alla delinquenza preferirono il silenzio. Ma il trasporto aveva anche una pseudo autorizzazione fatta il 27 gennaio del 1989 dall’assessore regionale ai lavori pubblici e all’ambiente della regione Calabria il socialdemocratico Aniello Di Nitto. Secondo quanto sostenne la Ecomarche, ditta responsabile del trasporto, l’assessore con una lettera avrebbe autorizzato lo spostamento dello stoccaggio da Rossano Scalo alla località Sant’ Angelo di Santa Domenica Talao, in un terreno di proprietà della società 2P+G . I rifiuti trovati nella fornace e pronti per essere bruciati ammontavano a circa 60 tonnellate. Quando si seppe dei veleni la protesta esplose e la gente di Scalea scese in piazza guidata dal sindaco e dalle associazioni ambientaliste. La fornace venne sequestrata e ripulita dai rifiuti ma un processo intentato contro l’assessore e i responsabili della ditta finì prescritto.
1990
Non solo rifiuti ospedalieri ma anche rifiuti nucleari e tossici arrivarono in Calabria. A trasportarli , la motonave Rosso che doveva affondare davanti Lametia Terme, ma che spinta dalle correnti arrivò a Campora San Giovanni dove si arenò sulla spiaggia nei pressi della foce del Fiume Olivo. La nave era già conosciuta, in un dossier della Legambiente, come “navi dei veleni” perché nel 1989 era stata utilizzata dal governo Italiano per recuperare 9532 fusti tossici che erano stati depositati sulle spiagge libanesi. Quei fusti arrivarono in Italia e nessuno seppe dove finirono. La Rosso resterà in disarmo nel porto di la Spezia dal 18 gennaio del 1989 al 7 dicembre del 1990. Dopo pochi giorni eccola di nuovo al lavoro e dirigersi verso Malta dopo aver fatto scalo a Napoli.Questo precedente non suscitò alcun sospetto né allarme nella Procura di Paola, allora al centro di varie inchieste giudiziarie per collusioni di diversi magistrati con la delinquenza del tirreno, e così il gip Domenico Fiordalisi, noto per le sue fallimentari inchieste, non la mise subito sotto sequestro né alcun controllo. La nave spiaggiò alle due del pomeriggio e fino alla mattina successiva non ci fu una sola guardia. Nella notte del 14 dicembre del 1990 tutto il suo carico sparì nel nulla. Una parte fini in alcune discariche di Amantea, altre in una cava gestita dal boss della banda Muto. Dopo decenni molto materiale tossico venne trovato nell’alveo del Fiume Olivo. Il processo alla Motonave Rosso non fu mai aperto, nonostante varie inchieste aperte da vari magistrati della Procura di Reggio Calabria, Lametia Terme e Paola, paerte solo per pubblicità personali. E tutto finì archiviato. Nemmeno valsero le numerose audizioni fatte dalla Commissione parlamentare per i rifiuti tossici, che finirono tutte nel nulla nonostante prove certe sul traffico dei rifiuti tossici.
1992. La galleria radioattiva a Limina . Ne parla il pentito Logiudice
La ‘ndrangheta in Calabria ha sempre controllato tutti gli appalti riguardanti opere pubbliche. Sue ditte hanno costruito strade e autostrade, ponti e dighe. Cantieri della ‘ndrangheta sono stati aperti in tutto il territorio calabrese. Camion che trasportavano rifiuti sono stati vista nell’Aspromonte, nei pressi della Diga sul menta, nella costruzione della autostrada Salerno Reggio Calabria. Il pentito Lo Giudice, alle soglie di 84 anni, per mettersi a posto con la propria coscienza, decide di parlare e rivela il traffico dei rifiuti tossici. In particolare i rifiuti radioattivi impastati nel cemento servito per la costruzione della Galleria di Limina . le rivelazioni vennero fatte dal pentito davanti la commissione antimafia . «Certe volte, quando l’affondamento in mare si rivelava troppo complicato, si usavano le tumulazioni nel cemento». Il pentito ha parlato nello specifico della galleria Limina, 3 chilometri e 700 metri, sulla strada statale 682 che collega i due mari da Rosarno a Gioiosa Jonica. L’ultimo tratto, proprio quello della galleria, è stato ultimato nel 1992. Lì, secondo il suo racconto, sarebbero stati tumulati rifiuti radioattivi, impastati nel cemento e poi inaugurati in pompa magna.
1995
L’inchiesta si aprì quando la Guardia di Finanza, nell’aprile del 1995, scoprì sotterrati in alcuni terreni di Cassano allo Ionio, bidoni pieni di materiali tossici provenienti dalla Pertusola di Crotone. Si trattava di feriti di zinco. Materiale tossico che doveva essere trasferito dalla Pertusola di Crotone in Sardegna per essere lavorato e disinquinato. Ma in Sardegna non arrivò mai. Da quei primi ritrovamenti si arrivò all’assessore regionale all’ambiente Sergio Stancato che venne arrestato assieme ad altre 18 persone. Un traffico che produceva diverse centinaia di milioni e che vedeva coinvolti funzionari, politici e ditte compiacenti della Regione Calabria. Tra i rinviati a giudizio anche altri nomi di spicco, della vecchia Giunta Nisticò fra i quali l’ing. Giovan Battista Papello, poi sub commissario per l’emergenza dei rifiuti, con la Giunta Chiaravalloti. Dall’inchiesta sui rifiuti tossici provenienti dalla Pertusola di Crotone e sotterrati nel Comune di Cassano , ritrovati solo in parte dal nucleo ecologico dei Carabinieri, sono state stralciate le responsabilità della Giunta regionale che portarono all’arresto dell’ ex assessore regionale all’ambiente Stancato , verso il quale esiste solo il reato commesso contro la pubblica amministrazione. Tutto finì in prescrizione e gli unici rifiuti trovati furono 35 mila tonnellate di ferriti di zinco. Ne mancano all’appello oltre 300 mila.
12 Dicembre 1995. Muore assassinato il capitano Natale De Grazia Il capitano di corvetta Natale De Grazia, 39 anni, consulente tecnico del pm reggino Francesco Neri, parte il 12 dicembre del 1995 con l’incarico di interrogare proprio l’equipaggio della Jolly Rosso ma a La Spezia non arriverà mai. L’ufficiale ha un malore durante il viaggio. L’autopsia, eseguita una settimana dopo il decesso e dietro pressioni dei magistrati, non conferma l’ipotesi dell’infarto.
Sembra che il capitano De Grazia sia stato anche ad Amantea e che qui abbia parlato con qualcuno del luogo. Ma se De Grazia è stato ad Amantea in modo ufficiale non dovrebbero esistere verbali di eventuali incontri ufficiali in qualche ufficio della capitaneria di Porto di Cetraro o Vibo o in qualche caserma dei carabinieri ? Nonostante una recente autopsia abbia rivelato che il decesso è avvenuto per avvelenamento nessuna inchiesta è stata aperta. Un’inchiesta che in modo inequivocabile si allaccia a quella della morte di Ilaria Alpi . nel 2003 un rapporto della Legambiente lo scrive chiaramente. “Alle rotte di questi traffici illeciti, che spesso si sovrappongono con quelle delle armi, sembrano legarsi alcuni misteri del nostro Paese, come quello delle navi a perdere, affondate nel Mediterraneo e di cui si è persa traccia. Morti improvvise che suscitano ancora interrogativi, come quella del capitano di corvetta Natale De Grazia, indispensabile collaboratore della Procura presso la pretura di Reggio Calabria durante le indagini relative proprio ai carichi trasportati dalle navi fantasma. Delitti efferati, come quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Alla giornalista del Tg3 e al suo operatore, assassinati a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, è dedicato un capitolo del Rapporto, curato da Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari, tre giornalisti di “Famiglia cristiana” autori di innumerevoli articoli sui traffici illegali di armi e rifiuti e di un libro: “Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici”. Dietro quel duplice omicidio, questa è l’ipotesi sostenuta da robusti riscontri, si potrebbero nascondere proprio traffici illegali, di rifiuti e di armi, scoperti da Ilaria Alpi durante il suo lavoro in Somalia. Non è la prima volta che viene ipotizzato uno movente di questa natura: già nel 1996, la relazione conclusiva della prima Commissione monocamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti sottolineava l’inquietante coincidenza tra la segnalazione di smaltimenti illeciti al largo delle coste della Somalia e la cittadina in cui Ilaria aveva realizzato il suo ultimo servizio: Bosaso. Un’ipotesi ripresa anche in altre relazioni della successiva Commissione bicamerale d’inchiesta, quella della XIII legislatura “
30 anni di veleni su Crotone : Vi ricordate l’inchiesta Black’s Mountains ? Ebbene dimenticatela. Dimentichiamoci di Crotone anzi, perché si e’ concluso con il proscioglimento di tutti e 45 gli imputati l’udienza preliminare, tenutasi davanti al gup di Crotone. Il GUP è stato chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Crotone, nell’ambito dell’ inchiesta, avviata sull’impiego di sostanze tossiche provenienti dai processi di lavorazione dello stabilimento dell’ex Pertusola. In effetti i materiali tossici oltre ad essere mandati nel cassanese dove venivano seppelliti , venivano anche usati nella preparazione del sottosuolo di alcuni edifici pubblici e strade. L’inchiesta, nel settembre del 2008, portò al sequestro preventivo di 18 aree dislocate tra i comuni di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro. L’inchiesta portò all’arresto di sette persone ( tutte scarcerate subito dopo) con l’accusa di disastro ambientale, 18 siti vennero posti sotto sequestro preventivo, tra cui plessi scolastici di primo e secondo grado e 350 mila tonnellate di rifiuti tossici, composti prevalentemente da zinco, piombo, indio, germanio, arsenico e mercurio, provenienti dall’ Ilva di Taranto e dalla ex-Pertusola, usati come componente per la costruzione di edifici privati e pubblici. Ad essere inquinato dall’arsenico prevalentemente il mare del crotonese. Ma anche un quartiere intero è stato costruito con questi mattoni tossici è il quartiere Lampanaro posto alla periferia di Crotone. La gente qui muore di tumore e niente è stato fatto perchè venisse messa in sicurezza. Solo un campetto , chissà perchè, è stato coperto da ghiaia ma il resto è rimasto come prima. Lampanaro si vede subito che è uno di quei quartieri ghetto creati negli anni ’70 per tenere fuori dalla “città bene” i poveri che poveri sono rimasti anche nell’abbandono.
1997 – Una grossa moria di pesci alla foce del Fiume Noce a seguito di scarichi illegali provenienti da un impianto per il trattamento di rifiuti speciali provenienti da pozzi neri e da discariche. L’impianto si trova nel comune di Tortora in località San sago. L’allarme viene lanciato dai pescatori che al mattino presto si trovano davanti l’orribile scena. Dagli esami fatti sui pesci nell’Università di Portici si è riscontrata la presenza di arsenico. Nonostante denunce e interrogazioni parlamentari provenienti da tutti i partiti il ministero dell’0Ambiente non interviene. Secondo lui l’impianto è a regola.
1999- La discarica di Costapisola – La discarica apparve così dal nulla. Da un giorno all’altro i contadini si svegliarono al rumore continuo di camion e ruspe. Un enorme campo sportivo era stato costruito in contrada Santa Barbara. Qui doveva sorgere un impianto a cielo aperto di rifiuti provenienti da macellazione. Sarebbe stata la rovina della zona dedita da secoli all’agricoltura. La mobilitazione parte immediata e comincia un lungo braccio di ferro fra Comune, che prima aveva data l’autorizzazione e poi l’aveva ritirata, e la Regione. Continui i blocchi stradali della popolazione, denunce e convocazioni intimidatorie da parte dei carabinieri di Scalea contro i militanti. Anche Marzotto si serviva di questa discarica per i propri scarti tossici provenienti dalla fabbrica Marlane di Praia a Mare. Un camion venne intercettato durante un blocco stradale dai militanti e chiamati i carabinieri del NAS venne sequestrato. All’interno del camion vennero trovati rifiuti tossici della lavorazione. Alla fine dopo tre anni la discarica viene chiusa, ma la bonifica non è mai stata fatta. Questa volta a morire di tumore dopo cinque anni fu il proprietario della ditta. Gli unici che finirono processati furono 17 cittadini , contadini e militanti ambientalisti della contrada di Costapisola, per i blocchi stradali effettuati, che finirono tutti assolti.
2004. Le dichiarazioni del pentito Fonti sulle navi dei veleni
Nel 2004 scoppia il caso Fonti. Un pentito di ìndrangheta che parla delle navi da lui stesse affondate. Tira in ballo il clan Muto di cetraro, rivela particolari degli incontri, dei pagamenti e degli affondamenti. Rivela il punto esatto dove è affondata la nave Cunsky, ed ecco subito tutti i sindaci, gli amministratori, il governo Berlusconi a fare a gara per dire che le dichiarazioni di Fonti non sono veritiere. Eppure una piccola nave finanziata dalla regione Calabria aveva visto ben altro nei fondali. Aveva visto una nave, dei bidoni, degli squarci. Tutto l’opposto della nave mandata dal governo. Fonti è morto e al posto della Cunsky ecco comparire come per magia una nave della Prima guerra mondiale. Il mistero del Triangolo delle Bermude è stato risolto ma questo delle navi dei veleni, no.
2005
I rifiuti tossici dell’Emiliana Tessile a Cetraro. Una lunga storia finita nel nulla.
Tutti sapevano di quei rifiuti chiusi in quel gabbiotto. Lo sapeva il sindaco Giuseppe Aieta, sempre pronto a sminuire ogni pericolo per il suo paese , lo sapeva il proprietario Marani che fu costretto a bonificare l’area, e lo sapevano anche gli acquirenti della Vela Latina. Ci volle una denuncia di un cittadino, Emilio Quintieri, volontario come guardia giurata a far smuovere tutto . La prima denuncia alla Procura di Paola venne fatta da Quintieri il 14 dicembre del 2005 al Comando Stazione del Corpo Forestale dello Stato di Cetraro ed al Sostituto Procuratore della Repubblica di Paola Dr. Francesco Greco . Nella denuncia, Quintieri scriveva di aver avuto una segnalazione che nello stabilimento della ex Tessile di Cetraro , in un deposito di lamiera, situato a ridosso del parcheggio e precisamente nei pressi dell’impianto di depurazione, tempo addietro, erano stati accumulati ed abbandonati notevoli quantità di rifiuti industriali pericolosi e che il Sig. Marani, già proprietario dello stabilimento, fosse a conoscenza della situazione così come aveva già dichiarato dallo stesso durante un Interrogatorio fatto l’ 8 maggio del 2003 dalla Sezione di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza della Procura di Paola su delega del Sostituto Procuratore Dott.ssa Alessandra Cuppone che procedeva nei confronti dello stesso per altri fatti delittuosi (truffa, malversazione ed altro – per le quali alla fine è stato condannato in tutti i gradi di giudizio – prescritti tutti i reati !!!). Quindi che quei rifiuti fossero là già si sapeva dal 2003 e nessuno aveva mosso un dito per rimuoverli, nonostante la Emiliana tessile fosse al centro del paeseIl Pm Dr. Greco una volta ricevuta la prima denuncia aveva provveduto a formalizzare l’iscrizione della stessa nel Registro delle Notizie di Reato ed il 16 dicembre del 2005 delegava la Stazione CFS di Cetraro per ogni opportuna indagine ; indagine che prese avvio il 9 gennaio del 2006 a seguito della seconda denuncia, con un sopralluogo eseguito dal personale forestale unitamente al Dott. Salvatore Curcio – Chimico Dirigente del Dipartimento Proviciale Arpacal di Cosenza e del Sig. Aquino Fausto, legale rappresentante della Società “Vela Latina Srl” che intanto aveva rilevato la proprietà della struttura in data 6 aprile del 2005. Durante il sopralluogo vennero rinvenuti numerosi rifiuti pericolosi tossici e nocivi di norma utilizzati in industria tessile di tintoria o in un laboratorio analitico annesso alla stessa. Gli stessi si trovavano, in un discreto stato di conservazione, privi di etichettatura (solo alcuni contenevano l’etichetta come i bidoni di Acido Formico nonché di altre sostanze nocive ed irritanti caratterizzate dalla presenza della croce di Sant’Andrea) ;
2000- 2007 . La fornace tranquilla a Vibo Valentia
Una banda di criminali ha sotterrato dal 2000 al 2007 ben 135 mila tonnellate di rifiuti tossici all’interno di una fabbrica dismessa , chiamata eufemisticamente la ”Fornace Tranquilla” , nel territorio di San Calogero in provincia di Vibo Valentia. Nel terreno della fabbrica sono stati interrati rifiuti provenienti dalle centrali Enel a carbone di Brindisi, Priolo Gargallo (Siracusa) e Palermo. Si parla di rifiuti velenosi contenenti nichel, vanadio, selenio, cromo, stagno,solfuri, fluoruri, cloruro, elementi pericolosi sia per la terra che per la dispersione nell’aria. L’aera infestata ed interessata ai sotterramenti è di circa 150 mila mq, pari a dieci campi di calcio. Le persone che la Guardia di Finanza ha indagato sono 18 e fra questi anche due dipendenti della Provincia di Vibo che davano falsi permessi per i trasporti dei veleni provenienti dalla Sicilia e dalla Puglia. Le 18 persone sono indagate per associazione a delinquere finalizzata al traffico ed all’illecito smaltimento di oltre 135 mila tonnellate di rifiuti pericolosi, per disastro ambientale con conseguente pericolo per l’incolumità pubblica, per l’avvelenamento di acque e di sostanze alimentari, per falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale ed per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico nonché per l’attività di gestione dei rifiuti non autorizzata, e per attività organizzate al fine di traffico illecito di rifiuti. Fra questi anche i dirigenti delle centrali dell’Enel. Ci sarà anche un indagine governativa su questi dirigenti dell’Enel dal momento che il Ministero delle Economie e delle Finanze ha ilo 21% delle azioni ? e l’Enel che propaganda l’ecologia delle sue centrali a carbone , cosiddetto pulito, non si preoccupava di dove finivano gli scarti delle sue centrali ? E’ possibile che nessuno ne sapesse niente ?
2009- La Legnochimica di Rende veleni in diretta.
Una storia trentennale di uno sviluppo mancato. Basta leggere questo stralcio di una relazione presentata da un comitato di cittadini per rendersi conto di cosa si trattava. “Nell’estate del 2009 (mesi di luglio e agosto) un nuovo olezzo nauseabondo ha ammorbato l’aria nel raggio di almeno 2 km dal sito dell’ex Legnochimica. L’odore acre e pungente è stato avvertito da gran parte della popolazione di Cancello Magdalone, Contrada Lecco, Quattromìglia, Via Cristoforo Colombo, Settimo e cambiava direzione a secondo dei venti prevalenti. I bambini, specie di notte, lamentavano forte prurito e senso di soffocamento. Che nonostante le segnalazioni fatte dai cittadini e dai responsabili delle attività produttive e commerciali della zona, nessuno degli enti preposti ha accertato in tempi rapidi se quell’odore provenisse o meno dai bacini artificiali, né tantomeno è stato accertato se qualche stabilimento industriale continui ancora a riversare liquami melmosi di colore nerastro, attraverso canali sotterranei in quei mega‐bacini dell’ex Legnochimica SPA che stranamente continua ad aumentare di livello. Che il sito, in base ai rilievi effettuati dall’Arpacal sulle acque sotterrane dei bacini artificiali, è risultato contaminato da sostanze cancerogene (diclorometano , tricloroetano, bromoclorometano, dibromoclorometano) in concentrazioni significative. In alcuni campioni di rifiuti prelevati nei laghi di accumulo, alla profondità di 1 metro, è stata accertata la presenza di altre sostanze cancerogene di categoria 1 e 2, come il Toluene ed il P‐Isopropiltoluene.Che ad aggravare ulteriormente la situazione è stato il quarto incendio avvento nel mese di giugno 2012, qualche giorno dopo l’approvazione del piano di caratterizzazione presentato dalla Legnochimica.
L’inceneritore di Gioia Tauro e le discariche di Pianopoli, Crotone, Bucita e Celico. Un piano di rifiuti che distribuisce milioni di euro e tumori. Non solo rifiuti sotterrati illegalmente ma anche e soprattutto legalmente.
Ne sono state censite oltre 700. Non c’è bosco, spiaggia, scogliera, fiume, lago, pezzo di mare, collina, paese, città, quartiere che non abbia la sua discarica, piccola, media o grande. Un pezzo di immondizia non si è negato a nessuno. E tutto questo nonostante un commissariamento dei rifiuti che dura da venti anni e nonostante siano stati spesi milioni di euro e miliardi di lire per bonificare, ripulire, differenziare, prevenire. Danaro pubblico finito solo nelle mani della ‘ndrangheta, di politici addetti ai lavori, di funzionari, di governatori. Una storia infinita fatta di delibere, piani di rifiuti, ordinanze, tutte senza senso, se non quello di mantenere lo status quo. Uno status quo che serve a creare una continua emergenza per veicolare denaro e clientele. Se scoppia una discarica se ne fa subito un’altra, se ne chiude una e se ne apre un’altra in un altro sito. Lo abbiamo visto a Rossano in località Bucita, a Crotone, a Scalea, a Pianopoli, a Battaglina fra Catanzaro e Lametia Terme, a Celico, a Casignana in prov. di Reggio Calabria. E quando le discariche cominciano ad esplodere ecco lunghe file di camion dirigersi verso Gioia Tauro per bruciare nell’unico inceneritore della Calabria. Un mostro costruito per bruciare tonnellate di rifiuto che brucia a ritmo continuo distribuendo diossine in una della piane più belle d’Italia ricca di ulivi e agrumi.
2015 . I veleni di San Sago a Tortora
Milioni di litri di sangue scomparsi nel nulla, tre società diverse ma che nascono da un unico gruppo che si passano la palla da almeno dieci anni. 18 persone arrestate , altre tre in via di processo , tonnellate di percolato scaricate nel fiume Noce e quindi nel mar Tirreno , un sindaco che si oppone all’apertura dell’impianto e lo chiude con un’ordinanza e il Tar che da ragione alla ditta. L’impianto ppotrtebbe aprire da una momento all’altro.
2015. Veleni a Lattarico. I rifiuti tossici, secondo il collaboratore di giustizia Pullicanò già spacciatore per conto del clan Lanzino, sarebbero sepolti a Lattarico, pochi chilometri da Cosenza, più precisamente nella frazione denominata Regina. A portarceli, 15 o 20 anni fa, sarebbe stato Cipriano Chianese, avvocato napoletano ritenuto organico al clan dei Casalesi. Gli inquirenti campani lo considerano come l’inventore delle “ecomafie” nonché protagonista della “Terra dei fuochi” e, proprio per vicende analoghe, l’uomo – che vanta anche trascorsi in politica – è tuttora sotto processo nella città partenopea. I rifiuti di Lattarico, secondo le rivelazioni di Pulicanò, Chianese li avrebbe seppelliti con la complicità di un imprenditore cosentino “intimo” dello stesso Pulicanò. Proprio lui, nel 2012, avrebbe riferito al futuro pentito i contorni di quell’operazione di smaltimento illecito. «Interrare quei rifiuti rappresentava una contropartita agli appalti che Chianese gli aveva fatto prendere nel corso degli anni».
Ma non finisce qui. Con lo scandalo e gli arresti riguardanti l’estrazione del petrolio in Basilicata siamo venuti a conoscenza di continui scarichi di rifiuti tossici in Calabria, ne sapremo di più nei prossimi mesi.
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